Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22648 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22648 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1.PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANZARO nei confronti di COGNOME NOME, nato in Australia il DATA_NASCITA; nei
2.NOME COGNOME, nato a FILADELFIA il DATA_NASCITA;
3.COGNOME NOME, nato a FILADELFIA il DATA_NASCITA;
4.NOME COGNOME, nato a LIM BADI il DATA_NASCITA,
avverso la sentenza del 23/02/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i quattro diversi ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo l’inammissibilità di tutti i ricorsi;
udito il difensore di NOME COGNOME, avvocato NOME COGNOME, che chiede l’inammissibilità del ricorso del P.G.;
udito il difensore di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, avvocato NOME COGNOME, che insiste per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
udito il difensore di NOME COGNOME, avvocato NOME COGNOME, che insiste per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 febbraio 2023 la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del 20 Aprile 2021 del Tribunale di Catanzaro, appellata da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per le condanne relative ai capi 1) e 2), assolveva quest’ultimo dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto, rideterminava, invece, le pene inflitte a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in anni nove di reclusione e 9.000 euro di multa ciascuno, confermando nel resto la condanna agli altri tre predetti imputati, con altresì la condanna alla rifusione delle spese di grado in favore della parte civile RAGIONE_SOCIALE
Avverso la predetta decisione propongono ricorso per cassazione da un lato la Procura generale presso la Corte di appello di Catanzaro in relazione all’assoluzione di NOME COGNOME, e dall’altro gli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con distinti ricorsi, in relazione alle condanne per i delitti di cui al capo 1), relativo agli artt. 110, 81, 629 e 628 n.3, 513-bis, cod. pen. e art. 7 L n.203/1990 (ora 416-bis.1 cod. pen.), e al capo 2), relativo agli artt. 110, 629 e 628 n.3, cod. pen. e art. 7 L. n.203/1990 (ora 416-bis.1 cod. pen.).
2.1. La Procura generale presso la Corte di appello di Catanzaro deduce con un unico motivo la violazione di legge, in relazione agli artt. 110 – 629 – 513-bis cod. pen. e 192, 125 cod. proc. pen., nonché il vizio della motivazione. In particolare, evidenzia che la sentenza impugnata, che ha assolto NOME COGNOME per non aver commesso il fatto in relazione ai capi 1) e 2) di cui sopra, avrebbe omesso di prendere in considerazione una serie di intercettazioni allegate al ricorso, il cui contenuto è stato in parte riportato nel motivo di impugnazione, dalle quali emergerebbe la piena consapevolezza in capo a NOME COGNOME degli accordi illeciti alla base dell’appalto per le opere civili dato dalla RAGIONE_SOCIALE, nonché della presenza delle cosche locali dietro le richieste economiche imposte alla società vittima della estorsione. I contenuti delle intercettazioni indicate nel ricorso avrebbero dovuto essere analizzate singolarmente e poi, però, considerate complessivamente, né sarebbe stata fornita dalla Corte territoriale alcuna spiegazione del perché esse non siano state considerate rilevanti.
2.2, Con riguardo a NOME COGNOME egli deduce quattro diversi motivi di ricorso.
Con il primo motivo eccepisce la violazione di legge in relazione agli articoli: 125, comma 3, 546, comma 1, lett. E), 192, commi 1 e 2, cod. proc. pen.; artt. 81, 513bis, 629, commi 1 e 2, in relazione all’art.628, terzo comma, n.3, e 416-bis.1 cod. pen.; artt. 111, comma 6, e 27, comma 3, Cost., nonché vizio della motivazione, con riferimento allo specifico profilo di apprezzamento relativo al riconoscimento del COGNOME quale soggetto incontrato da NOME COGNOME nel corso dei suoi viaggi presso località vibonesi. In particolare, si evidenzia che la sola testimonianza dell’agente di P.G. COGNOME non sarebbe certamente idonea ad individuare con certezza il ricorrente come l’interlocutore degli incontri con NOME COGNOME a NOME, a fronte delle conclusioni esposte dal consulente tecnico della difesa che escludeva la possibilità di una comparazione tecnico-fonetica sulla presunta voce del COGNOME, in ragione della brevità delle comunicazioni vocali registrate (precisamente nelle intercettazioni nn.26390 e 750). La Corte di appello avrebbe, perciò, errato nel momento in cui ha deciso di non svolgere alcun accertamento tecnico a fronte di un dato di per sé incerto come il riconoscimento della voce di COGNOME da parte del testimone COGNOME. Inoltre, sarebbe incongruente la motivazione laddove non spiega come mai l’imputato avrebbe dovuto contattare direttamente NOME lasciandogli un messaggio sulla segreteria telefonica, e non già tramite la mediazione di COGNOME, il quale, secondo la sentenza, fungeva da filtro delle sue comunicazioni telefoniche, contravvenendo così alla regola ritenuta ferrea di non parlare mai personalmente al telefono. Al pari, risulta l’inidoneità dei contatti tra NOME NOME NOME per perveni all’identificazione di NOME come il soggetto incontrato a NOME NOME NOMENOME
Con il secondo motivo eccepisce analogamente violazioni di legge (negli stessi termini di cui al primo motivo) e vizio della motivazione con riferimento all’apporto concorsuale astrattamente addebitabile al ricorrente nella perpetrazione della condotta delittuosa patita dalla persona offesa. In particolare, si evidenzia che l’unico elemento indiziario riferibile al COGNOME sarebbe l’intercettazione n.26390, in cui NOME COGNOME, mentre parlava con NOME COGNOME, avrebbe passato il telefono a COGNOME per un saluto. Tale fatto si sarebbe verificato il 28 giugno 2012, quindi in data successiva rispetto all’esecuzione delle opere relative al bypass di Cortale, che erano state completate alla data del 19 giugno 2012. Vi sarebbe, perciò, un vuoto argomentativo nella motivazione della sentenza impugnata, malgrado le sollecitazioni difensive, che possa collegare il COGNOME, al di là del rapporto di vicinanza tra quest’ultimo e NOME COGNOME, alle eventuali pregresse condotte estorsive nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE per la realizzazione dei lavori edili citati converso, vi sarebbe, perciò, l’assenza di un elemento costitutivo del reato in forma
concorsuale, ossia il contributo causale del singolo imputato rispetto alle condotte illecite altrui.
