Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10516 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10516 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a Fasano il 15/06/1993 NOME nato a Fasano il 29/04/1974 COGNOME NOME nato a Acquaviva delle Fonti il 21/06/1995 COGNOME NOME nato a Bari il 19/09/1996 avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce in data 17/04/2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; preso atto che il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria con la quale il Sostituto Procuratore generale NOME
Senatore ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 17/04/2024 la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza emessa in esito a rito abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brindisi, nei confronti degli odierni ricorrenti ed alt imputati non ricorrenti ha riconosciuto, quanto a NOME COGNOME, il vincolo della continuazione tra i reati giudicati e quelli oggetto della sentenza della Corte di appello di Bari del 10/01/2022, rideterminando la pena a lui inflitta per i delitti di associazione per delinquere ( capo A) e per una serie di reati fine (capi
H), H1), Z), W), X), Y); ha assolto Pistoia NOME dal delitto di cui al capo FF) riducendogli la pena e confermato, nel resto, l’impugnata sentenza.
Avverso tale pronuncia propongono distinti ricorsi per cassazione COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME e COGNOME Gaetano affidandoli ai seguenti motivi:
2.1.1. COGNOME: violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in riferimento ai delitti di rapina impropria aggravata e lesioni di cui ai capi W) e X).
Contesta il ricorrente l’affermazione di responsabilità siccome basata sul riconoscimento fotografico del Capitaneo da parte della persona offesa ritenuto dalla difesa privo di valenza dimostrativa perché connotato da incertezza e sui dati del “real positioning” che, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, non dimostrerebbero che l’imputato si trovava sul luogo della rapina.
2.1.2. Violazione di legge e illogicità della motivazione in relazione al delitto associativo di cui al capo A) posto che la consumazione dei delitti fine (i tre furti) sarebbero stati commessi da COGNOME in concorso con Pistoia, mentre COGNOME sarebbe intervenuto in una sola occasione, conseguentemente, non vi sarebbe il numero minimo di tre persone richiesto dalla norma per la configurabilità del delitto associativo.
2.1.3. Violazione di legge ed illogicità della motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche avendo l’imputato ammesso gli addebiti.
2.2.1. NOME deduce violazione di legge, illogicità e mancanza della motivazione perché meramente apparente. Il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere la sentenza impugnata adeguatamente motivata “per relationem”, poiché non ha considerato che la difesa aveva messo in luce carenze motivazionali date dal fatto che il GUP si era limitato ad un acritico recepimento delle considerazioni contenute nell’ordinanza cautelare.
2.2.2. Aggiunge la difesa, in relazione agli artt. 416 e 417 cod. pen., che non sarebbe dimostrato il pactum sceleris posto a fondamento del delitto associativo, né la partecipazione delle tre persone (Capitaneo, Cecere e Pistoia) alla consumazione dei delitti fine, sicchè la loro condotta andava inquadrata nell’ambito del concorso di persone nel reato difettando, da un punto di vista oggettivo, la prova dell’esistenza di un’organizzazione con carattere di permanenza ed indeterminatezza e, dal punto di vista soggettivo, il dolo di partecipazione anche in considerazione del limitatissimo arco temporale in contestazione, della mancanza di mezzi finanziari, di una cassa comune e del numero minimo di partecipanti.
2.2.3. Con riferimento al trattamento sanzionatorio il ricorrente si duole della mancanza di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche, alla ritenuta recidiva ed all’aumento per la continuazione.
2.3. COGNOME NOME con un unico articolato motivo lamenta violazione di legge ed illogicità della motivazione avendo la Corte di appello affermato la penale responsabilità del ricorrente per i delitti di cui ai capi W) e X), fondandola su prove inconsistenti (COGNOME infatti non sarebbe stato riconosciuto dalla persona offesa pur essendo la sua effige riportata nell’album fotografico sottoposto alla teste COGNOME).
2.4. COGNOME Gaetano con il primo motivo lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3 e 192 cod. proc. pen. per l’omessa valutazione degli argomenti difensivi con il quali era stata contestata la rilevanza probatoria delle intercettazioni poste a base dell’affermazione di responsabilità per i delitti di cui ai capi U) e V).
2.4.1. Con il secondo motivo lamenta la mancanza di motivazione in relazione alla applicazione della recidiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono tutti inammissibili.
