Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11189 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11189 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a COPERTINO il 23/10/1987
avverso l’ordinanza del 16/10/2024 del TRIBUNALE di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso e dell’avv.to NOME COGNOME difensore di Calabrese, che ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza depositata il 16/9/2024, il GIP del Tribunale di Lecce ha disposto nei confronti di COGNOME NOME l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per i delitti di cui agli artt. 74 d.P.R. 309/90 e 416 bis.1 cod. pen. (capo b) e 81, 110 cod. pen. e 73 d.P.R. 309/90 commi 1 e ibis (capi bl, b2, b4, b5 e b21).
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Lecce ha respinto la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di COGNOME condannando il medesimo al pagamento delle spese.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l’indagato, a mezzo del difensore di fiducia, che, con il primo motivo, denuncia la violazione di legge
sostanziale e processuale, “stabilita anche a pena di inutilizzabilità”, e il deficit d motivazione lamentando la violazione degli artt. 270 cod. proc. pen., 14 par. 1 direttiva 2014/41/UE, 8 d. Igs. 51/2018; 6, 47 e 52 par. 1 CEDU, 24 e 111 Cost., 73 e 74 d.P.R. 309/90.
Il motivo, in primo luogo, contesta l’utilizzabilità dei dati informatici relativi a comunicazioni intercorse sulla rete criptata RAGIONE_SOCIALE acquisiti mediante l’ordine europeo di indagine per le ragioni di seguito sintetizzate:
non era certo che l’attività d’intercettazione in territorio francese che aveva permesso l’acquisizione dei dati fosse stata disposta per l’accertamento di reati rientranti “nel novero di quelli di cui all’art. 266 cod. proc. pen.”;
erano rimasti ignoti: gli elementi che avevano permesso di associare “i codici IMEI con i codici identificativi e con i pin e gli username”; l’algoritmo di decifratura e il software di selezione; “le modalità con cui il rappresentante della pubblica accusa è pervenuto alla messaggistica versata nel relativo fascicolo”; gli elementi integranti i presupposti della “necessità” e della “proporzione” delle attività d’indagine nonché “le modalità di gestione dei dati”. Si era, quindi, in presenza di “informazioni ed elementi di prova”, in relazione ai quali gli indagati non erano stati in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni, la cui utilizzazione violava l’art. 14 par. 7 della direttiva 2014/41/UE;
si faceva discendere l’esito del giudizio da un “trattamento automatizzato” non regolato da una normativa che preveda garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell’interessato siccome previsto dall’art. 8 -d.lgs. 51/2018;
l’utilizzazione dei dati violava i principi sanciti dalla Grande Camera della Corte EDU nel caso NOME COGNOME c. Turchia e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella decisione n. 171/2024 del 4/10/2024 C-548/21.
3.1 Venendo, poi, agli elementi integranti il requisito dei gravi indizi, il ricors contesta, in primo luogo, il rigetto delle osservazioni difensive concernenti “l’impossibilità di comprendere l’entità della cassa del gruppo e le modalità di spartizione dei proventi”.
Si assume, ancora, che era “illogico ed erroneo” il processo inferenziale che aveva desunto la partecipazione di COGNOME all’associazione dal coinvolgimento nei reati fine attribuitigli e ciò in quanto:
Calabrese risultava aver effettuato forniture di droga in favore del gruppo di Soleti solo nei mesi di novembre e dicembre 2020 e febbraio e marzo 2021;
non era rimasto provato la capacità drogante della sostanza ceduta al clan COGNOME;
il “sistema ben collaudato” che permetteva il succedersi delle operazioni illecite trovava logica spiegazione anche al di fuori dell’ipotesi associativa;
le transazioni disvelate dalle indagini non presentavano peculiarità alcuna che potesse essere valorizzata in chiave associativa;
la motivazione del Tribunale del riesame in ordine all’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 non spiega le modalità con le quali l’indagato aveva agevolato la consorteria mafiosa o la ragione per la quale si ipotizza che fosse stato animato dal fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa e consapevole dell’ausilio prestato al sodalizio.
3.2 Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 274 e 275 comma 3 cod. proc. pen. e il deficit di motivazione.
Si lamenta che il Tribunale non aveva considerato:
il considerevole lasso temporale intercorso “tra la commissione dei presunti episodi illeciti e l’esecuzione della misura cautelare ( più di tre anni e mezzo)”;
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato risultando articolato in motivi a tratti non consentiti e comunque infondati.