Con il terzo motivo deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3, e 546, comma 1, lett. e), 192, commi 1 e 2, cod. proc. pen.; 416-bis.1 e 628, comma terzo, n.3, cod. pen., artt. 111, comma 6, e 27, comma 3, Cost., nonché vizio della motivazione, in relazione all’aggravante mafiosa, che in appello è stata confermata in entrambe le forme del “metodo mafioso” e della “agevolazione mafiosa”. La Corte territoriale, infatti, quanto al cd. “metodo mafioso” non avrebbe fornito alcuna congrua motivazione relativamente al fatto che COGNOME avesse posto in essere una condotta idonea ad esercitare una particolare coazione psicologica con i caratteri propri dell’intimidazione derivante all’organizzazione criminale, cui asseritamente sarebbe appartenuto. Analogamente, sulla ritenuta “agevolazione mafiosa”, aggravante avente natura soggettiva e caratterizzata dalla necessità del dolo intenzionale, secondo i principi affermati dalle Sez. un. n.8545 del 19.12.2019, la sentenza non avrebbe fornito adeguata motivazione.
Infine, con il quarto motivo, si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, per la quale i giudici di appello avrebbero utilizzato mere clausole di stile, senza compiere un effettivo vaglio del caso concreto che andasse al di là del richiamo alla oggettiva gravità dei fatti contestati.
2.3. I ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME seppur distinti sono sovrapponibili; essi formulano nei rispettivi ricorsi cinque distinti motivi.
Con il primo si eccepisce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 178 cod. proc. pen., in quanto la Corte territoriale avrebbe fondato la decisione di condanna sulla base di conclusioni contenute in una sentenza, emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria in diverso procedimento per fatti analoghi, che è divenuta irrevocabile in data 1° marzo 2023, quindi dopo la pronuncia della Corte di appello di Catanzaro del 23/02/2023. La sentenza pronunciata in diverso procedimento non poteva, quindi, essere utilizzata ex art. 238-bis cod. proc. pen., ma solo come mero documento ex art. 234 cod. proc. pen.
Con il secondo motivo lamentano l’omessa motivazione o comunque la manifesta contraddittorietà della stessa, per non aver valutato la memoria difensiva depositata il 23 marzo 2021, con allegata documentazione e la relazione del consulente tecnico di parte, atti idonei a dimostrare l’innocenza dei rispettivi ricorrenti. Si deduce, altres la violazione degli artt. 513-bis e 629 cod. pen.; con riferimento alla condanna per il reato di cui all’art. 513-bis cod. pen., viene eccepito anche il vizio della motivazione, in quanto non sarebbe stata indicata alcuna prova del fatto che la scelta della ditta
COGNOME per la realizzazione delle opere civili oggetto delle imputazioni, sarebbe avvenuta a seguito di violenza o minaccia diretta ad una ditta concorrente. Quanto alla violazione dell’art. 629 cod. pen., delitto contestato in relazione “alla corresponsione di somme di denaro esorbitanti non rispetto al badget ma rispetto al corrispettivo contrattuale”, si deduce che la sentenza impugnata avrebbe affermato la sussistenza del reato solo in forza del contenuto di intercettazioni telefoniche del 29/06/2012 svolte tra NOME COGNOME e NOME COGNOME (manager della RAGIONE_SOCIALE), senza che nelle motivazioni siano stati indicati i termini degli accor contrattuali, l’entità dei lavori da eseguire e le somme pattuite per l’esecuzione, tutte circostanze esaminate dal C.T.P. ing. COGNOME, che nella sua relazione avrebbe, invece, dimostrato la congruità delle somme versate rispetto ai lavori effettuati e la mancanza di sovrafatturazione. I giudici di appello, quindi, avrebbero deciso solo in forza delle intercettazioni, senza provvedere ad una valutazione ex art. 192 cod. proc. pen. che tenesse conto degli ulteriori elementi di prova emersi nel corso del dibattimento.