2.0sserva la Corte che i motivi proposti sono, da un lato, privi della specificità prescritta dall’art. 581, lett. c) in relazione all’art. 591 cod. proc. pen dall’altro, manifestamente infondati: nella sentenza risultano affrontate tutte le questioni dedotte nei ricorsi e che peraltro erano già state proposte in appello. Deve, infatti, a questo riguardo rilevarsi che nel ricorso per cassazione contro la sentenza di appello non possono essere riproposte questioni che avevano formato oggetto dei motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici. Ne deriva, in ipotesi di riproposizione di una delle dette questioni con ricorso per cassazione, che la impugnazione deve essere dichiarata inammissibile a norma dell’art. 606, terzo comma, ultima parte, cod. proc. pen.
Esaminando nello specifico i singoli ricorsi va detto, quanto al ricorso di COGNOME, che le censure proposte si limitano a prospettare una valutazione delle prove diversa e più favorevole al ricorrente, rispetto a quella accolta nella sentenza di primo grado e confermata dalla sentenza di appello.
3.1. In sostanza si ripropongono questioni di mero fatto (circa il riconoscimento fotografico operato dal teste COGNOME e sulla valenza dimostrativa del “real positioning”) che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi logici; dalla
lettura della sentenza della Corte territoriale non emergono, nella valutazione delle prove, evidenti illogicità, risultando, invece, l’esistenza di un logi apparato argomentativo sulla base del quale si è pervenuti alla conferma della sentenza di primo grado in relazione ai delitti di cui ai capi W) e X) a lui ascrit (cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata).
3.2. Anche in relazione al delitto di cui al capo A) il ricorrente non si confronta con la dettagliata e giuridicamente corretta motivazione dei giudici di appello che alle pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata hanno esplicitato le ragioni del proprio convincimento in ordine alla ritenuta sussistenza della fattispecie associativa. La Corte di merito, alla luce della verifica in fatto delle plurim condotte realizzate dagli imputati, è pervenuta alla conclusione che fosse provata la sussistenza del delitto di cui all’art. 416 cod. pen., rilevando come dalla ricostruzione complessiva della vicenda, emergente da risultanze processuali oggettive, risultasse in modo eclatante un contesto posto ben al di là dell’occasionale concorso di persone nel reato, prefigurandosi invece l’esistenza di una struttura organizzata composta da almeno tre persone (Capitaneo, Pistoia e Cecere) nell’ambito della quale, al di là della costante partecipazione di tutti e tre i correi, a tutti i reati fine, risultava evidente come essi (anche il COGNOME di c il ricorrente dubita) avessero contribuito al perseguimento del comune programma associativo, costituito dalla perpetrazione di un numero indeterminato di furti di autovetture, caratterizzati da un ricorrente modus agendi, in un settore merceologico preventivamente individuato.
La Corte di appello ha indicato gli elementi dai quali ha desunto la partecipazione del COGNOME alla compagine criminosa, pertinentemente sottolineando che questi non solo si mostrò disponibile alla consumazione dei reati fine, ma mise a disposizione il garage utilizzato dai correi per il ricovero delle autovetture rubate, prese parte alla ripartizione degli introiti secondo le direttive del Capitaneo e manifestò la volontà di proseguire l’attività illecita insieme con Pistoia, al di della presenza di COGNOME.
La partecipazione di COGNOME, seppur limitata ad alcuni episodi delittuosi ( la rapina e i tre furti), diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, non ha determinato il venir meno del numero minimo di tre persone necessario per la configurabilità del reato associativo perché ciò che rileva non è il dato quantitativo della partecipazione di tutti i correi, a tutti i delitti fine, ma la q della partecipazione del singolo, sintomatica della consapevole volontà di fare parte del sodalizio criminoso per condividerne le finalità e l’attività svolta.
In base alla giurisprudenza di questa Corte che il Collegio condivide (Sez. 6 3886/2011, Rv. 251562; Sez. 2, 20451/2013, Rv. 256054) la peculiarità del delitto associativo sta proprio in tale particolare connotazione del pactum sceleris
che la distingue anche dall’ipotesi del concorso di persone nel reato, anche continuato,:nel primo caso la fattispecie astratta è caratterizzata da un vincolo fra tre o più persone tendenzialmente stabile o permanente volto alla commissione di un numero indeterminato di delitti al quale si accompagna la predisposizione di un minimo di organizzazione strutturale e la consapevolezza degli associati di fare parte del sodalizio e di contribuire con la loro condotta all’attuazione del comune programma delinquenziale; nel caso di concorso di persone, invece, si tratta di un accordo occasionale che si dissolve ogni volta all’esito della realizzazione della singola condotta criminosa.