Le eccezioni sollevate in relazione all’utilizzabilità delle conversazioni acquisite tramite gli ordini europei di indagine risultano o ignorare del tutto le risposte date ai corrispondenti motivi di gravame dal Tribunale oppure riproporre temi che le pronunce delle Sezioni unite in tema di acquisizione all’estero di messaggistica su sistemi criptati ( n. 23755 del 29/2/2024, Gjuzi e n. 23756 del 29/2/2024, COGNOME), richiamate nell’ordinanza impugnata, hanno esaminato giungendo a conclusione opposte rispetto a quelle del ricorrente.
Alla combinazione dei codici IMEI con i codici identificativi dei soggetti che si erano avvalsi dell’applicazione Sky-Ecc il Tribunale dedica ventidue pagine dell’ordinanza che richiamano i dati trasmessi dall’autorità giudiziaria francese e li confrontano con quelli forniti dai servizi di osservazione, dalle intercettazioni ambientali e telefoniche, dai sequestri e dai tracciati degli spostamenti rilevati dai GPS installati sulle vetture in uso ad alcuni degli indagati per sottolineare la “perfetta coerenza” delle informazioni derivanti dalle differenti fonti di prova. E, in effetti, la parte dell’ordinanza relativa ai gravi indizi di colpevolezza in relazione a reati fine rileva la piena convergenza delle informazioni acquisite dalla polizia giudiziaria e quelle ricavabili dalle comunicazioni della messaggistica RAGIONE_SOCIALE.
L’apparato argonnentativo esposto nell’ordinanza è però ignorato dal ricorrente che si limita a riproporre il tema déll’abbinamento dei codici IMEI agli username senza però individuare concrete ragioni di criticità in ordine i risultati cui l’ordinanza impugnata perviene.
Viene ancora individuata una lesione del diritto di difesa, che avrebbe impedito di assolvere l’onere di allegazione imposto dalle Sezioni unite, nella
impossibilità per i difensori di disporre dell’algoritmo che aveva permesso di decriptare le chat e del software che aveva selezionato i messaggi significativi associandoli agli identificati degli utilizzatori sull’assunto che tali programmi erano indispensabili per esercitare un controllo effettivo sulle operazioni di estrazione e selezione dei messaggi.
Tali doglianze, tuttavia, non risultano ignorate dal Tribunale che le ha superate richiamando i principi enunciati dalle Sezioni unite nonché dalla Corte di giustizia UE nella causa C-670/22 del 30/4/2024.
Militano a sfavore degli argomenti difensivi anche considerazione di ordine tecnico, già valorizzate in due sentenze di questa Corte (Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022 dep. 2023, COGNOME e Sez. 1, n. 6363 del 13/10/2022 (dep. 2023), COGNOME), che le Sezioni Unite ripropongono osservando che “l’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo, utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse, non determina una violazione dei diritti fondamentali di difesa, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, e l’utilizzo di una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente” (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Rv. 286589 – 05).
Inconferente risulta, poi, il richiamo fatto dal ricorrente all’art. 8 d.lgs 51/2018, non potendo il complesso processo valutativo che ha determinato la custodia cautelare in carcere essere equiparato al trattamento automatizzato dei dati definito dalla norma richiamata dalla difesa e dall’art. 22 del RE n. 679 del 2016.
Non maggiore rilevanza, ai fini della decisione, assume la decisione della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa NOME COGNOME c. Turchia risultando la decisione fondata su fatto che all’imputato era stato negato il diritto a conoscere il testo e gli interlocutori dei messaggi scambiati attraverso il sistema criptato di messaggistica telefonica Bylock.
Non pertenente risulta, anche, la sentenza della Corte di Giustizia dell’unione europea n. 171/2024 relativa al sequestro di un telefono cellulare e ai successivi tentativi di analizzarne il contenuto effettuati dalla polizia giudiziaria senza che vi fosse stato l’intervento di un pubblico ministero o di un giudice.
Dall’ordinanza del riesame si rileva che i telefoni utilizzati da COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME per comunicare attraverso il sistema criptato Sky-Ecc vennero sottoposti a sequestro il 25/2/2021 e il 13/4/2021 si procedette a un accertamento tecnico alla presenza dei difensori.