Con il terzo motivo viene eccepita la violazione dell’art. 603 cod. pen. pen., perché la Corte di Catanzaro ha rigettato la richiesta di rinnovazione dell’istruttori dibattimentale senza valutare adeguatamente la rilevanza delle prove richieste, utilizzando unicamente la prova desunta dalle intercettazioni.
Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la mancanza di motivazione e la manifesta illogicità della stessa in ordine all’aggravante sia dell’agevolazione dell’associazione mafiosa sia del metodo mafioso, che la sentenza impugnata ha riconosciuto senza tener conto degli specifici motivi di appello. In particolare, ci si duole che la Cort territoriale abbia omesso di indicare elementi di prova circa specifiche condotte dalle quali emergerebbe l’utilizzo del metodo mafioso, da intendersi come un’esteriorizzazione della forza intimidatrice promanante dal vincolo associativo; analogamente, appare carente la motivazione nel fornire prova adeguata circa il dolo specifico richiesto per integrare l’aggravante, avente natura soggettiva, dell’agevolazione alla cosca mafiosa, non essendo sufficiente il fatto che NOME COGNOME sia stato ritenuto appartenente al sodalizio ‘RAGIONE_SOCIALE e non rilevando possibili vantaggi indiretti dell’associazione, né il semplice scopo di favorire un esponente di vertice della cosca. Tale iter argomentativo, fondato su una evidente presunzione, avrebbe riverberato i suoi effetti anche sulla posizione di NOME COGNOME, che di fatto sarebbe rimasto attratto dall’orbita della presunta caratura criminale attribuita a NOME COGNOME.
Infine, con il quinto motivo si dolgono del vizio di motivazione, ritenuta omessa, relativamente alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, nonché l’errore
nel calcolo della pena finale, in quanto l’aumento per la continuazione riguarderebbe un solo reato e quindi un unico aumento di pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili perché proposti con motivi diversi da quelli consentiti dalla legge o comunque manifestamente infondati. Sono, invece, fondati, per le ragioni di seguito esposte, sia il ricorso proposto dalla Procura generale di Catanzaro avverso l’assoluzione di NOME COGNOME sia quello presentato da NOME COGNOME.
2. Con riferimento al ricorso proposto dalla Procura generale va evidenziato che esso richiama una serie di intercettazioni di comunicazioni tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, l’indiscusso protagonista delle vicende estorsive oggetto della sentenza impugnata, nonché poche altre intercorse sempre tra NOME COGNOME ed il fratello NOME, coamministratore della società RAGIONE_SOCIALE, e con NOME COGNOME, dipendente della predetta società e originariamente imputato anch’egli dei due delitti contestati ai capi 1) e 2) per i quali è stato poi assolto. contenuto di queste conversazioni intercettate, in parte riportato nel ricorso del P.G. (che ha, inoltre, allegato la trascrizione integrale di ognuna delle intercettazion indicate), emerge che NOME COGNOME fosse a conoscenza del sistema illecito sotteso alla realizzazione delle opere civili appaltate dalla RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE, nonché della sovrafatturazione dei costi dei lavori edili di molto superiori rispetto a quelli pattuiti.
Di queste intercettazioni non vi è quasi traccia nella motivazione della sentenza impugnata, che, pur rilevando l’esistenza di gravi indizi a suo carico, sminuisce l’effettivo ruolo nella vicenda di NOME COGNOME, a cui viene attribuito all’intern della società RAGIONE_SOCIALE, coannministrata insieme al fratello NOME COGNOME, il mero svolgimento di “compiti di natura eminentemente tecnica, relativi alla esecuzione materiale dei lavori, mentre gli aspetti più propriamente gestionali e le scelte economico – imprenditoriali erano di pertinenza del fratello NOME COGNOME, che infatti compare sistematicamente nelle intercettazioni”, escludendo perciò l’esistenza del suo concorso nei reati che, invece, di fatto è riconosciuto in capo al fratello NOME COGNOME, giudicato però in separato procedimento.
Queste conclusioni appaiono sostanzialmente contraddette dal contenuto dei colloqui intercettati, che, come già evidenziato, sono avvenuti in più occasioni con NOME COGNOME, indicato dalla Corte territoriale, come l’esecutore materiale delle
minacce estorsive. Il Collegio ritiene, pertanto, che la sentenza impugnata contenga un deficit motivazionale laddove non prende in considerazioni una serie di intercettazioni certamente significative, né spiega perché esse siano state implicitamente considerate irrilevanti, giungendo, così, a conclusioni assolutorie che, nel loro complesso, risultano contraddittorie con altre affermazioni contenute in motivazione. Infatti, per un verso (si veda pag. 4 della sentenza) si attribuisce centralità nei fatti contestati alla società RAGIONE_SOCIALE, forma aggiudicataria dell’opera (avendo stipulato la convenzione con il Comune di Cortale per il bypass stradale) ma che sarebbe rimasta sostanzialmente estranea ai lavori, affidati alla ditta di NOME COGNOME in ragioni delle minacce di NOME COGNOME ai dirigenti della RAGIONE_SOCIALE, e per altro verso si esclude ogni rilevanza penale alle condotte di NOME COGNOME all’interno del meccanismo estorsivo descritto, riversando di fatto ogni responsabilità sul fratello NOME COGNOME, pur avendo entrambi il ruolo di amministratore della citata società.
