Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4197 Anno 2024
RITENUTO IN FATTO
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4197 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/10/2023
Con sentenza della Corte di appello di Genova del 9 marzo 2023 è stata confermata la decisione dle Tribunale di Genova del 12 novembre 2019 che aveva condannato COGNOME NOME alla pena di mesi 8 di reclusione e di euro 47.067,86 di multa relativamente al reato di cui agli art. 43 e 47 d. Igs. n. 504 del 1995, perché alterava le risultanze contabili rispetto alle giacenze fisiche presenti, facendo così figurare cali di entità superiori ciascuno al 10 % del limite consentito . Reato commesso il 30 marzo 2017.
L’imputato ha proposto ricorso in cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
1. Violazione di legge (art. 516 e 522 cod. proc. pen.); mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente alla indeterminatezza dell’imputazione.
La sentenza ha ricondotto il fatto all’art. 47 del d. Igs. 504/1995, mentre l’imputazione era riferita al solo art. 43, rilevando che nel dibattimento il fatto è stato ricostruito precisamente.
Tuttavia, non sono state applicati gli art. 516 e 521 cod. proc. pen. per la difesa del ricorrente.
La stessa Corte di appello rileva che la prova della dispersione del prodotto (incolpevole) gravava sull’imputato, che proprio in considerazione della mancanza di chiarezza dell’imputazione non ha potuto adeguatamente difendersi.
2. Violazione di legge (art 47 d. Igs. 504 del 1995); mancanza, contraddittorietà e manifesta infondatezza della motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Il ricorrente aveva presentato una denuncia di furto il 7 febbraio 2017 per dimostrare la mancanza del prodotto nei magazzini. La denuncia era relativa ad un furto di merci nell’azienda e travisando la prova la Corte di appello ha ritenuto che la denuncia non fosse specifica sulla quantità dei beni sottratta. Inoltre, il comandante della Stazione dei Carabinieri riferiva che nel periodo anche altre aziende avevano subito furti analoghi.
2. 3. Violazione di legge (art. 62 bis, 132 e 133 cod. pen.); mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La pena è stata determinata al di sopra del minimo edittale, senza una adeguata motivazione. Illogico risulta inoltre determinare la pena detentiva utilizzando il parametro delle accise non pagate, in quanto tale dato già risulta valorizzato nell’importo della pena pecuniaria (di euro 47.067,86).
Per le circostanze attenuanti generiche la sentenza la decisione non valuta la mancata commercializzazione dei prodotti sottratti al pagamento delle accise (quale elemento di minore disvalore della condotta).
Ha chiesto quindi l’annullamento della decisione impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. 3. Il ricorso è inammissibile.
I motivi del ricorso sono generici e ripetitivi dell’appello, senza critiche specifiche di legittimità alle motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre, il ricorso, valutato nel suo complesso, richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto, non consentita in sede di legittimità.
Manifestamente infondato il motivo processuale dell’inosservanza della legge processuale sulla specificazione dell’imputazione. La Corte di appello rileva che la condotta risultava chiaramente descritta nell’imputazione e la mancanza di richiamo alla disposizione di legge (art. 47, d. Igs. 504 del 1995, che rinvia per il trattamento sanzionatorio all’art. 43, indicato nell’imputazione) non ha inciso concretamente sul diritto di difesa del ricorrente. La sentenza evidenzia come il riferimento specifico nell’imputazione ad “accertate deficienze del prodotto in misura superiore al 10 % (oltre il calo consentito)” individua, chiaramente, la condotta prevista nell’art. 47 citato.
Del resto, “Il principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta violato quando nei fatti, rispettivamente descritti e ritenuti, non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, in rapporto di eterogeneità ed incompatibilità, rendendo impossibile per l’imputato difendersi, sicché il mutamento, ritenuto in sentenza, del dato qualitativo e quantitativo della sostanza stupefacente oggetto di contestazione, a fronte dell’identità del nucleo essenziale della condotta (nella specie, trasporto di ovuli di sostanza stupefacente occultati nell’intestino dall’imputato) non viola il principio di cui all’art. 521 cod. proc. pen., non incidendo tale diversità in modo significativo sul fatto e non pregiudicando le possibilità di difesa dell’imputato, ove lo stesso ne sia stato a conoscenza sulla base degli atti di indagine” (Sez. 3 – , Sentenza n. 7146 del 04/02/2021 Ud. (dep. 24/02/2021 ) Rv. 281477 – 01.
Nel caso in giudizio, l’imputato ha esercitato la sua difesa prospettando nel merito elementi relativi proprio alla fattispecie ritenuta in sentenza (la denuncia di furto).
5. Manifestamente infondato anche il motivo sulla mancanza dell’elemento soggettivo, in quanto la sentenza (unitamente alla decisione di primo grado in doppia conforme) evidenzia come, anche valutando la denuncia di furto, non sussiste la prova che il prodotto mancante fosse andato distrutto o perduto. Con valutazione di merito
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insindacabile in sede di legittimità la sentenza rileva che la denuncia di furto risulta generica non riferendo di sottrazione di prodotti sottoposti ad accise. La decisione logicamente evidenzia che una eventuale sottrazione sarebbe stata prontamente denunciata, anche se non nel preciso ammontare dei prodotti.
La decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) contiene, quindi, ampia e adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente.
In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 – dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482).
In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015, 0., Rv. 262965). In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa
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decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 – dep. 28/03/1995, COGNOME ed altri, Rv. 200705).
Sul trattamento sanzionatorio e sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche la decisione risulta adeguatamente motivato, rilevando la gravità del fatto (in relazione agli importi evasi) e i numerosi precedenti dell’imputato (plurime condanne per reati commessi nell’esercizio di attività di impresa).
Inoltre, la pena è stata determinata al di sotto della media edittale, di poco superiore al suo minimo edittale «In tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena» (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016 – dep. 15/09/2016, COGNOME e altro, Rv. 26794901; vedi anche Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015 – dep. 23/11/2015, COGNOME, Rv. 26528301 e Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013 – dep. 08/07/2013, COGNOME e altro, Rv. 25646401).
Per le circostanze attenuanti generiche la sentenza evidenzia l’assenza di elementi favorevoli e i numerosi precedenti penali.
Si tratta di una evidente valutazione di merito insindacabile in questa sede in quanto adeguatamente motivata.
Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in
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favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/10/2023