Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22593 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22593 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Poggioreale il 01/01/1954
avverso la sentenza del 01/07/2024 della Corte d’appello di Palermo
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso ;
letta la memoria depositata telematicamente dell’Avv. NOME COGNOME con cui in replica alla requisitoria del PG, ha chiesto l’integrale accoglimento del ricorso .
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 1° luglio 2024, la Corte d’appello di Palermo , in parziale riforma della sentenza del tribunale di Sciacca del l’8 novembre 2022, appellata da NOME COGNOME assolveva il medesimo dal reato di cui all’art. 47, d. lgs. n. 504 del 1995 sub capo b) della rubrica per insussistenza del fatto, dichiarando altresì non doversi procedere nei confronti del medesimo in ordine al reato di cui all’art. 40, comma 1, lett. b), d. lgs. citato, oggetto del capo c) della rubrica, perché estinto per prescrizione, per l’effetto rideterminando la pena , per il residuo reato di cui all’art. 40, comma 1, lett. b),
lgs. n. 504 del 1995, relativo al capo a) della rubrica (contestato per aver sottratto 6245,77 lt. di gasolio denaturato ad uso agricolo al pagamento dell’accisa, cedendolo e/o consumandolo senza versare la relativa imposta, in data antecedente a prossima al 22 febbraio 2017), in 9 mesi di reclusione ed euro 283.000,00 di multa, confermando nel resto l’appellata sentenza .
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo due motivi, di seguito enunciati ex art. 173, disp. att., cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Deduce, con un primo motivo, il vizio di violazione della legge processuale in relazione agli artt. 178, comma 1, lett. c) e 601, commi 1 e 2, cod. proc. pen.
In sintesi, si censura la sentenza impugnata sostenendo la lesione del diritto di difesa che si sarebbe verificata nel corso del giudizio di appello, in particolar modo con riferimento al decreto di citazione a giudizio. In tale decreto, in particolare, non risultava alcun riferimento al fatto che l’udienza del procedimento di appello in questione sarebbe stata trattata con modalità scritta, contrariamente a quanto espressamente previsto dall’articolo 601, comma terzo, cod. proc. pen. Nel decreto, infatti, l’imputato veniva invitato a comparire personalmente in udienza per essere presente alla relazione della causa, proporre i mezzi di difesa ed udire la sentenza che sarebbe stata pronunciata, con precisazione che tale decreto sarebbe valso quale avviso per il difensore. L’erroneità del contenuto del decreto di citazione avrebbe indotto l’imputato e la difesa a ritenere che fosse stata disposta, su richiesta della procura generale o d’ufficio, la trattazione con partecipazione delle parti al l’udienza. Solo in data 14 giugno 2024, ossia la data in cui venivano notificate le conclusioni da parte del pubblico ministero, la difesa apprendeva che il giudice di appello aveva inteso disporre la trattazione dell’udienza con le modalità cartolari. L ‘ erronea indicazione delle modalità di trattazione dell’udienza avrebbe comportato un vulnus rispetto all’esercizio del diritto di difesa dell’imputato, avendo impedito, da un lato, la possibilità di depositare memorie nel termine perentorio di 15 giorni prima dell’udienza e, dall’altro, avrebbe reso impossibile per la difesa avanzare tempestiva richiesta di trattazione orale. L’imputato, tra l’altro, non è potuto intervenire personalmente al giudizio d’appello nonostante nel decreto in questione fosse stato invitato a comparire personalmente. Sul punto, non si condividono le argomentazioni della Corte d’appello secondo la quale nessun concreto pregiudizio la difesa avrebbe subito dal decreto di fissazione udienza redatto con le predette modalità. Secondo la difesa, il fatto che la difesa abbia deciso, una volta appreso l’errore commesso dalla Corte d’appello nella formulazione del decreto, di depositare memoria di replica, non potrebbe avere alcun effetto sanante, avendo comunque patito l’ingiusto pregiudizio derivante dal non aver potuto richiedere la trattazione orale dell’udienza, essendo decaduta da tale
termine per cause ad essa non imputabili. Il giudice di appello avrebbe omesso di valutare il fatto che la difesa, nella memoria di replica, aveva espressamente richiesto l’annullamento del decreto di citazione a giudizio, con conseguente emissione di un nuovo decreto di citazione in modo da poter essere rimessa in termini per l’eventuale richiesta di trattazione orale dell’udienza. Si osserva come, sebbene la violazione delle disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 601 non rientri tra le nullità espressamente previste dal comma 6, la stessa dovrebbe comunque essere inquadrata tra le nullità di ordine generale di cui all’articolo 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., avendo risvolti sull’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato, osservandosi come tale nullità risulta essere stata immediatamente eccepita dalla difesa in sede di memoria di replica. La Corte territoriale avrebbe, tuttavia, ritenuto di ignorare l’eccezione difensiva e mantenere la trattazione scritta del procedimento d’appello, così impedendo la partecipazione personale dell’imputato al procedimento e la presentazione di memorie difensive sostitutive dell’arringa orale.