Fermo quanto precede,la Corte d’appello dovrà, perciò, rivalutare le prove contenute nelle intercettazioni in atti, svolgendo una valutazione anche complessiva delle stesse, al fine di verificare se vi sono prove, oltre ogni ragionevole dubbio, sulla piena consapevolezza di NOME COGNOME di aver fornito un contributo concorsuale alle condotte di cui ai capi 1) e 2) in cui RAGIONE_SOCIALE è stata ritenut “strumento” per la realizzazione degli illeciti.
Per le ragioni sin qui esposte il ricorso della Procura generale di Catanzaro deve essere accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio sulle imputazioni di NOME COGNOME.
Quanto al ricorso di NOME COGNOME esso è articolato in diversi motivi, di cui il primo è infondato, il secondo, invece, deve essere accolto, ed i motivi terzo e quarto sono assorbiti dall’accoglimento del secondo.
3.1. Con riferimento al primo motivo di ricorso relativo al riconoscimento vocale di NOME COGNOME da parte del testimone COGNOME, agente di P.G. che aveva partecipato alle attività di indagine, esso è inammissibile perché aspecifico. Sul punto, va evidenziato che la Corte territoriale (si vedano Ag.34 e ss. della sentenza) ha disatteso i motivi di appello con ampia, coerente e compiuta motivazione, richiamando, peraltro, l’approfondita valutazione giudiziaria circa il riconoscimento vocale di COGNOME avvenuto con sentenza del 7 giugno 2022 della Corte di appello di Catanzaro, passata in giudicato il 27/06/2023, nel procedimento penale per fatti analoghi relativo alla realizzazione del parco eolico di San Leonardo di Cutro. Il motivo risulta ampiamente reiterativo di quanto già proposto nell’atto di appello, disatteso,
come detto, nella sentenza impugnata, con specifiche e puntuali argomentazioni, con le quali la difesa in buona parte non si è confrontata (come ad esempio sull’utilizzo ex art. 234 cod. proc. pen. dell’accertamento vocale compiuto in altro procedimento definito con sentenza irrevocabile): esso risulta, perciò, inammissibile perché aspecifico. Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è innanzitutto il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. La mancanza di specificità del motivo, dunque, va valutata anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., alla inammissibilità dell impugnazione, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822-01 e Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, COGNOME, in motivazione). Va ribadito, dunque, che sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l’aggiunta di espressioni che contestino, in termini assertivi e apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino – come nel caso di specie – di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di gravame non sono stat accolti (cfr. Sez. 2, n.33580 dell’ 1/08/2023, COGNOME, non massimata sul punto; Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521; Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, COGNOME, Rv. 267611; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, COGNOME, Rv. 256133).
Quanto alla censura inerente la decisione di non disporre alcun accertamento tecnico peritale sulle voci registrate attribuite al COGNOME, si rileva che la Corte catanzarese ha fatto proprio il principio di diritto affermato in maniera costante dalla Suprema Corte, secondo cui: “In tema di intercettazioni telefoniche, qualora sia contestata l’identificazione delle persone colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica, ma può trarre il proprio convincimento da altre circostanze – quali i contenuti delle conversazioni intercettate; il riconoscimento delle voci da parte del personale della polizia giudiziaria; le intestazioni formali delle schede telefoniche – che consentano di risalire con certezza all’identità degli interlocutori mentre incombe sulla parte che contesti il riconoscimento l’onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario” (cfr. Sez.5, n.20610 del 09/03/2021, COGNOME, Rv.281265-01; Sez. 2, n.12858 del 27/01/2017, COGNOME, Rv.269900-01). Questo Collegio intende ribadire il suddetto principio che consente di escludere l’eccepita violazione di legge, rilevando, altresì, che sono precluse al giudice di
legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decision impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (così, tra le tante, Sez.6, n.5465 del 4/11/2020, dep.2021, F., Rv.280601-01).
