Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34894 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34894 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Santa Eufemia d’Aspromonte il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2025 della Corte d’appello di Messina
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME, nonché la memoria depositata dal suo difensore AVV_NOTAIO;
considerato che il primo motivo di ricorso, che lamenta l’erronea dichiarazione di responsabilità del COGNOME, in ragione del difetto dell’elemento psicologico del delitto di estorsione, non appare formulato in termini consentiti dalla legge in questa sede, poiché – stante la preclusione, per la Corte di cassazione, non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260) -, esso risulta, in effetti, teso a sollecitare un diverso apprezzamento delle risultanze processuali, finendo così per contestare la decisione cui sono pervenuti i giudici di merito i quali, invece, con valutazione conforme dei dati probatori raccolti, e in particolare ritenendo attendibile la ricostruzione dei fatti resa dalla persona offesa e confermata dalle
deposizioni dei testimoni, sono stati concordi nel ravvisare la presenza di tutti gli elementi costitutivi, compreso, certamente, quello soggettivo, del reato ascritto all’odierno ricorrente, senza che su tale giudizio si possa ritenere incidere logicamente, diversamente da quanto si ribadisce con la sopra menzionata memoria, l’assoluzione dei due concorrenti «per non aver commesso il fatto»;
osservato che il secondo motivo di doglianza, con il quale si contesta il travisamento delle dichiarazioni dalla persona offesa – in base alle quali la Corte d’appello ha reputato integrata l’ipotesi consumata del delitto di estorsione piuttosto che quella tentata ai sensi dell’art. 56 cod. pen. -, è manifestamente infondato;
che, infatti, va ribadito come, ai fini della configurabilità del vizio travisamento della prova dichiarativa, sia esclusa la rilevanza di presunti errori commessi dal giudice nell’interpretazione e nella valutazione del senso probatorio delle dichiarazioni rese, risultando necessario, altresì, che venga evidenziata, in maniera definita, la palese e incontrovertibile difformità tra il significato intrinsec della dichiarazione e quello individuato dal giudice (cfr. Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, COGNOME, Rv. 272406);
che, quanto alla configurabilità del delitto tentato, detto motivo appare confliggere con la giurisprudenza di legittimità, correttamente applicata dalla Corte territoriale (si veda la pag. 8 dell’impugnata sentenza), in virtù della quale: si configura il delitto di estorsione – consumata e, dunque, non tentata – quando taluno imponga al soggetto passivo di instaurare un rapporto negoziale patrimoniale con l’agente od altri soggetti. In tal caso, l’ingiusto profitto con altr danno è implicito nella violazione dell’autonomia contrattuale che il contraente vittima – obbligato al rapporto – subisce (cfr. Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, Pmt c/ Di Grazia, Rv. 278998). 0 ancora, integra estorsione la condotta del datore di lavoro che minacci il licenziamento onde costringere i dipendenti ad accettare trattamenti retributivi deteriori, non adeguati alle prestazioni svolte, od in ogni caso, condizioni lavorative contra ius (Sez. 2, n. 50074 del 27/11/2013, Bleve, Rv. 257984);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2025.