2.2. Deduce, con un secondo ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge ed il correlato vizio di motivazione in relazione all’art. 40, comma 1, lett. b), D.lgs. n. 504 del 1995, contestato ai capi a) e c).
In sintesi, si duole la difesa per non aver correttamente applicato i giudici la fattispecie penale di cui all’articolo 40, comma primo, lettera B), del decreto legislativo n. 504 del 1995, di cui non sussisterebbe l’elemento oggettivo. Il giudice di primo grado aveva infatti fondato la propria decisione sulla base dell’erroneo presupposto giuridico secondo cui l’accertamento di un’eccedenza di carburante rispetto alla capienza dei serbatoi autorizzati ai fini del deposito sarebbe parificabile ad una condotta di sottrazione all’accertamento fiscale, così qualificando il delitto contestato come reato di pericolo. Sostiene diversamente la difesa che il delitto in esame debba invece ritenersi come un reato di danno. La norma in questione è stata infatti pensata e introdotta dal legislatore al fine di punire esclusivamente le condotte che comportino un’effettiva sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa, e non già quelle che possano comportare un pericolo astratto di sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa medesima. A sostegno della natura di reato di danno, deporrebbe anche il fatto che è esplicitamente previsto al comma 3 dell’articolo 40 il tentativo di sottrazione all’accertamento o al pagamento delle accise, sicché è lapalissiano che, laddove la fattispecie delittuosa in oggetto fosse da ricondurre al genus del reato di pericolo e non di danno, non sarebbe certamente configurabile il tentativo, non essendo punibile il ‘ pericolo del pericolo ‘ . In altri termini, è necessario ai fini della configurazione della fattispecie che venga posta in essere dal soggetto agente una condotta volontariamente finalizzata a sottrarre all’accertamento il carburante sottoposto al regime fiscale agevolato, che comporti una lesione effettiva del bene giuridico tutelato. In altre parole, è necessario che si sia
verificata una concreta impossibilità, da parte dell’ente a cui è deputato tale accertamento, di verificare il corretto assolvimento delle accise dovute, e che ciò sia avvenuto per il tramite di comportamenti posti in essere dal soggetto agente funzionalmente volti a ottenere tale risultato. I giudici, nel caso di specie, hanno invece ritenuto sufficiente ai fini della configurabilità del reato il fatto che l’imputato abbia detenuto in alcuni frangenti temporali giacenze di carburante superiori alla soglia consentita in relazione al deposito di sua proprietà. Censurabile sarebbe poi l’aver motivato la sussistenza del delitto sulla base di una giurisprudenza formatasi relativamente alla diversa autonoma fattispecie contestata al capo B), laddove deve invece escludersi che possa estendersi estensivamente tale giurisprudenza alla disciplina del reato di cui al capo a), che non prevede alcuna presunzione contra reum e ciò, a maggior ragione laddove, come nel caso di specie, il deposito abbia natura di deposito commerciale e non di deposito fiscale. Se si ritenesse che una qualsiasi condotta astrattamente idonea a comportare un pericolo di sottrazione all’accertamento delle accise possa configurare il delitto nella forma consumata di cui all’articolo 40, la disposizione di cui al comma 3 del medesimo articolo risulterebbe inutiliter data , contrariamente all’evidente volontà del legislatore che ha inteso disciplinare in maniera autonoma il tentativo di sottrazione all’accertamento delle accise rispetto al reato consumato. I giudici non avrebbero peraltro spiegato le ragioni per cui sarebbe sussistente l’elemento oggettivo della fattispecie contestata ai capi A) e C) della rubrica, donde sussisterebbe un evidente difetto motivazionale.