3.2. Il secondo motivo di ricorso è, invece, fondato e deve essere perciò accolto. Si osserva che le prove a carico di COGNOME sono state ricavate principalmente (si vedano in particolare le pagg. 7, 33 e 41 della sentenza impugnata) dal contenuto di due telefonate intercettate, entrambe avvenute in data 28 giugno 2012: nella prima (prog. n.26390) risulta che NOME COGNOME, mentre parlava al telefono con NOME COGNOME (coamministratore di RAGIONE_SOCIALE), passava il suo cellulare a COGNOME per un brevissimo saluto tra i due; nella seconda (prog. n.26570), di poco successiva, vi è una conversazione tra NOME e NOME COGNOME (dipendente di RAGIONE_SOCIALE), in cui il primo commenta l’episodio del breve scambio di battute tra COGNOME e NOME COGNOME. La Corte di appello, dopo aver descritto in dettaglio il contenuto delle due citate intercettazioni, afferma (pag. 41 della sentenza) che: “È chiaro quindi l’apporto concorsuale offerto da COGNOME alla condotta dei correi, consistito nel rafforzare la richiesta estorsiva dietro minaccia implicita (m esplicitata da NOME nel fornire ai destinatari l’interpretazione di quanto avvenuto: “sai che vuol dire, che domani mattina è meglio che prendete i camion e ve ne andate”) di impedire la prosecuzione dei lavori in caso di mancato soddisfacimento delle richieste. Il carattere unitario e la stretta cadenza temporale dell’intera vicenda (tutta concentrata nel mese di giugno 2012), in una con il rapporto ricoperto da COGNOME in altre vicende analoghe e coeve (l’estorsione del parco eolico di San Leonardo di Cutro, per il quale pure COGNOME ha riportato condanna), ragionevolmente dimostra che l’interesse di COGNOME non era estemporaneo, ma si inseriva nel contesto di accordi spartitori che riguardavano i rispettivi territori influenza, ai quali NOME aveva partecipato tramite COGNOME“. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Collegio rileva che la prima conversazione tra COGNOME e NOME COGNOME, valutata singolarmente non contiene alcun importante elemento indiziario, dato che tra i due vi fu un mero e cordiale scambio di saluti e l’epiteto “grande capo”, attribuito da COGNOME al COGNOME, non può modificare in termini significativi tale valutazione. Nella seconda telefonata intercettata, quella tra COGNOME e COGNOME, vi fu, invece, un’interlocuzione specifica in ordine ai lavori oggetto dell’estorsione, con un riferimento implicito fatto da COGNOME al possibile intervento del COGNOME, ricavabile, a suo dire, dal solo fatto che il ricorrente aveva poco prima parlato al telefono con COGNOME. I giudici di appello hanno fornito una lettura congiunta delle due telefonate,
giungendo poi ad affermare che da esse si ricaverebbe la prova dell’apporto concorsuale del COGNOME, specificamente nell’aver egli rafforzato in questo modo la richiesta estorsiva di cui esecutore era NOME COGNOME. Tuttavia, deve essere sottolineato che, nelle due telefonate intercettate, i colloqui avvenivano sempre tra soggetti coinvolti a diverso titolo nell’estorsione, non essendoci alcuna interlocuzione con i dirigenti della società vittima dei delitti contestati. Questi ultimi, senti dibattimento in qualità di persone offese, non hanno mai affermato di aver ricevuto minacce per conto del COGNOME, né di aver percepito che dietro ad NOME o ad altri protagonisti dell’estorsione vi fosse la presenza di NOME COGNOME. In questo quadro probatorio di natura meramente indiziaria, colgono nel segno le censure difensive, che hanno evidenziato un deficit motivazionale in ordine alla sussistenza di prove certe circa l’apporto concorsuale del COGNOME, evidenziando, peraltro, la contraddizione della motivazione della sentenza, laddove essa da un lato condanna l’odierno ricorrente in concorso per le estorsioni e l’illecita concorrenza relativa all opere civili del cd. bypass di Cortale di cui ai capi 1) e 2), e dall’altro, fa risal presunto intervento di COGNOME solo in un secondo momento, ovvero quando sarebbe sorto un contrasto sul pagamento della guardiania dei cantieri dei lavori stradali (si veda pag. 32 della sentenza impugnata), vicenda contestata al capo 3) dell’originaria imputazione e per la quale vi è però un giudicato assolutorio. La Corte di appello di Catanzaro, quindi, non si è confrontata adeguatamente con le censure del ricorrente che hanno preso spunto proprio dall’incerto dato temporale relativamente al contributo causale di COGNOME. Infatti, le due citate telefonate intercettate di cui sopra sono datate 28 giugno 2012, mentre le condotte illecite di cui ai capi 1) e 2) sono sicuramente antecedenti a quel giorno, non solo perché le date di consumazione dei reati ivi indicate sono formalmente antecedenti, ma perché l’intero compendio probatorio porta ad affermare che le minacce di NOME, che aveva imposto alla RAGIONE_SOCIALE l’affidamento dei lavori alla ditta di NOME COGNOME per il tramite dell formale subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE, risalivano ai mesi precedenti allorquando i lavori oggetto degli illeciti erano già iniziati da un po’ di tempo (a pag 4 si afferma che i lavori del bypass stradale sarebbero iniziati il 12 giugno 2012). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La sentenza deve essere perciò annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello, che, tenuto conto delle considerazioni sin qui esposte, dovrà rivalutare gli elementi indiziari a carico di NOME COGNOME per verificare, con motivazione più congrua, se egli ha effettivamente fornito un contributo causale, precisandone le caratteristiche in termini di concorso, alle condotte illecite di cui ai capi 1) e 2 tutto, al di là di ogni altra valutazione sul rapporto certo con NOME COGNOME e dei precedenti penali che riguardano entrambi. L’accoglimento di questo motivo di ricorso
assorbe, peraltro, gli altri due motivi di ricorso che presuppongono l’affermazione di responsabilità di NOME.
