Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8970 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8970 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI CATANZARO
nel procedimento a carico di:
NOME COGNOME
VIDIRI NOME
MAGURNO GRAZIA
VIDIRI OFELIA
VIDIRI NOME
MAGURNO SALVATORE
PUNZO NOME COGNOME
nato a PRAIA A MARE il DATA_NASCITA
nato a BELVEDERE MARITTIMO il DATA_NASCITA
nato a DIAMANTE il DATA_NASCITA
nata a DIAMANTE il DATA_NASCITA
nata a DIAMANTE il DATA_NASCITA
nato a DIAMANTE il DATA_NASCITA
nata a NAPOLI il DATA_NASCITA
e da
NOME COGNOME
avverso la sentenza del 28/10/2022 della CORTE DI APPELLO DI CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata (anche sul capo relativo alla revoca della confisca), in accoglimento del ricorso del Procuratore Generale, e per la inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME; udito l’AVV_NOTAIO, difensore della parte civile NOME COGNOME, che ha concluso associandosi alle richieste del Procuratore generale; udito l’AVV_NOTAIO – difensore di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME – che ha concluso per la inammissibilità o in subordine per il rigetto del ricorso del Procuratore generale; udito il difensore di AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO (per il ricorrente NOME COGNOME), che ha concluso per l’accoglimento del proprio ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 9 novembre 2017 il Tribunale di NOME, ad esito del giudizio ordinario, per quanto qui rileva, condannava alle pene ritenute di giustizia NOME COGNOME per i reati di truffa aggravata, favoreggiamento reale ed esercizio abusivo di servizi o attività di investimento ex art. 166 d. Igs. 58/1998 nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per concorso in riciclaggio.
Con sentenza del 28 ottobre 2022, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per i reati ascrittigli, in quanto estinti pe prescrizione, confermando le relative statuizioni civili. Assolveva, invece, gli imputati condannati per il delitto di riciclaggio “perché il fatto non costituisc reato”.
Ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Catanzaro, chiedendo, in ragione di due motivi, l’annullamento della sentenza limitatamente all’assoluzione dei cinque imputati del delitto di riciclaggio e alla revoca delle confische disposta dal giudice di secondo grado.
2.1. Violazione della legge penale per inosservanza degli artt. 42, 43, 648bis e 628 -quater cod. pen.
Gli imputati assolti hanno messo a disposizione di NOME i propri conti correnti bancari personali e societari consentendogli di versare le ingenti somme di denaro provento della truffa dallo stesso commessa in danno della RAGIONE_SOCIALE.
1/R
Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, è irrilevante la tracciabilità delle operazioni, in quanto integra il delitto di riciclaggio anche compimento di operazioni volte non solo a impedire in modo definitivo ma anche a rendere difficile l’accertamento o l’astratta individuabilità dell’origine delittuos del denaro.
Sotto il profilo soggettivo, la sentenza impugnata non ha considerato che la buona fede mal si concilia con la fatturazione per operazioni inesistenti e con il mancato inserimento, nella contabilità e nel bilancio della società, della voce finanziamento/prestito da parte dei terzi.
Conseguentemente va annullata la revoca della confisca della somma di 286.000 euro che era stata disposta con la sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 648-quater cod. pen.
2.2. Violazione della legge penale per inosservanza degli artt. 157 e 240 cod. pen., quanto alla revoca della confisca della somma di 1.254.757,13, motivata dalla Corte di appello in ragione della prescrizione del delitto di truffa e del fatto che il denaro non fosse nella diretta disponibilità di NOME, unico imputato ad essere stato condannato per detto reato.
La confisca della suddetta somma ordinata dal Tribunale, che va considerata prezzo del reato, era una confisca diretta in quanto si trattava del denaro versato sui conti correnti bancari intestati a NOME COGNOME, alla zia, alla moglie e ai genitori, sui quali era transitato il denaro del Convento derivante direttamente dai reati contestati al primo.
Anche la somma di 5.000 euro, della quale pure è stata dalla Corte d’appello disposta la revoca della confisca, costituiva il prezzo del reato, in quanto il bonifico di detto importo inviato dalla zia alla moglie di NOME era uno dei tanti bonifici attraverso i quali venivano spostate le somme illecitamente prelevate dallo stesso imputato.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore di fiducia, chiedendo l’annullamento della sentenza sulla base dei seguenti motivi.
3.1. Violazione di legge (art. 129 cod. proc. pen.) e vizio motivazionale in ordine all’affermazione di responsabilità del ricorrente, smentita dalle prove assunte in dibattimento, documentali e dichiarative, avuto particolare riguardo, quanto a queste ultime, alle deposizioni del precedente economo e del padre provinciale dell’ente: il primo ha dichiarato che gli estratti conto ufficiali del banca sono gli unici documenti sui quali venivano redatti i rendiconti dell’ente; il secondo ha escluso che il nuovo economo NOME COGNOME (che presentò querela
nove mesi dopo il passaggio di consegne con il nuovo successore) non conoscesse l’andamento del conto IW BANK.
Risulta quindi “difficile provare a sostenere l’estraneità dei fatti di NOME e la responsabilità penalmente rilevante del COGNOME se non tramite una motivazione illogica e contraddittoria”.
3.2. Violazione di legge (art. 640 cod. pen.) e vizio motivazionale in quanto non sono “emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale elementi tali da poter essere posti alla base di tale ravvisato intenso dolo di truffa intrinseco nella condotta di NOME“, cosicché “occorre dare una lettura diversa degli eventi, scagionando il NOME dalla colpevolezza ascrittagli”.
3.3. Violazione di legge (artt. 578, comma 1, cod. proc. pen., 6 § 2 CEDU e 27 Cost.) nonché vizio motivazionale in quanto la Corte di appello ha erroneamente ritenuto integrato il reato di truffa quando invece avrebbe dovuto accertare solo i presupposti dell’illecito civile e non la responsabilità penale dell’imputato.
3.4. Violazione di legge (artt. 541 cod. proc. pen.) e vizio motivazionale in quanto la Corte di appello ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalle parti civili, quando invece avrebbe dovuto assolvere l’imputato nel merito.
La difesa di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ha depositato un’ampia memoria chiedendo la inammissibilità del ricorso del Procuratore generale, per difetto di specificità del ricorso, ovvero, in via subordinata, il rigetto dell’impugnazione in ragione della infondatezza del motivo proposto in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di riciclaggio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile in quanto proposto con motivi generici, non consentiti e manifestamente infondati, che possono essere congiuntamente esaminati.
Alla luce della pronuncia della Corte EDU Pasquini contro Repubblica di San Marino, la Corte costituzionale, con sentenza n. 182 del 30 luglio 2021, ha affermato che il giudice dell’impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria in presenza di un reato estinto per prescrizione (art. 578 cod. proc. pen.), «non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta i
volta contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.)».
È vero, infatti, che la lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, e dunque la commissione del reato, costituisce danno ingiusto ai sensi degli artt. 2043 e 2059 cod. civ.; tuttavia, una volta definito il profi penale della vicenda, «il giudice dell’impugnazione è chiamato a valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all’imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto se quella condotta sia stata idonea a provocare un “danno ingiusto” secondo l’art. 2043 cod. civ., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno».
La sentenza impugnata, con ampia argomentazione adesiva a quella di primo grado, ha accertato – per quanto rileva in questa sede, nella quale si tratta della responsabilità ai soli effetti civili – la sussistenza di un fatto do commesso da NOME, produttivo di un danno per le parti civili, valutazione non inficiata dal fatto che, andando oltre i confini dell’accertamento devoluto, abbia pure ritenuto che la condotta commessa avrebbe integrato anche il reato di truffa, estinto per prescrizione.
In modo contraddittorio la difesa per un verso si è doluta di tale ultima incidentale statuizione, ma per altro verso, trattando di “reato” e “colpevolezza”, ha contestato, con il secondo motivo, la sussistenza degli artifizi, elemento costitutivo del delitto di truffa ma non già del fatto illecito imputabile a COGNOME quanto al profilo civilistico.
Il ricorso, inoltre, non si è confrontato con una serie di ampie e autonome argomentazioni con le quali la Corte di appello (pagg. 12-16), aderendo alle considerazioni del primo giudice, ha ritenuto dimostrato, alla luce di plurimi risultati probatori, che NOME COGNOME, professionista nel settore finanziario, carpendo la fiducia dei frati della RAGIONE_SOCIALE, sottrasse una ingente somma di denaro, destinandola a propri familiari ovvero – come si vedrà – al nucleo familiare “Vidirni-Maguro”.
Va in proposito ribadito che sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l’aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi e apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stat accolti (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521; Sez. 6, n. 34521 del
27/06/2013, COGNOME, Rv. 256133; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, COGNOME, Rv. 256133).