7. La censura incentrata sul titolo di reato per il quale l’autorità francese aveva disposto l’attività d’intercettazione e la sua riconducibilità al novero dei delitti cui all’art. 266 cod. proc. pen. confligge poi con i principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 23755 che, al paragrafo 7.5 del considerato in diritto, ha precisato che ai fini dell’utilizzabilità degli atti acquisiti mediante 0.I.E. dall’autor giudiziaria italiana “è necessario garantire il rispetto dei diritti fondamentali previst dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, ma non anche l’osservanza, da parte dello Stato di esecuzione, di tutte le disposizioni previste dall’ordinamento giuridico italiano in tema di formazione ed acquisizione di tali atti”. Ancora, la censura difensiva non tiene minimamente conto di quanto precisato nella medesima sentenza al punto successivo a quello appena richiamato, dove viene ribadito, riferendolo all’attività d’indagine che aveva permesso l’acquisizione dei dati in territorio estero, il principio secondo cui “nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilit collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale (perché appartenenti ad altro procedimento o anche – qualora si proceda con le forme del dibattimento – al fascicolo del pubblico ministero), al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l’eccezione si accompagna l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale (così Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De brio, Rv. 244329 – 01, e, in termini analoghi, Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229245 – 01; tra le tante successive conformi, cfr. Sez. 5, 23015 del 19/04/2023, COGNOME, Rv. 284519 -01, e Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, dep. 2018, Nunziato, Rv. 273007 – 01)”.
In ogni caso, sia l’ordinanza impugnata sia la sentenza delle Sezioni unite n. 23755 danno atto che “l’acquisizione dei dati relative alle comunicazioni intercorse attraverso il sistema criptato Sky-Ecc venne disposto dall’autorità giudiziaria estera in relazione ad indagini concernenti il narcotraffico”.
8. Venendo, quindi, alle censure relative alla sussistenza del requisito dei gravi indizi, il ricorso non si confronta con lo sforzo argomentativo profuso dal Tribunale per dimostrare l’esistenza dell’associazione e il ruolo di partecipe di Calabrese limitandosi a dedurre che non erano rimaste provate né “l’entità della cassa del gruppo” né “le modalità di spartizione dei proventi”. Il ricorso, però, non fa menzione alla risposta che ai rilievi difensivi viene data dal Tribunale e, soprattutto, oblitera del tutto gli elementi utilizzati dai giudici di merito p configurare l’associazione, dando conto l’ordinanza di una pluralità di indizi che dimostravano l’esistenza di un sodalizio di stampo mafioso, facente capo a Soleti
NOME, in grado di esercitare un controllo sulle attività, lecite e illecite, che avevano luogo in un esteso territorio della Provincia di Brindisi e che aveva nel narcotraffico una delle principali fonti di proventi, tanto che per la gestione delle operazioni legate allo smercio della droga era stata creata una apposita struttura.
Non maggiore attenzione il ricorso riserva agli elementi valorizzati dal Tribunale per desumere il ruolo di partecipe di Calabrese. A tal fine l’ordinanza sottolinea: la frequenza dei contatti fra COGNOME e i suoi sodali, COGNOME e COGNOME, con COGNOME, COGNOME e COGNOME; la stabilità del rapporto e la fiducia che ne discendeva, che consentivano il trasferimento di chili di cocaina e centinaia di migliaia di euro senza necessità di verifiche sul peso e sulla qualità della sostanza o di garanzie per i crediti derivati dalla cessione, risultando il pagamento solitamente differito rispetto alla consegna; le modalità “ben collaudate” di consumazione dei reati fine; l’importanza per l’associazione del canale di approvvigionamento costituito da COGNOME, Calabrese e COGNOME; la conoscenza approfondita da parte di COGNOME delle dinamiche interne dell’associazione e la condivisione dei criteri relativi alla distribuzione dei profitti; l’impiego da parte d vertici dell’associazione di Calabrese e di Roi per operazioni che imponevano l’impiego di correi affidabili e capaci.
La difesa non contestata il coinvolgimento di COGNOME nei reati di cessione, lamentando, come da qui a breve si dirà, solo la mancanza della prova della capacità drogante della sostanza, ma la rilevanza data a tali delitti ai fini del reato associativo. Viene, quindi, proposta una lettura alternativa degli indizi volta a ridimensionare i rapporti fra COGNOME, COGNOME e COGNOME, da una parte, e NOME, COGNOME e COGNOME, dall’altra, in modo da ricondurlo al rapporto sinallagmatico contrattuale inter partes senza alcun coinvolgimento dei primi nell’attuazione dei programmi criminosi dell’organizzazione, di cui gli altri erano elementi di spicco.
11. Le censure difensive, però, travalicano l’ambito del sindacato riservato a questa Corte sul provvedimento impugnato, risultando finalizzate ad ottenere una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dai giudici del merito, senza individuare profili di manifesta illogicità della motivazione in relazione al significato dimostrativo in essa assegnato agli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie ( Sez. U., n. 11 del 22/3/2000, Audino, R.v. 215828; Sez. 5, n. 17185 del 21/3/2024, Palermo).