Quanto ai ricorsi proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME, che come detto sono sostanzialmente sovrapponibili, essi risultano inammissibili perché aspecifici, nei termini sopra delineati, e comunque manifestamente infondati.
Con riferimento al primo motivo, ossia l’utilizzo della sentenza pronunciata per fatti analoghi dalla Corte di appello di Reggio Calabria e divenuta irrevocabile in data di poco successiva rispetto a quella di emissione della sentenza impugnata, va evidenziato che in nessun passaggio della motivazione si afferma che la sentenza emessa in altro procedimento dalla Corte di Reggio Calabria veniva utilizzata dalla Corte catanzarese ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., come erroneamente sostenuto dai ricorrenti. Solo a pag.1 della sentenza si fa cenno al contenuto della decisione di Reggio Calabria, divenuta irrevocabile in data 10 marzo 2023, come mero incipit per la descrizione dell’origine delle attività investigative, salvo precisare, all successiva pag.3, che il prosieguo delle indagini aveva consentito di accertare i fatti relativi al parco eolico di Amaroni e oggetto delle presenti contestazioni. Il motivo è perciò manifestamente infondato, atteso che l’altra sentenza, ancorché passata in giudicato solo nel corso della stesura della motivazione di quella impugnata, ben poteva essere utilizzata come mero documento ex art. 234 cod. proc. pen.
4.1. Quanto al secondo motivo di ricorso relativo al presunto mancato esame della memoria difensiva del 23/03/2021, della documentazione e della consulenza tecnica, da parte del giudice di prime cure, il Collegio richiama il consolidato principio di questa Corte (così Sez.5, n.24437 del 17/01/2019, COGNOME, Rv.276511-01; conf. Sez.1, n.26536 del 24/06/2020, COGNOME, Rv. 279578-01), secondo cui: “La parte che deduce l’omessa valutazione di memorie difensive ha l’onere di indicare, pena la genericità del motivo di impugnazione, l’argomento decisivo per la ricostruzione del fatto contenuto nelle memorie e non valutato dal giudice nel provvedimento impugnato. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’omessa valutazione di memorie difensive non costituisce causa di nullità della decisione, ma può unicamente incidere sulla tenuta logico-giuridica della motivazione)”.
In ogni caso, la sentenza impugnata ha ampiamente dato conto delle censure proposte dai ricorrenti avverso la sentenza di primo grado, mostrando di non trascurare affatto le argomentazioni difensive. Le deduzioni relative alla presunta violazione di legge riguardante gli artt. 513-bis e 629 cod. pen., risultano, poi, aspecifiche nei termini sopra esposti, in quanto reiterative di doglianze già espresse negli atti di appello e non si confrontano con le motivazioni espresse dai giudici di
merito. Infatti, la sentenza impugnata ha correttamente applicato in ordine al delitto ex art. 513-bis cod. pen. il principio di diritto secondo cui: “Ai fini dell’integrazione del reato di concorrenza illecita ex art. 513-bis cod. pen. non è necessario che i comportamenti ivi contemplati siano diretti nei confronti dell’imprenditore concorrente, non essendo tale caratteristica espressamente richiesta dalla norma a fronte di condotte che ben possono coinvolgere anche persone diverse da quello” (così Sez.6, n.37520 del 18/04/2019, Rocca, Rv.276725-01; conf. Sez.2, n.34214 del 15/10/2020, Capriat,’Rv. 280237-02).
Quanto, invece, al contenuto dell’estorsione di cui al capo 1) le sentenze di primo e secondo grado, che vanno lette congiuntamente atteso il richiamo esplicito che viene effettuato dalla sentenza impugnata (si veda a pag.3, dove si evidenzia che “quando era sorta la necessità di modificare il tracciato stradale in territorio di Corta/e, ond consentire ai trasporti eccezionali di raggiungere il sito di installazione degli impian eolici, COGNOME per il tramite RAGIONE_SOCIALE, subappaltatrice del trasporto, aveva imposto alla RAGIONE_SOCIALE, che ne avrebbe in ultimo sopportato i costi, di affidare il lavoro alla ditta RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALEt tale assunto risulta confermato dalle intercettazioni del 29/05/2012 in cui – v. pag. 29 della motivazione – COGNOME convoca NOME COGNOME davanti a NOME COGNOME, dai commenti circa l’incontro da cui emerge come si fosse stabilito l’affidamento dei lavori stradali di Cortale alla ditta RAGIONE_SOCIALE nonché dalle intercettazioni dei colloqui tra COGNOME e NOME COGNOME, dipendente di RAGIONE_SOCIALE, da cui si comprende che le minacce di NOME ai dirigenti della RAGIONE_SOCIALE, sono espresse nell’interesse della ditta di NOME COGNOME, che, però, di fatto rispondeva al famoso “geometra” individuato nella persona di NOME COGNOME.
