Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24048 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24048 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/05/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a PALERMO il 13/08/1996 NOME nato a PALERMO il 19/05/1994
avverso la sentenza del 03/10/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME;
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso di NOME NOME, che contesta violazione di legge per mancata riqualificazione del reato di cui all’art. 648-bis cod. pen. in quello di cui all’art. 648 cod. pen., non è consentito perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
In particolare, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, “il delitto di riciclaggio si distingue da quello di ricettazione in relazione all’element materiale, che si connota per l’idoneità ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene e all’elemento soggettivo, costituito dal dolo generico di trasformazione della cosa per impedirne l’identificazione” (ex multis, Sez. 2, n. 30265 del 16/06/2017, Giamé, Rv. 270302);
Inoltre, sempre ad avviso della giurisprudenza di legittimità, “L’alterazione dei numeri di telaio di un veicolo di illecita provenienza è condotta idonea ad integrare il delitto di riciclaggio” (Sez. 2, n. 22992 del 28/05/2013, Roma, Rv. 256056) e “si configura il delitto di riciclaggio sia con la sostituzione della targa che con manipolazione del numero del telaio di un’autovettura proveniente da delitto, perché entrambe le condotte costituiscono operazioni tese ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dell’autovettura” (Sez. 2, n. 44305 del 5/12/2005, Rv. COGNOME, 232770);
L’elemento del pregresso coinvolgimento degli imputati nell’ambito delle operazioni di occultamento della provenienza delittuosa dell’autovettura è stato logicamente ricavato tanto dalla condotta tenuta al momento del controllo, precisando i giudici di merito che il COGNOME NOME alla vista degli operanti tentava di dileguarsi, nonché dall’esibizione di documenti del veicolo palesemente falsi e dunque anche questi volti a celarne la provenienza delittuosa (si veda, sul punto, pagg. 2-4 della sentenza impugnata);
Da ultimo non coglie nel segno la censura difensiva secondo cui il mero possesso del bene non può essere decisivo ai fini della realizzazione della fattispecie, poiché, secondo la giurisprudenza, “In tema di riciclaggio, la mera detenzione del bene di illecita provenienza, alterato in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza stessa, non è sufficiente per l’affermazione di penale responsabilità, in assenza di elementi idonei a ricondurre la condotta di alterazione o manipolazione al detentore, quanto meno a titolo di concorso” (Sez. 2, n. 41740 del 16/10/2015, COGNOME, Rv. 265097): nel caso di specie, invece, sono
plurimi gli elementi da cui ricondurre la condotta dissimulata all’odierno imputato, essendo sia fruitore abituale dell’autovettura, sia il fratello del legitti
proprietario;
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso di NOME NOMECOGNOME che contesta la
correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 648-bis cod. pen., non è consentito dalla legge in sede di
legittimità perché, oltre a riproporre censure in fatto già adeguatamente vagliate e disattese dal giudice d’Appello, tende altresì ad ottenere una inammissibile
ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati da giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha
esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, pag. 2-4
della sentenza impugnata), che
esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del
30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944);
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2025
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