Va ribadito, al riguardo, che allorquando sia denunciato con il ricorso per Cassazione il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte
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Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 19751 del 17/4/2024, Monticelli, 286527; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, COGNOME e altri, Rv. 237475).
Sono, quindi, inammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, proponendo una differente lettura delle vicende indagate o dello spessore degli indizi, mirano a ottenere una riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate ( Sez. 4, n. 19751/21; Sez. 1, n. 7445 del 20/11/2020, Lolli).
Con la doverosa precisazione che, quanto alla nozione di «gravi indizi di colpevolezza», la stessa non è omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, COGNOME, Rv. 257576). Al fine dell’adozione della misura, infatti, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati. I dett indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 cod. pen. proc., comma 2 (per questa ragione l’art. 273 cod. proc. pen., comma 1-bis richiama l’art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi (Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, COGNOME, Rv. 269179 – 01; conformi, ex multis: Sez. 2, n. 8948 del 10/11/2022, dep. 2023, Pino, Rv. 284262 – 01; Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 284299 – 02).
Ma, per completezza, non può farsi a meno di sottolineare che le censure difensive sono espressione di una valutazione frammentaria e strumentale del quadro indiziario.
L’ordinanza descrive un rapporto stabile di fornitura dello stupefacente assicurato dal ricorrente all’associazione, concretizzatosi nei mesi cui si riferiscono le attività d’indagine in una pluralità di cessioni, talvolta a distanza di pochi giorni per quantitativi di cocaina significativi, che rivelano, da una parte, l’allarmante capacità di Calabrese e dei suoi sodali di disporre di ingenti quantitativi di cocaina
e, specularmente, del clan COGNOME di immetterla sul mercato, e, dall’altra, proietta le singole operazioni, per il contenuto economico delle transazioni, rapportabile a valori espressi in decine e talvolta centinaia di migliaia di euro, e il carattere ripetitivo degli acquisiti, in una dimensione più ampia che delinea una struttura stabile, volta a facilitare l’attività illecita della consorteria facente capo a COGNOME alla medesima la disponibilità di un canale affidabile per l’approvvigionamento di cocaina.
E, difatti, la chat del 19/11/2020, la più risalente richiamata nell’ordinanza, disvela un rapporto a quella data già consolidato, caratterizzato dalla reciproca fiducia, che si sviluppava secondo modalità predefinite che rendevano superflue trattative volte a definiti i termini dell’accordo o a garantire il rispetto degli impeg assunti.
Anche la disponibilità in capo a COGNOME e COGNOME di telefoni in grado di avvalersi del sistema criptato Sky-Ecc e la disponibilità degli indirizzi su tale piattaforme utilizzati da Clemente e Preste, l’esigenza di comunicare i nuovi profili identificativi in occasione della sostituzione degli apparecchi telefonici, come ha correttamente sottolineato il Tribunale, costituiscono elementi sintomatici della stabilità e durevolezza del rapporto, ricorrendo a tale modalità di comunicazione solo i soggetti posti al vertice della struttura gerarchica facente capo a Soleti.
13. Le considerazioni innanzi esposte consentirebbero di disattendere anche le doglianze difensive relative alla configurazione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, desunta dal Tribunale dal consolidato rapporto di affari di Calabrese, COGNOME e COGNOME con COGNOME, COGNOME e COGNOME e dal collegamento dell’associazione dedita al traffico di stupefacenti con il clan di stampo mafioso comandato da COGNOME.
Sennonché l’ammissibilità delle censure difensive relative all’aggravante trova ostacolo nel principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di procedimento cautelare, sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per Cassazione quando l’impugnazione sia volta ad ottenere l’esclusione di un’aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull'”an” o sul “quomodo” della misura.
Incidenza in ordine alla quale il ricorso non fornisce alcun dato ( Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022 (dep. 2023 ), COGNOME, Rv. 284489 – 01; Sez. 3, n. 20891 del 18/06/2020, COGNOME, Rv. 279508; Sez. 6, n. 5213 del 11/12/2018, COGNOME, Rv. 275028; Sez. 6, n. 50980 del 21/11/2013, Fabricino, Rv. 258502 – 01) e che il reato associativo fondante la misura, per il quale opera la presunzione di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., rende di non immediata constatazione.
