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Decreto di irreperibilità: nullità per ricerche incomplete

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per bancarotta a causa di un vizio di procedura. La notifica all’imputato per il giudizio d’appello era avvenuta tramite un decreto di irreperibilità, emesso però senza che fossero state effettuate tutte le ricerche obbligatorie previste dalla legge, come quelle nel luogo di nascita e di lavoro. La Corte ha stabilito che tale omissione rende nullo il decreto e, di conseguenza, tutti gli atti successivi, rinviando il processo a un nuovo giudizio d’appello.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Decreto di irreperibilità: perché ricerche incomplete portano alla nullità della sentenza

Il diritto alla difesa è uno dei pilastri fondamentali del nostro ordinamento giuridico. Affinché un processo sia equo, è indispensabile che l’imputato sia messo a conoscenza delle accuse a suo carico e abbia la possibilità di difendersi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, annullando una condanna per bancarotta a causa dell’illegittimità del decreto di irreperibilità emesso nei confronti dell’imputato. L’analisi della Corte si concentra sull’obbligo di effettuare ricerche complete e cumulative prima di poter dichiarare una persona ‘introvabile’ ai fini della notifica degli atti giudiziari.

I fatti del processo: dalla condanna per bancarotta al ricorso in Cassazione

Il caso trae origine da una condanna per bancarotta documentale semplice e per aver aggravato il dissesto finanziario della società. La sentenza, emessa dal Tribunale e confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello, veniva impugnata dall’imputato dinanzi alla Corte di Cassazione. Tra i vari motivi di ricorso, spiccava una censura di natura prettamente procedurale: la nullità della notifica del decreto di citazione per il giudizio d’appello.

L’imputato sosteneva che il decreto di irreperibilità, che aveva permesso la notifica dell’atto presso il suo difensore, era stato emesso senza che fossero state condotte ricerche adeguate e complete. In particolare, le autorità non avevano effettuato alcun accertamento né presso il suo luogo di nascita né presso il luogo in cui svolgeva la sua attività lavorativa, limitandosi a tentare la notifica presso la residenza e a effettuare due contatti telefonici, dai quali emergeva una sua presunta presenza all’estero, peraltro non verificata.

Il vizio procedurale e la validità del decreto di irreperibilità

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso, ritenendolo fondato. I giudici hanno sottolineato che, quando viene denunciato un error in procedendo, la Corte Suprema può esaminare direttamente gli atti del processo per verificare la fondatezza della doglianza. Dall’esame degli atti, è emerso che le ricerche per rintracciare l’imputato erano state effettivamente incomplete.

L’articolo 159 del Codice di Procedura Penale elenca specifici luoghi in cui l’imputato deve essere cercato: l’ultima residenza anagrafica, l’ultima dimora, il luogo dove abitualmente esercita l’attività lavorativa e, ‘particolarmente’, il luogo di nascita. La giurisprudenza costante, richiamata anche in questa sentenza, stabilisce che queste ricerche devono essere eseguite in modo ‘cumulativo’ e non ‘alternativo’. Ciò significa che l’autorità procedente deve esperire i tentativi di ricerca in tutti i luoghi indicati dalla norma, a meno che non sia oggettivamente impossibile farlo.

Le motivazioni della Corte: l’obbligo di ricerche cumulative

La Corte ha spiegato che l’emissione di un decreto di irreperibilità costituisce un’extrema ratio, ovvero un’ultima risorsa a cui ricorrere solo dopo aver esaurito tutti i tentativi ragionevolmente esperibili per rintracciare l’imputato. La norma, infatti, equipara la conoscenza legale dell’atto (quella che si realizza con la notifica al difensore) a quella sostanziale, ma solo a condizione che lo Stato abbia fatto tutto il possibile per garantire la conoscenza effettiva.

Nel caso di specie, l’omissione delle ricerche presso il luogo di nascita e quello di lavoro, entrambi noti alle autorità, ha costituito una violazione dell’articolo 159 c.p.p. Il semplice contatto telefonico, senza un effettivo riscontro e senza nemmeno informare l’interlocutore dell’atto da notificare, non può surrogare le attività di ricerca imposte dalla legge. Tale negligenza si traduce in una incompletezza delle indagini che vizia irrimediabilmente la procedura, rendendo nullo il decreto e, per effetto a cascata, tutti gli atti successivi, compresa la sentenza di condanna d’appello.

Le conclusioni: l’annullamento della sentenza e le implicazioni pratiche

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio. La decisione riafferma con forza un principio cardine del giusto processo: la dichiarazione di irreperibilità non può essere una scorciatoia procedurale, ma deve essere il risultato di un’attività di ricerca scrupolosa, completa e condotta in tutti i luoghi previsti dalla legge. Questa sentenza serve da monito per le autorità giudiziarie sull’importanza di garantire sempre e comunque l’effettiva conoscenza del procedimento all’imputato, a tutela del suo inviolabile diritto di difesa.

Quando è nullo un decreto di irreperibilità?
Un decreto di irreperibilità è nullo quando viene emesso senza che siano state svolte ricerche complete e cumulative per rintracciare l’imputato, in particolare omettendo le verifiche nei luoghi indicati obbligatoriamente dalla legge, come il luogo di nascita e quello di abituale attività lavorativa.

Le ricerche dell’imputato devono essere svolte in tutti i luoghi indicati dalla legge?
Sì, la Corte di Cassazione afferma che le ricerche previste dall’art. 159 del codice di procedura penale devono essere eseguite in modo cumulativo e non alternativo. L’omissione di ricerca in uno dei luoghi indicati, se conosciuto, vizia la procedura e rende nullo il decreto.

Un contatto telefonico con l’imputato è sufficiente per evitare ricerche più approfondite?
No. Secondo la sentenza, il semplice contatto telefonico, specialmente se non seguito da riscontri concreti sulla posizione dell’imputato e senza informarlo dell’atto da notificare, non è sufficiente a sostituire le ricerche fisiche imposte dalla legge nei luoghi prescritti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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