La sentenza impugnata con argomentazioni che non risultano viziate da manifesta illogicità o contraddittorietà esplicita i vari passaggi in cui si è sviluppata l’estorsi e la condotta di illecita concorrenza in favore della ditta RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE senza che le censure esposte nei ricorsi di COGNOME e di COGNOME inficino la coerenza e la compiutezza delle conclusioni dei giudici di merito.
Analoghe considerazioni possono svolgersi riguardo le censure relative al mancato svolgimento in dibattimento di approfondimenti tecnici sul valore delle opere realizzate, atteso che la Corte di appello ha ritenuto provata l’avvenuta estorsione in forza delle intercettazioni, tra cui in particolare quella del 29/06/2012 tra NOME COGNOME, project manager della RAGIONE_SOCIALE in cui quest’ultimo protestava per aver pagato ingenti importi di denaro in esubero rispetto al preventivo, somme difficili da giustificare nei confronti della propria azienda.
Le prove poste alla base della decisione di conferma della condanna di primo grado nei confronti degli imputati NOME e NOME sono dotate di una loro evidente efficacia
probatoria fornita dal contenuto esplicito delle numerose intercettazioni in atti, che evidenziano una chiara situazione di intimidazione dei dirigenti della RAGIONE_SOCIALEdi fronte alle richieste estorsive di NOME COGNOME, che, è bene ricordare, era soggetto del tutto estraneo alle formali parti contrattuali che, pertanto, non avevano ragioni per interloquire con lo stesso. Le censure dei ricorrenti sono, perciò, anche sotto questo profilo reiterative di doglianze già formulate negli atti di appello, su cui Corte territoriale ha fornito motivazioni adeguate.
4.2. Il terzo motivo di ricorso è del tutto generico, alla luce del consolidat orientamento della giurisprudenza di legittimità: “In tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, nell’ipotesi di cui all’art. 603, comma primo, cod. proc. pen. la riassunzione di prove già acquisite o l’assunzione di quelle nuove è subordinata alla condizione che i dati probatori raccolti in precedenza siano incerti e che l’incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisività, mentre, nel caso previsto dal secondo comma, il giudice è tenuto a disporre l’ammissione delle prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado negli stessi termini di cui all’art. 495, cod. proc. pen., con il solo limite costituito dalle richieste concerne prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti.” (così Sez.3, n.47963 del 13/09/2016, F., Rv. 268657-01). I ricorrenti, invece, non hanno indicato puntualmente le ragioni di decisività delle prove oggetto della richiesta di riassunzione ex art. 603, comma 1, cod. proc. pen., per cui il motivo si presenta come inammissibile.
4.3. Con riferimento al quarto motivo, in cui si eccepisce il vizio della motivazione in ordine alle aggravanti di cui all’art. 7 L. n.203/1991 (ora art. 416.1-bis cod. pen.) esso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Quanto all’utilizzo del cd. “metodo mafioso” la sentenza impugnata ha motivato con argomentazioni congrue, seppure in modo sintetico, facendo leva sulla notoria e palesata egemonia delle cosche della ‘ndrangheta in quel territorio; le minacce perentorie di far bloccare i lavori e mandar via i cantieri da parte di NOME (e quindi anche da parte dei suoi correi) erano espressione dell’esteriorizzazione del metodo mafioso, poiché le persone offese si erano rese ben conto che quelle minacce fossero espressione della forza intimidatrice derivante dall’associazione criminale, la ‘ndrangheta, radicata in quel territorio, a cui si aggiungeva il dato oggettivo che sia NOME, sia i ricorrenti NOME e NOME erano stati già condannati a vario titolo per delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.. Il Collegio, pertanto, intende ribadi principio, affermato già in precedenza dalla Corte in casi del tutto analoghi (così, Sez.2, n.19245 del 30/03/2017, Paiano, Rv.269938-01; conf. n.34786 del 31/05/2023, NOME, Rv.284950-01), secondo cui: “Ai fini della configurabilità
dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in I. 12 luglio 1991, n. 203), è sufficiente – in un territori in cui è radicata un’organizzazione mafiosa storica – che il soggetto agente faccia riferimento, in maniera anche contratta od implicita, al potere criminale dell’associazione, in quanto esso è di per sé noto alla collettività. (Nella fattispecie relativa ad un’estorsione commessa nel territorio calabrese, la Corte ha ritenuto che i toni percepiti come “mafiosi” dalla P. O. – destinataria della richiesta di uno dei due imputati, pregiudicato per reati gravi, di non eseguire lavori ottenuti in appalto, i modo da favorire l’altro imputato – consentissero di ritenere integrato il “metodo mafioso” di cui alla predetta aggravante, essendo tali toni ben conosciuti dall’imprenditoria del luogo, ove la ‘ndrangheta agisce, nella gestione delle attività economiche, in modo seriale, con modalità “tipiche” immediatamente distinguibili dalle vittime) “.