14. Infondate risultano, anche, le censure relative ai reati scopo, avendo il Tribunale dato una interpretazione delle chat richiamate dalla difesa per mettere
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in dubbio la capacità drogante della sostanza ceduta aderente al testo dei massaggi scambiati e priva di palesi incongruenze. Gli argomenti difensivi, pertanto, non vulnerano, sotto il profilo della logicità, l’iter argomentativo che ha portato il Tribunale a ritenere che i messaggi dimostravano la contrarietà di COGNOME e NOME per la consistenza di alcuni panetti di cocaina senza mettere in discussione la qualità della sostanza, tant’è vero che non risulta che alcun quantitativo di sostanza sia stato restituito a Calabrese.
Giova, anche, ricordare che la portata dimostrativa del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 – 01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 – 01; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, deo. 30/04/2008, COGNOME, Rv. 239724).
Infondato risulta anche il motivo volto a contestare la sussistenza della concretezza e attualità delle esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere.
Il Tribunale, innanzitutto, richiama, ribadendone la validità in chiave prognostica, la motivazione del provvedimento genetico in tema di esigenze cautelari che aveva fondato la pericolosità del ricorrente non soltanto sull’operatività dell’associazione in tempi prossimi alla data di adozione della misura e sul consolidamento del sodalizio mafioso nel contesto territoriale dove ormai aveva affermato la propria egemonia ma anche sul rischio di commissione, da parte degli indagati, di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che avevano consentito i redditizi traffici dell’associazione, così recependo il consolidato orientamento di legittimità formatosi in materia (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293 – 01; conf. Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280243 – 01).
E difatti l’ordinanza del GIP sottolinea:
la prossimità temporale dei fatti per cui era stata disposta la cautela, risultando l’operatività dell’associazione sino al gennaio 2022;
il collegamento fra l’associazione dedita al traffico di stupefacenti con una consorteria di stampo mafioso che “con il passare degli anni aveva consolidato la propria egemonia”;
la pericolosità degli indagati nei cui confronti era stata disposta la custodia in carcere, anche estranei all’associazione, che, per la “ripetitività e frequenza dei
NOME COGNOME
reati fine”, del “notevole lasso temporale nel quale erano stati commessi” e dell’attualità dei fatti reato, avevano dimostrato di poter contare su canali di approvvigionamento e reti di smaltimento in grado di movimentare chili di cocaina in tempi assai contenuti.
L’ordinanza impugnata, inoltre, opportunamente rimarca i precedenti penali di Calabrese, fra i quali spiccano una condanna per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 e una condanna per il reato di cui all’art. 73 stesso d.P.R. per fatti del 2022 e i carichi pendenti per ribadire tanto la pericolosità del ricorrente quanto l’inadeguatezza di misure diverse da quella applicata ad assicurare il soddisfacimento delle esigenze cautelari.
Si è, quindi, in presenza di un’argomentazione articolata, che valorizza non soltanto la presunzione relativa discendente dalla configurazione del reato associativo, per escludere che sussistano elementi che ne consentano il superamento, ma anche la negativa personalità dell’indagato, lumeggiata dalla “serie nutrita di precedenti penali” e da una allarmante volontà di locupletazione attraverso lo spaccio di droga, come dimostra la commissione dei fatti nonostante le condanne riportate e i periodi di restrizione subiti. .
16. Con tale apparato argomentativo il ricorrente sostanzialmente non si confronta, limitandosi a enfatizzare il c.d. tempo silente senza però conformare la dimensione temporale con la storia e la personalità dell’indagato, quali ricostruite dai giudici di merito, che disvelano una propensione criminale e una pericolosità che le precedenti condanne non avevano scalfito.
Il decorso del tempo ha, però, un significato neutro, positivo o negativo, a seconda di come il soggetto destinatario della cautela interpreti e viva tale decorso potendo argomentarsi che, nonostante un cospicuo intervallo cronologico, la persistente adesione al contesto criminogenetico di origine o agli interessi che lo supportano accresca le esigenze cautelari, giacché la propensione alla recidiva si è rivelata inossidabile al trascorrere del tempo oppure, per converso, è possibile affermare che il decorso del tempo, se colorato di significati positivi, ha determinato un progressivo recupero alla socialità del soggetto in cautela.
Nel caso di specie, la stessa difesa nel ricorso non è stata in grado di individuare elemento alcuno in grado di connotare in senso favorevole il decorrere del tempo, per cui quello che resta è l’allarmante serie di precedenti penali, la rete di contatti che permetteva la commercializzazione di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti e una volontà di arricchimento tramite il delitto che non ha trovato alcun argine nelle detenzioni e nelle misure cautelari applicate, elementi che impediscono di assegnare al, peraltro breve, periodo temporale intercorso fra l’ultimo dei reati fine e l’applicazione della misura cautelare la rilevanza assegnata dalla difesa.
All’infondatezza del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 19/2/2024.