In data 24 aprile 2025 è pervenuta requisitoria scritta del Procuratore Generale presso questa Corte , con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Quanto al primo motivo, secondo il PG l ‘apparato argomentativo della sentenza di appello sul punto è logico ed immune da censure. La difesa non ha subito nessun pregiudizio per effetto della trattazione del procedimento di appello in forma cartolare. Essa non ha articolato richieste di comparizione personale, di rinvio del procedimento o di restituzione in termini e ha presentato una memoria di replica, in cui ha illustrato le argomentazioni a sostegno del proprio assunto. L’eventuale nullità, a regime intermedio, eventualmente prodottasi deve ritenersi sanata.
Quanto al secondo motivo, premette il PG che per la integrazione della fattispecie criminosa in oggetto non sono richieste né l’immissione in commercio, né la destinazione al commercio dei prodotti sottratti al pagamento dell’accisa (Sez. 3, n. 9553 del 07/02/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 8322 del 07/02/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260609; Sez. 3, n. 10909 del 07/02/2007, COGNOME, Rv. 236089), mentre la successiva condotta di utilizzazione del prodotto non assume, tendenzialmente, rilievo penale, configurando un post factum non punibile; quando, tuttavia, non esiste alcuna cesura, sul piano logico e temporale, fra il
mutamento di destinazione ed il successivo utilizzo del bene, il reato viene integrato proprio attraverso l’utilizzazione del prodotto agevolato, con conseguente assoggettabilità a sequestro preventivo del bene strumentale attraverso il quale lo stesso prodotto viene fruito (Sez. 3, n. 24603 del 25/01/2017, Rv. 270514, COGNOME). Circa la «natura» del reato, l’art. 40 d.lgs. n. 504 del 1995, che sanziona la sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa sui prodotti energetici, disciplina un «delitto permanente», con la conseguenza che lo stato di flagranza, ai sensi dell’art. 382, comma 2, cod. proc. pen., perdura «fino al pagamento dell’accisa ovvero fino a quando l’agente, per atto volontario o per un provvedimento ablatorio da parte dell’autorità giudiziaria, non ha più la disponibilità del bene» (Sez. 3, n. 41139 del 25/06/2019, Guerra, Rv. 277981). Esso, inoltre, è un reato «a condotta libera» ed alla cui struttura sono estranei elementi di necessaria fraudolenza; per integrare il reato di sottrazione al pagamento dell’accisa sui carburanti, previsto dall’art. 40, comma 1, lett. b), d.lgs. cit., è sufficiente che la sottrazione si attui «con qualsiasi mezzo’, non essendo necessario che la condotta sia realizzata mediante particolari artifizi, accorgimenti o macchinazioni (Sez. 3, n. 39090 del 19/07/2017, COGNOME, Rv. 271783).
