Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 24417 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
TERZA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 3 Num. 24417 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/06/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 6102/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOME nato a Fucecchio il 01/08/1948; nel procedimento a carico del medesimo; avverso la sentenza del 10/10/2024 del tribunale di Lucca; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, dr. NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza di cui in epigrafe, il tribunale di Lucca condannava COGNOME NOME in ordine al reato ex art. 64 comma 1 e 68 comma 1 lett. b) del Dlgs. 81/2008.
2.Avverso la suindicata sentenza COGNOME tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi di impugnazione.
3.Deduce, con il primo, la violazione della legge penale, in ordine all’art. 24 Cost. e 64 comma 1 del Dlgs. 81/2008, non avendo il giudice tenuto conto di dati istruttori dimostrativi del ruolo dell’imputato quale mero conduttore del capannone interessato per le violazioni in materia di sicurezza sul lavoro contestate.
4.Con il secondo rappresenta la violazione della legge penale, in ordine all’art. 24 Cost. e 68 comma 1 del Dlgs. 81/2008, con inapplicabilità delle sanzioni correlate alla predetta norma per le suesposte ragioni.
5.Con il terzo motivo deduce la mancata assunzione di una prova decisiva, per il mancato esame del figlio del ricorrente, NOME, chiamato a confermare il contenuto della documentazione dimostrativa della innocenza del ricorrente, pur ammesso. Tale testimonianza avrebbe contribuito ad escludere la responsabilità dell’imputato, confermandone il ruolo di mero conduttore del capannone.
6.Con il quarto deduce il vizio di manifesta illogicità a fronte della assenza di prove del ruolo di datore di lavoro rispetto a collaboratori di una società terza, e la mancanza di prove a carico, atteso che quelle valorizzate non sarebbero conducenti e univoche rispetto alla responsabilità dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il primo, secondo e quarto motivo, siccome afferiscono al tema della prova e ricostruzione della responsabilità dell’imputato, sono omogenei e devono essere esaminati congiuntamente. Essi sono inammissibili. Il giudice ha evidenziato come in ordine al capannone adibito ad attività lavorativa, ove erano mancanti talune misure di sicurezza sul lavoro, indicate in contestazione,
risultava conduttore l’imputato, autore peraltro anche dei pagamenti per l’affitto e sempre presentein loco, in occasione dei due sopralluoghi svolti dalla polizia giudiziaria. Da qui l’attribuzione del ruolo di datore di lavoro rispetto alle attività lavorative ivi svolte e il giudizio di responsabilità. Il giudice ha anche esaminato documentazione tesa a ricondurre, secondo la difesa, le attività lavorative svolte nella struttura a soggetti diversi dall’imputato, evidenziando come si trattasse, con particolare riferimento ad un preteso contratto di comodato con RAGIONE_SOCIALE (di cui, secondo una visura camerale, svolgeva il ruolo di amministratore unico tal COGNOME), di un atto di scarsa qualità, inidoneo ad identificarne il firmatario, e dalla data incerta. Sottolineando in proposito, peraltro, a conferma della scarsa significatività dell’atto, anche il dato, certamente significativo, per cui l’originario contratto di locazione stipulato dall’imputato, prevedeva il divieto di sub locazione o qualsiasi cessione di uso a terzi. Il giudice ha anche evidenziato come non sia stata fornita documentazione a sostegno della tesi difensiva per cui l’imputato avrebbe preso in fitto parte dell’immobile, senza neppure chiarire da chi, per svolgervi un’attività immobiliare.
Rispetto a tale motivazione, congrua e coerente, si oppone in ricorso solo la tesi per cui i dati disponibili escluderebbero la ricostruzione del giudice e, in ultima analisi, il ruolo di datore di lavoro del ricorrente, e a supporto si citano plurimi documenti.
Si tratta di argomentazione generica, sia perchØ non si procede alla allegazione di quanto citato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, sia perchØ il ricorrente si limita ad una mera allegazione di atti senza illustrare, come doveroso, i passaggi significativi di ciascuno, e la ragione della idoneità a supportare la tesi difensiva e a sconfessare, in maniera in tal modo decisiva, il costrutto motivazionale della sentenza.
2.Quanto al terzo motivo, si premette che il potere giudiziale di revoca, per superfluità, delle prove già ammesse Ł, nel corso del dibattimento, piø ampio di quello esercitabile all’inizio del dibattimento stesso, momento, quest’ultimo, in cui il giudice può non ammettere soltanto le prove vietate dalla legge o quelle manifestamente superflue o irrilevanti; con la conseguenza che la censura di mancata escussione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della revoca della prova già ammessa, in una verifica della logicità e congruenza della relativa motivazione, raffrontata al materiale probatorio raccolto e valutato. (Sez. 3, n. 13095 del 17/01/2017, S., Rv. 269331 – 01). Tale verifica, in questa sede, porta ad evidenziare la adeguatezza della motivazione di revoca della testimonianza di NOME scevra come tale da ogni vizio. Invero, le ragioni della revoca, piø che valide, devono essere ricavate dalla complessiva sentenza, da cui risulta non solo che il giudice, al di là della rilevata possibile facoltà di non rispondere di cui il teste avrebbe potuto avvalersi, e di una sua ipotizzabiie autoincriminazione in caso di deposizione, ha valutato non solo la scarsa attendibilità della ipotetica deposizione di NOME in ragione dei suoi legami parentali con l’imputato, ma anche il carattere granitico degli elementi a carico del ricorrente, come sopra sintetizzati, anche a fronte della assenza, altresì, di elementi documentali a favore, pure in precedenza citati. In tale quadro, la considerazione di superfluità posta a base della esclusione finale del teste da parte del giudice appare adeguata e priva di vizi, così da ritenersi che sia stata ragionevolmente esclusa, in sostanza, la ipotetica portata in senso concretamente favorevole all’imputato, della predetta testimonianza.
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi Ł ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 03/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente COGNOME NOME