La difesa, poi, ha denunciato cumulativamente il vizio motivazionale, in contrasto con il principio ribadito di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale «i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione. Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva della necessaria specificità» (Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027, non mass. sul punto).
Per altro verso, sono state qui proposte doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti, tese a sollecitare una rivalutazione del compendio probatorio in un senso stimato più plausibile; tuttavia, la valutazione dei dati processuali e la scelta, tra i vari risultati di prova, di quelli ritenuti più idonei a sorreggere motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623; Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362; di recente v. Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Fasciani, Rv. 278745, non mass. sul punto).
Correttamente, infine, la Corte territoriale, confermata la responsabilità dell’imputato agli effetti civili, lo ha condannato alle spese del giudizio di appello sostenute dalle parti civili.
3. È fondato, invece, il ricorso del Procuratore generale.
In punto di ammissibilità dell’impugnazione, contestata nella memoria difensiva, il ricorrente ha censurato le valutazioni della Corte di appello riguardanti sia il profilo oggettivo sia l’elemento soggettivo del delitto previsto dall’art. 648-bis cod. pen.
Va poi sul punto ribadito che l’onere di specificità del ricorso per cassazione, così come dell’appello, è direttamente proporzionale alla specificità delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Rv. 268822-01).
Inoltre, in tema di onere motivazionale, va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il giudice di appello, previa, ove occorra, la
rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., è tenuto a offrire una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430-01; Sez. 4, n. 2474 del 15/10/2021, dep. 2022, Nappa, Rv. 282612-01; Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Vollero, Rv. 281404-01).
Nel caso di specie la Corte territoriale è venuta meno a tale onere.
4.1. Quanto al profilo oggettivo, è pacifico che con una serie di bonifici, per un ammontare complessivo di 286.000 euro (v. lo specchietto a pagg. 73-74 della sentenza di primo grado), il denaro illecitamente sottratto da NOME transitò sui conti correnti dei cinque imputati e della RAGIONE_SOCIALE, impresa di famiglia, per essere poi utilizzato per il pagamento dei fornitori della società, che si trovava in grave crisi finanziaria.
Per escludere la sussistenza dell’elemento costitutivo del reato (peraltro l’assoluzione in dispositivo è stata pronunciata con la formula «il fatto non costituisce reato», riferibile al difetto del solo elemento soggettivo) e di una condotta idonea a dissimulare la provenienza delittuosa del denaro, la sentenza impugnata ha osservato che nel caso di cui si tratta “non vi è stato alcun ulteriore bonifico o giroconto della società ricevente a favore di altri, in modo da nascondere la provenienza delittuosa del denaro, quanto il ritiro dello stesso per la risanazione dei debiti e l’investimento in altre attività”.
Così opinando, la Corte di appello è incorsa in una violazione dell’art. 648bis cod. pen., per come interpretato dalla costante giurisprudenza di legittimità.
Va sul punto ribadito che, per accertare la sussistenza dell’elemento oggettivo costituito dal concreto ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa del bene, il criterio da seguire è quello della idoneità ex ante della condotta: «ciò significa che l’interprete, postosi al momento di effettuazione della condotta, deve verificare sulla base di precisi elementi di fatto se in quel momento l’attività posta in essere aveva tale astratta idoneità dissimulatoria e ciò indipendentemente dagli accertamenti successivi e dal disvelamento della condotta illecita che non costituisce mai automatica emersione di una condizione di non idoneità della azione per difetto di concreta capacità decettiva» (così Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279407-01; in senso conforme cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 36121 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 276974; Sez. 2, n. 16908 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276419; da ultimo v. Sez. 2, n. 2347 del 21/12/2023, dep. 2024, COGNOME, non mass.).
Si evince, infatti, dal dato testuale della norma (là dove si parla di «ostacolare») e dall’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, che integra il
(R
reato di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo a impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, cosicché neppure rileva che le operazioni realizzate fossero tracciabili, in quanto l’obiettivo illecito ben può essere realizzato anche attraverso condotte che non escludono affatto l’accertamento o l’astratta individuabilità dell’origine delittuosa del bene, dal momento che queste ultime evenienze non costituiscono l’evento del reato (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 23774 del 13/07/2020, COGNOME, Rv. 279586; Sez. 5, n. 21925 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 273183; Sez. 2, n. 26208 del 09/03/2015, COGNOME, Rv. 264369; Sez. 2, n. 1422 del 14/12/2012, dep. 2013, Atzori, Rv. 254050; Sez. 2, n. 3397 del 16/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254314).