Ciò posto sui principi giurisprudenziali in materia, nella fattispecie in esame risulta accertata la consumazione del reato. La verifica di un deposito di una quantità di carburante agricolo in misura superiore a quella autorizzata aveva comportato una con dotta di sottrazione all’accertamento e al pagamento dell’accis a, laddove detto carburante, uscendo dal deposito fiscale, è immesso al consumo in misura superiore a quella di cui all’autorizzazione. Si trattava, quindi, di acquisto in eccedenza rispetto alla capienza del deposito autorizzato, per cui non poteva godere del regime di accise agevolato.
In data 7 maggio 2025, è pervenuta memoria depositata telematicamente dell’Avv. NOME COGNOME con cui , in replica alla requisitoria del PG, ha chiesto l’integrale accoglimento del ricorso.
In relazione al primo motivo di ricorso deve preliminarmente evidenziarsi, a giudizio della difesa, che, contrariamente a quanto affermato dalla Procura Generale, l’imputato ha patito una grave lesione del proprio diritto alla difesa per via dell’erronea formulazione del decreto di citazione a giudizio, non essendo stato precisato, contrariamente a quanto espressamente previsto ex art. art. 601 co. 3 c.p.p., che il giudizio si sarebbe svolto attraverso trattazione cartolare, senza partecipazione delle parti, ma anzi, addirittura, essendo stato indicata, nel decreto stesso, la partecipazione personale delle parti, così inducendo la difesa a ritenere che fosse stata disposta d’ufficio, ex art. 598 bis co. 3 c.p.p., la trattazione orale del procedimento. Alla difesa è stata così preclusa la possibilità di presentare memorie, ex art. 598 bis c.p.p., nel termine perentorio di giorni quindici dalla data dell’udienza, ed è stato invece possibile soltanto
depositare memorie di replica, con le quali, peraltro, si era tempestivamente eccepita la nullità del decreto di citazione in giudizio per violazione degli artt. 601 co. 2 e 3 c.p.p. Le erronee modalità di formulazione del decreto di citazione a giudizio hanno inoltre comportato la preclusione, per l’imputato, di poter chiedere di comparire personalmente all’udienza, contrariamente a quanto espressamente indicato nel decreto di citazio ne a giudizio (ove l’imputato veniva inviato a ‘comparire personalmente’ in udienza, benché, come successivamente emerso, la Corte Territoriale avesse inserito tale dicitura erroneamente, causando l’inevitabile fraintendimento in cui la difesa è incorsa). Per tali ragioni non può certo essere condivisa la tesi della pubblica accusa secondo la quale l’imputato non avrebbe patito alcun pregiudizio per via dell’erronea formulazione del decreto di citazione a giudizio. In ogni caso è, secondo l ‘ opinione del difensore, pacifica la violazione dell’art. 601 co. 3 c.p.p., posto, che, come noto, tale disposizione prevede espressamente che il decreto di citazione per il giudizio di appello debba contenere ‘l’avviso che si procederà con udienza in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti, salvo che l’appellante o, in ogni caso, l’imputato o il suo difensore chiedano di partecipare nel termine perentorio di quindici giorni dalla notifica del decreto’. Al più va valutato se tale violazione configuri una nullità di ordine generale, ex art. 178 c.p.p., o, piuttosto, una nullità assoluta, ex art. 179 c.p.p., dal momento che si tratta di una violazione che ha comportato l’assenza del difensore dell’imputato in un caso in cui ne è obbligatoria la presenza. D’altronde, in un caso analogo, Codesta Suprema Corte di cassazione si è recentemente pronunciata affermando che la celebrazione dell’udienza, in assenza del difensore dell’imputato che aveva fatto legittimo affidamento sulla trattazione orale del giudizio di appello, determina la violazione del diritto al contraddittorio e comporta, pertanto, la nullità assoluta ed insanabile della sentenza (cfr., il tal senso, Cass. Pen., Sez. II., 14 febbraio 2025, n. 7274). In ogni caso, persino laddove la violazione di cui sopra dovesse essere ricondotta alla meno grave nullità di cui all’art. 178 c.p.p., non può non evidenziarsi che tale nullità è stata tempestivamente eccepita dalla difesa, in sede di memorie di replica, che costituivano il primo momento processuale in cui tale eccezione avrebbe potuto essere sollevata. Pertanto, anche qualora la nullità in questione rientrasse tra quelle di cui all’art. 178 c.p.p., essendo stata tempestivamente eccepita, comporterebbe in ogni caso la nullità della sentenza impugnata.
