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Delitto tentato: come si calcola la pena?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per tentato furto in abitazione. L’imputato sosteneva di meritare una riduzione di pena maggiore perché aveva già interrotto l’azione al momento dell’intervento della vittima. La Corte ha stabilito che, nel calcolo della pena per il delitto tentato, il momento dell’interruzione non è l’unico elemento rilevante, dovendosi considerare tutte le circostanze del fatto, inclusa la condotta dell’agente durante la fuga.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Delitto Tentato e Calcolo della Pena: L’Interruzione dell’Azione Non Basta

Quando si parla di delitto tentato, uno degli aspetti più discussi riguarda la quantificazione della pena. La legge prevede una riduzione rispetto al reato consumato, ma come si stabilisce l’entità di questa diminuzione? Un’ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un importante chiarimento: il solo momento in cui l’azione criminale viene interrotta non è l’unico fattore decisivo. L’analisi del giudice deve essere più ampia e complessa.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato in primo e secondo grado per tentato furto in abitazione. L’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione nella determinazione della pena. In particolare, sosteneva che la riduzione per il tentativo, applicata nella misura minima di un terzo, avrebbe dovuto essere maggiore, poiché al momento dell’intervento della persona offesa, egli aveva già interrotto la sua azione criminosa.

Il Motivo del Ricorso e la Dosimetria della Pena nel Delitto Tentato

La difesa dell’imputato si concentrava su un unico punto: la valutazione della gravità del fatto ai fini della diminuzione di pena prevista dall’art. 56 del codice penale. Secondo la tesi difensiva, la Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente considerato che l’azione era già terminata quando l’imputato è stato fermato. Questo, a suo dire, avrebbe dovuto comportare l’applicazione della riduzione nella sua massima estensione.

La questione, quindi, è centrale per comprendere come un giudice debba esercitare il proprio potere discrezionale nel sanzionare un delitto tentato. È sufficiente guardare a che punto si è arrestata l’azione o è necessario considerare un quadro più ampio?

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, e quindi inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Il principio di diritto affermato è di fondamentale importanza: il momento in cui la realizzazione del reato si interrompe non è un elemento di per sé dirimente per la valutazione della gravità del fatto.

La Suprema Corte, richiamando un suo precedente orientamento (sentenza n. 40903/2022), ha spiegato che la gravità del tentativo dipende da una serie di circostanze che vanno oltre la mera interruzione dell’azione, la quale spesso è dovuta a fattori estranei alla volontà dell’agente. Il giudice deve tenere conto di tutti i parametri commisurativi a sua disposizione.

Nel caso specifico, la Corte territoriale aveva correttamente e logicamente valorizzato un altro elemento: il comportamento dell’imputato successivo all’interruzione del furto. Per guadagnarsi la fuga, infatti, egli aveva spinto la persona offesa che tentava di sbarrargli la strada. Questa condotta, sebbene non integrasse un ulteriore reato, è stata considerata un valido indicatore della pericolosità e della determinazione dell’agente, giustificando una riduzione di pena minima.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza in esame ribadisce un principio cruciale per la prassi giudiziaria. Nella valutazione del delitto tentato, il giudice non deve limitarsi a una fotografia statica del momento in cui l’iter criminoso si è bloccato. La sua analisi deve essere dinamica e completa, includendo:

1. Il grado di avanzamento dell’azione e la vicinanza alla consumazione del reato.
2. La condotta complessiva dell’agente, compresa quella tenuta immediatamente dopo l’interruzione e durante la fuga.
3. Tutte le altre circostanze del caso concreto che possono rivelare la gravità del fatto e la capacità a delinquere del reo.

Questa decisione conferma l’ampia discrezionalità del giudice di merito nel determinare la pena, purché la sua motivazione sia logica, coerente e basata su elementi concreti emersi durante il processo.

Nel delitto tentato, il fatto che l’azione sia stata interrotta è l’unico elemento per decidere la riduzione della pena?
No. Secondo la Corte, il momento in cui l’azione si interrompe non è un elemento di per sé dirimente ai fini della valutazione della gravità del fatto, che dipende da tutte le circostanze del caso concreto, spesso estranee alla volontà dell’agente.

Il comportamento dell’imputato dopo l’interruzione del tentativo è rilevante per la pena?
Sì. La Corte ha ritenuto che il comportamento dell’imputato volto a guadagnare la via di fuga, come spingere la persona offesa, è un elemento rilevante che il giudice può considerare per valutare la gravità complessiva del fatto e determinare l’entità della riduzione di pena.

Per quale motivo il ricorso è stato giudicato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo è stato ritenuto manifestamente infondato. La Corte d’Appello aveva fornito una motivazione non illogica per la sua decisione sulla pena, basandosi su elementi concreti e pertinenti come il comportamento dell’imputato durante la fuga.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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