In particolare, questa Corte ha affermato che integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi deposita in banca o riceve sul proprio conto corrente o su una carta prepagata denaro di provenienza illecita poiché, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con denaro pulito (Sez. 2, n. 19125 del 26/04/2023, COGNOME, Rv. 284653; Sez. 2, n. 35260 del 08/09/2021, Pari, Rv. 281942; Sez. 2, n. 18965 del 21/04/2016, COGNOME, Rv. 266947; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Da ultimo questa Corte ha evidenziato che la lecita vestizione delle somme, dei beni o delle altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto, derivando da una successiva condotta di impiego, sostituzione o trasferimento, costituisce il risultato empirico dell’attività delittuosa ed è propri in forza di tale variegata condotta che le risorse di provenienza delittuosa, pur essendo legate da un nesso di derivazione causale con il delitto presupposto, assumono una diversa veste giuridica naturalistica, in quanto dotate, a seguito dell’operata trasformazione, di una loro autonoma individualità sia per causa che per effetto (Sez. 2, n. 1309 del 07/12/2023, dep. 2024, COGNOME, non massimata).
4.2. In relazione al profilo soggettivo, la scarna motivazione della sentenza impugnata (a pag. 18), con la quale è stata esclusa la consapevolezza dei cinque imputati in ordine alla provenienza illecita del denaro, è nella sostanza apodittica e in ogni caso non si confronta adeguatamente con le ampie argomentazioni del primo giudice (pagg. 78-79), che aveva evidenziato una serie di elementi concordanti che deponevano per la sussistenza del dolo, quantomeno nella forma del dolo eventuale, configurabile nel delitto di riciclaggio qualora l’agente abbia la concreta possibilità di rappresentarsi, accettandone il rischio, la provenienza delittuosa del denaro ricevuto e investito (v. Sez. 2, n. 36893 del 28/05/2018, COGNOME, Rv. 274457; Sez. 5, n. 21925 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 273185;
Sez. 2, n. 8330 del 26/11/2013, COGNOME, dep. 2014, Rv. 259010: da ultimo cfr. Sez. 2, n. 51252 del 10/11/2023, COGNOME, non mass.).
Il Tribunale, infatti, sulla base di puntuali considerazioni, aveva rimarcato la inverosimiglianza della versione fornita dagli imputati circa il prestito che il legale rappresentante del Santuario, aduso da molti anni ad avere rapporti con le banche, avrebbe concesso a una impresa senza neppure richiedere una scrittura privata e accontentandosi di una sorta di impegno morale alla restituzione del denaro.
La buona fede degli imputati era stata esclusa anche alla luce di una serie di convergenti elementi: la fatturazione per operazioni inesistenti; il mancato inserimento, nella contabilità e nel bilancio della società, del presunto finanziamento; le causali dei bonifici non veritiere; la provenienza della somma di 221.000 euro da NOME COGNOME, persona loro sconosciuta, zia di NOME COGNOME.
La sentenza, pertanto, va annullata sul capo f).
In sede di rinvio, la Corte di appello, attenendosi ai principi di diritto sopraindicati, valuterà la sussistenza o meno del reato, esprimendo in ogni caso un’adeguata motivazione, cui conseguirà la decisione in ordine alla confisca della somma di 286.000 euro, obbligatoria ex art. 648-quater cod. pen., disposta dal primo giudice e revocata dalla Corte di appello.
Va annullata anche la decisione con la quale la Corte di appello ha revocato la confisca della somma di 1.254.757,13 euro, ritenuta dal primo giudice profitto del reato di truffa, in quanto la confisca non può essere esclusa come invece affermato nella sentenza impugnata – quando la persona estranea abbia ricavato vantaggi e utilità dal reato, fatto verificatosi per NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME.
Questi ultimi sono gli unici soggetti nei confronti dei quali, quanto alla revoca della confisca di 1.254.757,13 euro, il Procuratore generale ha proposto ricorso, cosicché l’annullamento con rinvio della relativa statuizione può essere disposto solo nei loro confronti.
All’inammissibilità dell’impugnazione proposta da NOME COGNOME segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
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Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro, cui rimette anche la liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile COGNOME per questo grado di giudizio.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, limitatamente alla statuizione relativa alla confisca delle somme di denaro, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME che liquida in complessivi euro tremilaseicentottantasei, oltre accessori di legge.
Così deciso il 01/02/2024.