Quanto, invece, al secondo motivo di ricorso, si evidenzia che, contrariamente a quanto rilevato dalla Procura Generale, la difesa non ha mai eccepito che la fattispecie oggetto di contestazione non sarebbe configurabile qualora l’immissione in commercio o la destinazione al commercio dei prodotti sottratti al pagamento dell’accisa non si verifichi. A ben vedere, tale circostanza, pur valorizzata dalla pubblica accusa nella propria requisitoria scritta, è irrilevante ai fini del presente giudizio, non essendo stato neppure accertata, né contestata, alcuna immissione al consumo in misura superiore rispetto all’autorizzazione di cui l’imputato era titolare. Oggetto della doglianza di cui al
secondo motivo del ricorso per Cassazione proposto attiene alla natura del delitto oggetto di contestazione nel procedimento penale de quo e, segnatamente, l’errore, in cui è incorso tanto il giudice di prime cure quanto quello di gravame, consistente nel ritenere il delitto di cui all’art. 40 co. 1 lett. b) D. Lgs. 504/1995 un reato di pericolo, laddove, invece, ad opinione dello scrivente difensore, ha natura di reato di danno. Come infatti evidenziato nel ricorso introduttivo del presente giudizio, la natura di reato di pericolo della disposizione normativa in questione sarebbe incompatibile da un lato con la configurabilità del tentativo nel medesimo reato – invece espressamente disciplinato dal Legislatore ex art. 40 co. 3 D. Lgs. 504/1995 e, dall’altro, con la ratio stessa dell’istituto, non comprendendosi per quale ragione il Legislatore avrebbe inteso parificare la mera condotta consistente nel detenere una quantità di carburante agricolo superiore alla soglia autorizzata, con la condotta di sottrazione al pagamento delle relative accise. È infatti evidente che mentre la condotta di effettiva sottrazione al pagamento delle accise – ad esempio attraverso la cessione di carburante a terzi senza relativo adempimento fiscale – lede il bene giuridico tutelato dalla norma in questione, di contro, la condotta dell’imputato -per come accertata all’esito del dibattimento – di mera detenzione di quantità di carburante superiori a quelle autorizzate non causa alcuna lesione al bene giuridico cui il delitto di cui all’art. art. 40 co.1 lett. b) D. Lgs. 504/1995 è posto a presidio. Si ritiene altresì non rilevante, ai fini del presente giudizio, la considerazione della Procura Generale secondo la quale l’acquisto in eccedenza rispetto alla capienza del deposito autorizzato avrebbe comportato il venir meno del regime di accise agevolato. Nel caso di specie, infatti, l’imputato è stato condannato non perché sia stata accertata, all’esito del dibattimento, alcuna effettiva cessione di carburante denaturato ad uso agricolo senza il relativo versamento dell’imposta, ma poiché, secondo il giudi ce di prime cure e di gravame, il mero superamento del limite autorizzato – ed a prescindere dalle ragioni che lo abbiano determinato – comporterebbe, ex se , la configurabilità del delitto oggetto di contestazione, anche qualora – come avvenuto nel caso di specie – non sia stata accertata alcuna cessione del carburante agricolo in questione, né, dunque, alcuna effettiva sottrazione, da parte dell’imputato, al pagamento delle accise dovute. Per mero tuziorismo difensivo si evidenzia infine, nella memoria di replica, che, nel corso del presente giudizio, risulta essere spirato il termine prescrizionale, in relazione alle condotte di cui al capo c), anche per l’a nno fiscale 2016, mentre per le annualità 2014 e 2015, si ricorda, era già stata pronunciata declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione da parte della Corte territoriale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È fondato il primo, assorbente, motivo di ricorso.
