LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Datore di lavoro di fatto: la responsabilità penale

La Cassazione conferma la condanna per un imprenditore, ritenuto datore di lavoro di fatto e responsabile della sicurezza in un capannone, nonostante sostenesse di essere solo l’affittuario. La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso, basato su prove documentali deboli e sulla mancata assunzione di un teste ritenuto superfluo.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Datore di lavoro di fatto: quando la sostanza prevale sulla forma

La sicurezza sul lavoro è un tema centrale nel nostro ordinamento, e individuare il soggetto responsabile è cruciale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la responsabilità penale non si ferma ai contratti, ma guarda alla realtà operativa. In questo articolo, analizziamo il caso di un imprenditore condannato per violazioni sulla sicurezza, nonostante si difendesse sostenendo di essere un semplice affittuario, evidenziando il concetto di datore di lavoro di fatto.

I Fatti del Caso

Un imprenditore veniva condannato dal tribunale per la violazione di diverse norme sulla sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/2008) all’interno di un capannone. L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, sostenendo di non essere il datore di lavoro responsabile, ma semplicemente il conduttore (affittuario) dell’immobile.

A sua discolpa, presentava documentazione che avrebbe dovuto ricondurre l’attività lavorativa a soggetti terzi. Tuttavia, il quadro probatorio raccolto in primo grado raccontava una storia diversa: l’imprenditore non solo pagava regolarmente l’affitto, ma era sempre presente in loco durante i sopralluoghi delle autorità. Inoltre, il contratto di locazione originale vietava espressamente la sublocazione o la cessione dell’uso a terzi, rendendo le giustificazioni dell’imputato poco credibili.

La questione del datore di lavoro di fatto

Il cuore della vicenda ruota attorno alla figura del datore di lavoro di fatto. Nel diritto della sicurezza sul lavoro, non conta solo chi ha firmato il contratto di assunzione, ma chi esercita concretamente i poteri decisionali e organizzativi. Se una persona, pur non avendo un ruolo formale, gestisce l’attività, dà ordini e ha la responsabilità dell’unità produttiva, viene considerato a tutti gli effetti il datore di lavoro ai fini dell’applicazione delle norme antinfortunistiche.

L’imputato, nel suo ricorso, ha tentato di smontare questa ricostruzione, ma i suoi motivi sono stati giudicati generici e non sufficientemente specifici per contestare efficacemente le conclusioni del tribunale.

La Prova Decisiva non Ammessa

Un altro punto centrale del ricorso riguardava la mancata audizione del figlio dell’imputato. La difesa sosteneva che la sua testimonianza sarebbe stata una “prova decisiva” per confermare il ruolo di mero conduttore del padre. Tuttavia, il giudice aveva revocato l’ammissione di tale prova, ritenendola superflua. La Cassazione ha confermato questa scelta, spiegando che un giudice ha un potere più ampio nel revocare prove già ammesse se, nel corso del processo, emergono elementi che le rendono irrilevanti o non decisive.

La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno ritenuto che la motivazione della sentenza di primo grado fosse logica, coerente e ben fondata sugli elementi raccolti. Le argomentazioni dell’imputato sono state considerate mere riproposizioni della tesi difensiva, senza attaccare in modo specifico e decisivo il ragionamento del giudice.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si basano su due pilastri principali. Primo, la ricostruzione del ruolo di datore di lavoro di fatto era solida: la presenza costante dell’imputato, il pagamento dei canoni di locazione e la debolezza delle prove a discolpa (come un contratto di comodato definito di “scarsa qualità”) formavano un quadro probatorio granitico. La Corte ha sottolineato come l’imputato non abbia saputo fornire una spiegazione alternativa credibile e documentata.

Secondo, la revoca della testimonianza del figlio è stata giudicata legittima. Il giudice di merito aveva correttamente valutato la potenziale scarsa attendibilità del teste (a causa dei legami familiari), il rischio di autoincriminazione e, soprattutto, la sua superfluità di fronte a un quadro accusatorio già così chiaro e consolidato. La testimonianza, anche se favorevole, non avrebbe avuto la forza di ribaltare l’esito del processo.

Le conclusioni

Questa sentenza è un importante monito: in materia di sicurezza sul lavoro, le responsabilità vengono attribuite sulla base della situazione reale e non delle apparenze formali. Chiunque eserciti in concreto poteri direttivi e organizzativi su un’attività lavorativa è considerato un datore di lavoro di fatto e, come tale, è tenuto a garantire il rispetto di tutte le normative a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Nascondersi dietro a contratti di locazione o accordi poco chiari non è una strategia efficace per sfuggire alle proprie responsabilità penali.

Chi è considerato datore di lavoro ai fini della sicurezza sul lavoro?
È considerato datore di lavoro non solo il titolare formale del rapporto, ma anche chi, di fatto, esercita i poteri decisionali e di spesa e ha la responsabilità dell’organizzazione o dell’unità produttiva.

È possibile essere condannati come datore di lavoro di fatto anche se formalmente si è solo l’affittuario di un immobile?
Sì. La sentenza dimostra che se una persona, pur essendo solo l’affittuario, gestisce l’attività lavorativa svolta nell’immobile, paga le spese ed è costantemente presente, può essere ritenuto il datore di lavoro di fatto e quindi responsabile delle violazioni in materia di sicurezza.

Un giudice può rifiutarsi di ascoltare un testimone che era già stato ammesso?
Sì, il giudice può revocare l’ammissione di una prova, come la testimonianza, se nel corso del dibattimento la ritiene manifestamente superflua o irrilevante ai fini della decisione, specialmente se il quadro probatorio è già sufficientemente chiaro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati