Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27098 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27098 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME NOME, nata in Perù il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 09/10/2023 dalla Corte di appello di Torino visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto AVV_NOTAIO
AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Pubblico Ministero del Tribunale di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio di NOME COGNOME per il delitto di calunnia, in quanto, con querela presentata al Commissariato di P.S. San Paolo di Torino in data 5 aprile 2017, ha incolpato NOME COGNOME, che sapeva innocente, denunciandolo di averla aggredita, cagionandole lesioni, con una prognosi di venti giorni.
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino, con sentenza emessa in data 15 marzo 2022 all’esito del giudizio abbreviato, ha dichiarato l’imputata responsabile del reato ascrittole e l’ha condannata alla pena sospesa di un anno e otto mesi di reclusione.
Con la pronuncia impugnata la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado, condannando l’imputata appellante al pagamento delle spese del grado e alla rifusione delle spese di assistenza e di rappresentanza della parte civile costituita.
AVV_NOTAIO, nell’interesse dell’imputata, ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento.
Il difensore, con unico motivo, deduce la manifesta illogicità della motivazione per contraddittorietà tra la sentenza di assoluzione, con la formula dubitativa, pronunciata in data 15 aprile 2019 dal Giudice di Pace di Torino nei confronti di NOME COGNOME per il delitto di lesioni, e l’affermazione della responsabilità penale dell’imputata per il delitto di calunnia contestatole nel presente procedimento.
Secondo il difensore, la Corte di appello ha omesso di considerare che il Giudice di Pace ha assolto la parte civile ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., e che, pertanto, ha ritenuto che la sua innocenza non fosse certa, ma dubbia.
Tale formula dubitativa, dunque, contrasterebbe con l’affermazione della responsabilità penale dell’imputata, in quanto non si potrebbe ritenere processualmente certo che i fatti si siano verificati come rappresentato dalla persona offesa nella sua denuncia.
Dalla sentenza di assoluzione pronunciata dal Giudice di pace con formula dubitativa, risulterebbe non già la certezza dell’innocenza di NOME COGNOME, ma solo l’incertezza della sua responsabilità penale.
Secondo il difensore, se, dunque, non si può essere certi che NOME COGNOME fosse innocente del delitto di lesioni del quale era stato accusato dall’imputata, non si potrebbeyderti che la stessa lo abbia calunniato.
L’assoluzione definitiva, con formula dubitativa, di NOME COGNOME dal delitto di lesioni del quale è stato accusato dall’imputata, sarebbe, dunque, giuridicamente e logicamente incompatibile con l’affermazione di responsabilità dell’imputata per il delitto di calunnia.
La condanna per il delitto di calunnia non può, infatti, prescindere dalla certezza della falsità dell’accusa.
La Corte di appello di Torino, dunque, a fronte del giudicato assolutorio, non avrebbe potuto arrogarsi il diritto di rivalutare il merito della sentenza pronunciata dal Giudice di Pace.
Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso è stato trattato con procedura scritta.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 20 maggio 2024, il AVV_NOTAIO, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
Con unico motivo il difensore deduce la manifesta illogicità della motivazione, in quanto l’assoluzione di NOME COGNOME, con formula dubitativa, dal delitto di lesioni commesso in danno della COGNOME sarebbe giuridicamente e logicamente incompatibile con l’affermazione della responsabilità penale dell’imputata per il delitto di calunnia.
3. Il motivo è infondato.
3.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, perché sia integrato il dolo del delitto di calunnia occorre che colui che formula la falsa accusa abbia la certezza della innocenza dell’incolpato (ex plurimis: Sez. 6, n. 17992 del 02/04/2007, COGNOME, Rv. 236448 – 01; Sez. 6, n. 9853 del 10/07/2000, COGNOME, Rv. 220803 – 01).
L’erronea convinzione della colpevolezza della persona accusata esclude, infatti, l’elemento soggettivo del reato (Sez. 6, n. 29117 del 15/06/2012, COGNOME, Rv. 253254 – 01; Sez. 6, n. 3964 del 06/11/2009 (dep. 2010), COGNOME, Rv. 245849 – 01; Sez. 6, n. 46206 del 06/11/2009, COGNOME, Rv. 245541 – 01).
La consapevolezza del denunciante in merito all’innocenza dell’accusato è, inoltre, esclusa qualora la supposta illiceità del fatto denunziato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi e seri tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte di una persona, di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza (Sez. 6, n. 12209 del 18/02/2020, Abbondanza, Rv. 278753 – 01).
3.2. La Corte di appello di Torino ha, tuttavia, correttamente rilevato che la sentenza di assoluzione pronunciata con formula dubitativa in favore del soggetto falsamente incolpato non è giuridicamente incompatibile con lo stato di certezza dell’innocenza dell’incolpato che l’art. 368 cod. pen. richiede per integrare il delitto di calunnia.
L’innocenza del calunniato costituisce, infatti, un presupposto del delitto di
calunnia, ma la prova di tale elemento di fattispecie non postula, in via pregiudiziale, l’accertamento in un separato procedimento contro il calunniato dell’infondatezza dell’accusa mossagli dal calunniatore.
Il giudizio sul reato di calunnia è, infatti, del tutto autonomo da quello concernente il reato ascritto al calunniato e, pertanto, la sentenza di proscioglimento, anche se definitiva, pronunciata nel processo eventualmente instaurato nei confronti dell’incolpato, non fa stato in quello contro il calunniatore, nel quale è consentito al giudice di rivalutare, ai fini dell’accertamento della falsit o meno della notizia di reato proveniente dal calunniatore, i fatti che hanno già formato oggetto di esame nel giudizio contro l’incolpato (ex plurimis: Sez. 6, n. 53614 del 03/12/2014, COGNOME, Rv. 261873 – 01; Sez. 6, n. 45907 del 15/10/2013, COGNOME, Rv. 257442 – 01; Sez. 6, n. 47314 del 12/11/2009, Cento, Rv. 245483; Sez. 3, n. 8823 del 13/01/2009, COGNOME, Rv. 242767; Sez. 6, n. 14096 del 16/01/2007, COGNOME, Rv. 236142).
3.3. Il giudicato formatosi sul reato oggetto di incolpazione deve, dunque, essere valutato autonomamente e liberamente nel giudizio per la calunnia.
Non è, pertanto, consentito inferire in modo automatico la sussistenza della calunnia a carico dell’accusatore dall’intervenuto proscioglimento nel merito per il reato di cui un soggetto era stato coscientemente incolpato.
Parimenti, il dubbio sulla sussistenza del reato presupposto, pur sancito da una sentenza irrevocabile, non giustifica di per sé solo il dubbio sulla sussistenza del reato di calunnia (Sez. 6, n. 8637 del 26/02/1979, COGNOME, Rv. 143174 01).
L’ordinamento processuale, del resto, non contempla alcuna disciplina relativa all’efficacia del giudicato nell’ambito di un altro procedimento penale, a differenza di quanto avviene per i rapporti fra il giudizio civile, amministrativo e disciplinare (artt. 651-654 cod. proc. pen.), e l’art. 238 bis cod. proc. pen., pur consentendo l’acquisizione in dibattimento delle sentenze divenute irrevocabili, dispone che siano valutate a norma degli artt. 187 e 192 comma terzo (Sez. 6, n. 14096 del 16/01/2007, COGNOME, Rv. 236142; Sez. 6, n. 5513 del 04/03/1996, Barletta, Rv. 204983 – 01).
L’acquisizione agli atti del procedimento, ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., di sentenze divenute irrevocabili non comporta, per il giudice di tale procedimento, alcun automatismo nel recepimento e nell’utilizzazione, a fini decisori, dei fatti e dei relativi giudizi contenuti nei passaggi argomentativi dell motivazione delle suddette sentenze, dovendosi, al contrario, ritenere che quel giudice conservi integra l’autonomia e la libertà delle operazioni logiche di accertamento e formulazione di giudizio a lui istituzionalmente riservate (Sez. 4, n. 10103 del 01/02/2023, COGNOME, Rv. 284130 – 01; Sez. 1, n. 11140 del
15/12/2015, dep. 16/03/2016, COGNOME, Rv. 266338 – 01).
La sentenza passata in giudicato preclude, dunque, un secondo giudizio solo nei confronti della medesima persona e per il medesimo fatto cui la pronuncia si riferisce, sicché, in caso di differente processo nei confronti di imputato diverso, non è precluso al giudice di accertare nuovamente il medesimo fatto storico, che potrà ritenere commesso con diverse modalità o perfino inesistente, mancando il requisito del «medesimo imputato» (Sez. 5, n. 21882 del 23/03/2023, La Fata, Rv. 284747 – 01; Sez. 5, n. 633 del 06/12/2017 (dep. 2018), COGNOME, Rv. 271928 – 01).
3.4. La Corte di appello di Torino ha, dunque, legittimamente escluso ogni efficacia pregiudiziale (e pregiudicante) della sentenza di assoluzione pronunciata dal Giudice di pace per il delitto.
I giudici dell’appello, muovendo da tale corretta premessa giuridica, hanno valutato la denuncia della parte lesa e le risultanze della sentenza del Giudice di Pace, rilevando che:
l’imputata, ubriaca, è rimasta coinvolta in una lite con altra donna e l’ha aggredita, brandendo come un’arma una bottiglia rotta;
che la persona offesa, uscita dal suo negozio, ha invitato l’imputata ad allontanarsi e l’imputata ha replicato, dicendo che, se fosse sopraggiunta la Polizia, «…dirò alla Polizia che mi hai picchiato tu», come poi in effetti ha fatto.
Secondo la Corte di appello, dunque, dalla sentenza del Giudice di Pace non sarebbe possibile ricavare elementi di prova in favore dell’assunto della difesa dell’imputata, che, peraltro, non ha chiarito la propria versione, in quanto è rimasta assente nel corso del giudizio di primo grado.
Tali rilievi, in quanto logicamente e congruamente motivati, si sottraggono al sindacato del giudice di legittimità.
3.5. La violazione di legge denunciata dalla ricorrente è, dunque, insussistente.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere rigettato.
La ricorrentedeve, pertanto, essere condannata, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2024.