Ed invero non può condividersi la soluzione in diritto prospettata dalla Corte territoriale che ha respinto l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio eccepita con la memoria ex art. 598bis , comma 1, cod. proc. pen.
2.1. Risulta, invero, dagli atti, cui questa Corte ha fatto doverosamente accesso attesa la natura processuale dell’eccezione ( Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 -01) che, il decreto di citazione per il giudizio d’appello, fissato per il 1° luglio 2024, conteneva l’invito all’imputato a comparire personalmente per essere presente alla relazione della causa, proporre mezzi di difesa e udire la sentenza che sarebbe stata pronunciata, con l’ulteriore precisazione che detto decreto sarebbe valso quale avviso ex art. 601, comma 5, cod. proc. pen.
2.2. Risulta, altresì, che, in data 14/06/2024 erano state comunicate al difensore a mezzo PEC le conclusioni del PG ex art. 598bis , cod. proc. pen., come previsto dalla c.d. procedura camerale cartolare. Secondo la difesa, il predetto decreto sarebbe nullo in quanto privo dell’indicazione che si sarebbe proceduto in camera di consiglio, salva la facoltà per l’appellante di chiedere la trattazione in forma orale nel termine di 15 gg. dalla notifica del decreto, ciò che avrebbe determinato la violazione del diritto di difesa dell’imputato essendogli stata preclusa la possibilità di richiedere ex art. 601, comma 3, cod. proc. pen. la trattazione orale del procedimento nonché il deposito delle memorie nel termine di gg. 15 prima dell’udienza.
2.3. La Corte d’appello ha rigettato l’eccezione di nullità ritenendo che nessun concreto pregiudizio la difesa avrebbe subito dal fatto che il contenuto del decreto non contenesse le predette indicazioni, ma avesse il descritto contenuto. In particolare, l’intervenuto deposito della memoria di replica ex art. 598bis , cod. proc. pen. in cui nessuna richiesta istruttoria era stata avanzata né si era insistito per la comparizione personale dell’imputato, ma nella quale, piuttosto, si era proceduto a contestare le conclusioni rassegnate dal PG , insistendo nell’accoglimento dei motivi di appello, qualsiasi violazione del diritto di difesa.
2.4. Trattasi di conclusione che non può di essere condivisa.
Il contenuto del decreto di citazione a giudizio come sopra descritto -difforme dalla previsione normativa, all’epoca applicabile per effetto dell’art. 5 -duodecies della l. n. 199 del 2022, contenuta nell’art. 23 -bis, d.l. n. 137 del 2020 che disciplinava il procedimento cartolare in appello durante la fase dell’emergenza pandemica , inserito in sede di conversione con la l. n. 176 del 2020, prevedendo la facoltà delle parti di fare richiesta di discussione orale ‘ per iscritto … entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell’udienza ‘ -era idoneo ad indurre in errore sulla necessità di comparizione personale dell’imputato per l’udienza indicata.
In effetti, nel caso in esame è risultata pregiudicata la preminente esigenza di trasparenza ed inequivocità degli atti giudiziari e si è realizzata una compressione del diritto di intervento, assistenza e rappresentanza dell’imputato nel processo, posto che
la difesa è stata tratta in errore sulle diverse conseguenze processuali (per una situazione analoga, si v. Sez. 3, n. 2694 del 12/02/1992, Pradi, Rv. 190749 -01).
2.5. Tutto ciò, non solo in astratto, ma anche in concreto.
Ed infatti, si è effettivamente verificato un pregiudizio al diritto di difesa nel caso concreto, posto che, come risulta dagli atti ed evidenziato dallo stesso ricorrente, questi ebbe a ricevere la comunicazione a mezzo PEC delle conclusioni scritte del PG in data 14/06/2024, apprendendo che il giudice di appello aveva inteso disporre la trattazione dell’udienza con il c.d. contraddittorio cartolare.
Tanto premesso, dunque, il difensore non sarebbe stato in termini, a tale data, per proporre richiesta di discussione orale ex art. 23bis , comma 4, d.l. n. 137 del 2020, posto che dal 14 giugno 2024 alla data dell’udienza del 1° luglio 2024 non vi erano ‘ i quindici giorni liberi prima dell’udienza ‘ per la presentazione della richiesta .
Il precisato termine di quindici giorni, per come previsto dall’art. 23 -bis , comma 4, citato, si calcola a ritroso, e di esso è stabilito soltanto il momento finale. Di conseguenza, allo stesso si applica la previsione di cui all’art. 172, comma 5, cod. proc. pen., secondo la quale «quando è stabilito soltanto il momento finale, le unità di tempo stabilite per il termine si computano intere e libere». Da questa regola discende, secondo quanto più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, l’esclusione sia del dies a quo , sia del dies ad quem dal computo del termine del quale è stabilito soltanto il momento finale. L’unica eccezione a tale disciplina ricorre nel caso di festività della data di scadenza: in tale ipotesi, infatti, si applica l’art. 172, comma 3, cod. proc. pen., in forza del quale il termine che scade in giorno festivo è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo (così Sez. 1, n. 16356 del 20/03/2015, Piras, Rv. 263322-01, e Sez. 1, n. 3559 del 23/05/1996, Del COGNOME, Rv. 205316-01). E, proprio in applicazione del precisato principio, è stato ritenuto tardivo il deposito di motivi nuovi presentati in cancelleria in data 5 marzo con riferimento a udienza fissata per il 20 marzo (Sez. 1, n. 16356 del 2015, COGNOME, cit.), nonché tardivo il deposito di motivi nuovi presentati in cancelleria in data 17 giugno con riferimento ad un’udienza fissata per il 2 luglio (Sez. 3, n. 30333 del 23/04/2021, COGNOME, Rv. 281726 -01).
2.6. Nel caso di specie, il primo giorno di decorrenza non era festivo (il 15 giugno era di sabato), mentre il quindicesimo giorno cadeva in giorno festivo (domenica, ossia il 30 giugno), prorogato ex lege al lunedì 1° luglio 2024, data in cui è stata celebrata l’udienza .
Dunque, non essendovi i quindici giorni liberi prima dell’udienza, la difesa non avrebbe potuto depositare la richiesta di discussione orale in quanto la stessa sarebbe stata tardiva: ne consegue che la difesa è legittimata a dolersi della mancata attivazione del contraddittorio orale.
2.7. La circostanza, peraltro, di aver comunque provveduto a depositare la memoria di replica, interloquendo sulle conclusioni del PG e insistendo per l’accoglimento
dei motivi di appello, non sana detta nullità conseguente alla violazione del diritto di difesa, avendo infatti eccepito la difesa, nella memoria di replica depositata, la nullità del predetto decreto con richiesta di emissione di nuovo decreto di citazione a giudizio così da essere rimessa in termini per l’eventuale richiesta di trattazione orale dell’udienza.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso esime il Collegio dall ‘ esaminare il secondo motivo, atteso che per il residuo reato per cui si procede è decorso interamente alla data del 22 ottobre 2024 il termine massimo di prescrizione, considerato il periodo di sospensione di gg. 60 calcolato per il rinvio dell ‘ udienza del 16 novembre 2021 all ‘ udienza del 22 febbraio 2022, determinato da un legittimo impedimento.
Non ricorrono, infatti, le condizioni per una più ampia formula liberatoria di annullamento, possibile, come già autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274 – 01). Circostanze, nella specie, non rilevabili.
L ‘ impugnata sentenza dev ‘ essere, conclusivamente, annullata senza rinvio per essere il residuo reato estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il residuo reato è estinto per prescrizione.
Così deciso, il 16/05/2025