Debito di Valore: Quando la Restituzione Diventa Pieno Risarcimento
Con la sentenza n. 17497/2025, la Corte di Cassazione Penale affronta una questione cruciale relativa alle conseguenze civili di un reato: la natura dell’obbligazione di restituire somme illecitamente ottenute. La Corte stabilisce un principio fondamentale: tale obbligazione si configura come un debito di valore, e non di valuta, con importanti conseguenze pratiche per la quantificazione del risarcimento dovuto alla vittima.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da una condanna alla restituzione di somme di denaro che una persona aveva trattenuto indebitamente. Nel ricorso per Cassazione, la parte condannata sosteneva che l’obbligazione di restituzione dovesse essere considerata un ‘debito di valuta’, e quindi soggetta al principio nominalistico. Secondo questa tesi, la somma da restituire sarebbe dovuta essere esattamente quella nominale trattenuta all’epoca, senza alcun adeguamento per la svalutazione monetaria intervenuta nel frattempo. La Corte di Cassazione ha rigettato questa interpretazione, fornendo un’analisi dettagliata della natura dell’obbligazione risarcitoria derivante da fatto illecito.
La Distinzione tra ‘Reato Contratto’ e ‘Reato in Contratto’
Per inquadrare correttamente la questione, la Corte richiama la distinzione tra ‘reato contratto’ e ‘reato in contratto’.
* Reato Contratto: Si verifica quando la legge considera reato la stipulazione stessa del contratto. In questo caso, il negozio giuridico è integralmente illecito e il profitto che ne deriva è una conseguenza diretta del reato, soggetto a confisca.
* Reato in Contratto: In questa ipotesi, il contratto in sé è valido e lecito, ma il comportamento penalmente rilevante incide sulla fase di formazione della volontà o sull’esecuzione. Il profitto, quindi, non è direttamente collegato alla stipula, ma alla condotta illecita che la accompagna.
Nel caso in esame, la condotta illecita ha generato un profitto consistente in una somma di denaro. La Corte chiarisce che, anche in queste ipotesi, quando il profitto è frutto di una condotta penalmente sanzionata, l’obbligazione di restituirlo perde la sua natura originaria e si trasforma.
La Trasformazione in Debito di Valore
Il punto centrale della decisione è che l’obbligazione di restituire somme ottenute illecitamente si configura come un’obbligazione di risarcimento del danno da fatto illecito, ai sensi dell’art. 2043 del codice civile. Questa norma stabilisce che ‘qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno’.
L’obbligazione risarcitoria che nasce da un illecito extracontrattuale è, per consolidata giurisprudenza, un debito di valore. Il suo scopo non è restituire una somma predeterminata, ma reintegrare completamente il patrimonio del danneggiato, riportandolo nella stessa condizione economica in cui si sarebbe trovato se l’illecito non fosse mai avvenuto. Per questo motivo, non si applica il principio nominalistico.
Le Motivazioni della Corte
Le motivazioni della Corte si basano su due pilastri fondamentali. In primo luogo, l’illecito penale fa sorgere una responsabilità aquiliana, il cui fine è la completa reintegrazione del patrimonio leso. L’oggetto della prestazione non è più una somma di denaro in sé (come nel debito di valuta), ma il valore del bene sottratto al patrimonio della vittima. La somma di denaro originaria è solo un parametro iniziale per la quantificazione del danno, non l’oggetto finale dell’obbligazione.
In secondo luogo, la Corte afferma che il giudice deve quantificare il danno tenendo conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione. Questo compito spetta al giudice anche d’ufficio, proprio perché l’obiettivo è ripristinare il valore reale del patrimonio. Solo dopo aver rivalutato la somma, e in presenza di una specifica domanda, possono essere calcolati gli interessi moratori (come risarcimento per il lucro cessante), per evitare che il creditore riceva più di quanto avrebbe ottenuto con un adempimento tempestivo.
Le Conclusioni
La Corte di Cassazione, rigettando il ricorso, conferma la decisione del giudice di merito. La sentenza ribadisce un principio di equità e giustizia sostanziale: chi subisce un danno da un reato ha diritto a un risarcimento integrale, che non può essere eroso dall’inflazione. Qualificare l’obbligazione restitutoria come debito di valore assicura che il risarcimento sia effettivo e non meramente nominale. Questa decisione rafforza la tutela delle vittime di illeciti, garantendo che il tempo necessario per ottenere giustizia non diminuisca il valore economico del loro diritto al risarcimento.
Qual è la differenza tra un ‘debito di valuta’ e un ‘debito di valore’?
Un ‘debito di valuta’ ha per oggetto una somma di denaro predeterminata e si estingue pagando l’importo nominale (principio nominalistico). Un ‘debito di valore’ mira a ripristinare un valore economico perduto a causa di un danno; la somma di denaro è solo il mezzo per compensare tale perdita e deve essere rivalutata al momento del pagamento per riflettere il suo potere d’acquisto attuale.
Perché l’obbligazione di restituire somme ottenute illecitamente è considerata un debito di valore?