Quanto, invece, all’altro profilo dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen ossia la finalità agevolatrice dell’associazione mafiosa, va richiamato il principio affermato in massima dant Sezioni unite (sent., n.8545 del 19.12.2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734-01) secondo cui: “La circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe”.
Sul punto la Corte territoriale ha offerto una motivazione congrua e comunque non viziata per contraddittorietà o manifesta illogicità, sostenendo che: “..anche a prescindere dalla destinazione dei proventi dei reati a una cassa comune il fatto stesso della loro perpetrazione ha consolidato e accresciuto il prestigio e il predominio territoriale dei gruppi malavitosi di cui gli imputati COGNOME e COGNOME sono stati riconosciuti elementi apicali con sentenze definitive”. Con riferimento a NOME COGNOME, infatti, è provato che egli fosse considerato come un esponente di vertice dell’omonima cosca di RAGIONE_SOCIALE, e le condanne per fatti di mafia indicate dalla sentenza impugnata (v. pag. 45) ne costituiscono un oggettivo corollario. Il motivo di ricorso di COGNOME non si confronta con queste emergenze processuali e neppure con le argomentazioni utilizzate dalla Corte catanzarese, ma svolge censure astratte sulla presunta assenza del dolo specifico richiesto dall’aggravante de qua, tema che, in realtà, esula dal caso di specie atteso che l’agevolazione è stata individuata anche solo nell’accrescimento oggettivo del prestigio mafioso della cosca di NOME COGNOME derivante dall’aver imposto, ad una multinazionale come la RAGIONE_SOCIALE, la ditta di
NOME COGNOME per l’esecuzione dei lavori stradali, senza necessità di provare anche che i soldi estorti finissero nella “cassa” del sodalizio.
Analoghe considerazioni per la posizione di NOME COGNOME, beneficiario dell’estorsione e dell’illecita concorrenza per aver ottenuto il subappalto, che ha agito d’intesa con NOME COGNOME di cui ben conosceva il ruolo all’interno della cosca di RAGIONE_SOCIALE. Non a caso la sentenza impugnata ricorda che anch’egli è stato condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. nel processo denominato “Imponimento”, lui come partecipe del sodalizio quale “imprenditore di riferimento” e NOME COGNOME in qualità di capo del clan. In base al principio di diritto fissato dalla sentenza delle Sezion unite di cui sopra, è sufficiente che NOME COGNOME fosse consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (ossia NOME COGNOME) e tale presupposto appare senza dubbio provato dal concatenarsi dei fatti, così come emergenti dal contenuto delle intercettazioni telefoniche oggetto di attenta valutazione da parte dei giudici di merito.
4.4. Quanto, infine, al quinto motivo di ricorso esso è inammissibile per entrambi i profili prospettati dai ricorrenti.
In relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuati generiche, va ribadito che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il giudice di merito non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi dedotti dalle parti o rilevabil dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisiv comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (cfr. Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826). Detti t, GLYPH 3 principi sono stati riaffermati dalle Sezioni Unite,ì – emessa in tema di rapporti fra diniego delle attenuanti generiche e applicazione della recidiva (ai fini del calcolo della prescrizione), nella quale si è sostenuto che la meritevolezza dell’adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, con l’applicazione dell’art. 62-bis cod. pen., necessita, «quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento del attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di dett richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda» (così Sez. U, n. 20208 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, Rv. 275319, non mass. sul punto).
Anche i soli precedenti penali possono essere valorizzati per escluder riconoscimento delle attenuanti (cfr., Sez. 3, n. 34947 del 03/11/2020, S., 280444; Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, COGNOME, Rv. 274783; Sez. 5, n 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269). Il giudice di appello, inoltre, tenuto a motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando motivi di impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elem già sottoposti all’attenzione del giudice di primo grado e da quest’ultimo disatte quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragio ulteriore (cfr. Sez. 1, n. 33951 del 19/05/2021, Avallone, Rv. 281999).
Nel caso di specie, i giudici di appello si sono attenuti a tutti questi principi e indicando la presenza di precedenti penali e giudiziari, nonché l’assenza di v ragioni per il riconoscimento dell’attenuante richiesta.
Quanto al calcolo della sanzione la Corte di appello ha indicato come pena base que prevista per il reato di estorsione aggravata. Ha poi correttamente effettuat aumenti per la continuazione, uno relativo al delitto di cui all’art. 513-bis cod l’altro per un ulteriore episodio di estorsione, essendo state contestate ai capi due diverse estorsioni. Il motivo di ricorso è, perciò, manifestamente infondato.
Per tutte le considerazioni fin qui esposte, dunque, i ricorsi di COGNOME Rocc COGNOME NOME devono essere dichiarati inammissibili. Alla inammissibilità degli ste consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonch ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella deter della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte Cost. 13 giugno 2000 186), al versamento della somma, che si ritiene equa di euro tremila a favore d Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e di COGNOME NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello Catanzaro. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME e di COGNOME COGNOME ch condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 10 maggio 2024
DEPOSITATO IN CANCELLARIA