Il ricorso di NOME a prescindere dal confuso e indistinto richiamo alle varie disposizioni processuali in tema di ricorso per cassazione contenuto nelle rubrica, è inammissibile perché volto a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio in ordine alla configurabilità del reato di cui all’art. 41 cod. pen.
4.1. La Corte di appello, con riguardo alle censure difensive che contestavano la sentenza del GUP perché acriticamente recettizia dell’ordinanza cautelare, ha pertinentemente osservato che il Giudice di primo grado aveva operato un vaglio critico del materiale probatorio perché, ad esempio, in relazione al furto di cui al capo FF), era pervenuto alla declaratoria di improcedibilità a causa del mutato regime normativo introdotto dal D.Igs. 150/2022.
Si tratta di un’osservazione corretta poiché, diversamente da quanto si assume nel ricorso, la verifica in ordine al regime di procedibilità di un reato, non
riduce ad una mera “presa d’atto”, ma implica una verifica degli elementi probatori, necessaria ai fini dell’esatta ricostruzionewicenda posto che non tutte le ipotesi di furto, ad esempio, sono divenute procedibili a querela.
4.2. Le ulteriori censure in merito alla configurabilità del delitto associativo sono sovrapponibili a quelle espresse da COGNOME;pertanto, al riguardo, è sufficiente richiamare quanto detto al punto 3.2.
4.3. Con riferimento al trattamento sanzionatorio, il motivo sul diniego delle attenuanti generiche e sull’aumento per la continuazione e la recidiva è generico. Il giudice di appello ha motivatamente escluso le circostanze attenuanti generiche trattandosi di soggetto pluripregiudicato; ha espressamente motivato in merito alla sua accresciuta pericolosità ed ha puntualmente indicato l’incremento di pena, invero assai contenuto (mesi dieci) a titolo di continuazione, tenuto conto della entità dei reati satellite (cfr. pag. 18 e segg. della sentenza impugnata).
Il ricorso di COGNOME COGNOME è parimenti inammissibile perché fondato su un motivo che si risolve nella pedissequa reiterazione di quanto già dedotto in appello e puntualmente disatteso dalla Corte di merito ( pag. 20 della sentenza impugnata) dovendosi peraltro sottolineare come l’osservazione difensiva circa il travisamento della prova (il mancato riconoscimento dell’effige del COGNOME presente nell’album sottoposto alla persona offesa ) non sia decisiva a fronte del complessivo materiale probatorio (intercettazioni e tabulati) che la Corte di appello ha valorizzato ai fini dalla ritenuta partecipazione di COGNOME ai delitti contestati ai capi W) e X)( cfr. pagg. 21 e 22).
Quanto al ricorso di COGNOME NOME, il primo motivo è manifestamente infondato.
6.1. La Corte di appello ha puntualmente argomentato in ordine alla responsabilità del ricorrente per i delitti di ricettazione di cui ai capi U) e facendo ponderato richiamo alla sentenza di primo grado e valorizzandone i passaggi argomentativi più significativi: le pagg. da 41 a 53 per il capo U) in cui sono riportate conversazioni tra COGNOME e COGNOME in cui i due interlocutori parlano apertamente della compravendita dei mezzi, quasi sempre “su ordinazione del COGNOME“, sottolineando che COGNOME non operava nel commercio di autovetture le quali, evidentemente, erano di provenienza furtiva; le pagg. da 54 a 61 della sentenza di primo grado per il capo V), in cui pure sono riportate intercettazioni dimostrative, sia del reato presupposto che della successiva consegna dell’auto rubata a COGNOME il quale, nelle intercettazioni, ne palesava il conseguito possesso.
Alla luce di tali pertinenti considerazioni deve ritenersi che la Corte di appello abbia adeguatamente assolto all’obbligo motivazionale dando conto in modo
logico del percorso argomentativo seguito e disattendendo i rilievi difensivi in ragione della loro incompatibilità rispetto alla determinazione assunta.
6.2. Palesemente infondato è anche il secondo motivo relativo al trattamento sanzionatorio che la Corte di appello ha giustificato richiamando le plurime condanne di cui il Mininni è gravato e motivando anche in ordine alla recidiva ed alla accresciuta pericolosità dimostrata con le ulteriori condotte illecite (cfr. pag 24 della sentenza impugnata).
In conclusione, anche in questo caso, le prospettate doglianze difensive non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità perchè restano inammissibili le censure che, analogamente a quelle prospettate nel presente ricorso, sono nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio diversa rispetto a quella, assolutamente ragionevole e plausibile, illustrata dai giudici di merit 7. All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione una somma in favore della Cassa delle Ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/02/2025