Perché tale obbligazione non nasce da un accordo contrattuale lecito, ma da un fatto illecito che ha causato un danno ingiusto. Di conseguenza, si applica l’articolo 2043 del codice civile sulla responsabilità extracontrattuale, il cui scopo è la reintegrazione completa del patrimonio del danneggiato, e non la semplice restituzione di una somma nominale.
Come viene calcolato il risarcimento per un debito di valore?
Il giudice quantifica il danno partendo dalla somma originaria, ma la rivaluta tenendo conto della svalutazione monetaria avvenuta fino alla data della liquidazione. A questa somma rivalutata possono poi essere aggiunti gli interessi (lucro cessante) se richiesti, calcolati in modo da compensare il ritardo nel pagamento senza causare un ingiusto arricchimento per il creditore.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 17497 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 17497 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/04/2025
a precisi elementi di fatto, appaiono non censurabili nella presente sede.
2. Quanto al motivo con il quale si Ł dedotta la natura di debito di valuta dell’obbligazione pecuniaria di restituzione delle somme trattenute indebitamente dalla Stigliano, lo stesso Ł anche esso non fondato. Va ricordato come nella giurisprudenza della Corte di legittimità sia stato enucleato un discrimen fra profitto conseguente da un “reato contratto” e profitto derivante da un “reato in contratto”. Nel primo caso – in cui la legge qualifica come reato unicamente la stipula di un contratto a prescindere dalla sua esecuzione – si determina un’immedesimazione del reato col negozio giuridico e quest’ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, con l’effetto che il relativo profitto Ł conseguenza immediata e diretta della medesima ed Ł, pertanto, assoggettabile a confisca; nel secondo caso – in cui il comportamento penalmente rilevante non coincide con la stipulazione del contratto in sØ, ma va ad incidere unicamente sulla fase di formazione della volontà contrattuale o su quella di esecuzione del programma negoziale – Ł possibile enucleare aspetti leciti del relativo rapporto, perchØ il contratto Ł assolutamente lecito e valido inter partes, con la conseguenza che il corrispondente profitto tratto dall’agente ben può essere non ricollegabile direttamente alla condotta sanzionata penalmente (Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, Rv. 239924).
Deve però affermarsi che anche nei reati in contratto, ove sia accertato che la realizzazione del profitto avente ad oggetto una somma di denaro sia frutto di una condotta illecita penalmente sanzionata, pur non procedibile per il maturarsi dell’effetto estintivo della prescrizione, il debito di valuta originariamente sussistente ‘perde’ le sue caratteristiche iniziali e diviene, in conseguenza della consumazione del reato, proprio un debito di valore; a tale conclusione si perviene sulla base della fondamentale previsione dell’art. 2043 cod.civ. in tema di risarcimento per fatto illecito ed in base al quale qualunque fatto doloso che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno.
Al proposito, poi, va ricordato come secondo la giurisprudenza civile della Corte di legittimità, l’obbligazione di risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale configura un debito di valore, in quanto diretta a reintegrare completamente il patrimonio del danneggiato, per cui resta sottratta al principio nominalistico e va dal giudice, anche d’ufficio, quantificata tenendo conto della svalutazione monetaria sopravvenuta, secondo gli indici di deprezzamento della moneta e fino alla data della liquidazione, solamente da tale data in quest’ultimo caso spettando (in presenza della necessaria domanda di risarcimento del lucro cessante da ritardato pagamento della somma rivalutata) gli interessi moratori, al tasso legale, sulla somma rivalutata, giacchØ altrimenti il creditore verrebbe a conseguire piø di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento dell’obbligazione. Tale configurazione non Ł destinata a mutare per il fatto che l’evento dannoso coincide con la perdita della somma di danaro investito, giacchØ nella responsabilità aquiliana – ove la obbligazione risarcitoria mira alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato – ai fini del risarcimento del danno viene in rilievo la perdita del valore oggetto nella specie dell’operazione
finanziaria, e ciò che il danneggiante deve non Ł la corresponsione di una data somma di danaro, ma l’integrale risarcimento del danno, di cui la somma originaria costituisce solo una componente, ai fini della relativa commisurazione. (Cass., Sez. 1 civ. 25 febbraio 2009, n. 4587). E si Ł anche affermato che, costituendo l’obbligazione di risarcimento del danno un’obbligazione di valore sottratta al principio nominalistico, la rivalutazione monetaria Ł dovuta a prescindere dalla prova della svalutazione monetaria da parte dell’investitore danneggiato, ed Ł quantificabile dal giudice, anche d’ufficio, tenendo conto della svalutazione sopravvenuta fino alla data della liquidazione. ¨ altresì risarcibile il nocumento finanziario (lucro cessante) subito a causa del ritardato conseguimento della somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno, con la tecnica degli interessi computati non sulla somma originaria nØ su quella rivalutata al momento della liquidazione, ma sulla somma originaria rivalutata anno per anno ovvero sulla somma rivalutata in base ad un indice medio (Cass., Sez. 1 civ. 25 febbraio 2009, n. 4587). L’applicazione dei suddetti principi comporta il rigetto del motivo di ricorso, poichŁ correttamente il giudice di merito ha valutato l’obbligazione risarcitoria quale debito di valore.
Al rigetto del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/04/2025.
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME