Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26700 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo italiano
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26700 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/05/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
Ercole COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
NOME Di NOME COGNOME
NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
– Presidente –
– Relatore –
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Taranto il 14/12/1963
COGNOME NOMECOGNOME nato a Taranto il 25/01/1987
NOMECOGNOME nata a Taranto il 06/07/1992
avverso la ordinanza del 07/11/2024 della Corte di appello di Potenza visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano
dichiarati inammissibili;
lette le conclusioni del comune difensore, avv. NOME COGNOME che ha chiesto di annullare l’impugnato provvedimento in accoglimento dei ricorsi proposti.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la ordinanza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Potenza rigettava l’istanza di revocazione, proposta il 10 febbraio 2024 da NOME
COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, della misura di prevenzione della confisca disposta nei loro confronti con decreto del Tribunale di Lecce del 9 febbraio
Sent. n. sez. 779/25
CC – 19/05/2025
R.G.N. 6520/2025
2022 (divenuto irrevocabile a seguito di sentenza della Suprema Corte, Sez. 2, n.
34801 del 6 luglio 2023).
La misura patrimoniale era stata disposta nel procedimento di prevenzione che vedeva NOME COGNOME quale proposto, attinto da pericolosità qualificata,
e i due figli, sopra indicati, quali terzi interessati.
La Corte di appello riteneva l’istanza, proposta in ragione di una diversa perimetrazione temporale della pericolosità, priva di elementi di novità rispetto a
quanto già accertato nel precedente giudizio.
2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il comune difensore di NOME COGNOME e, nonché quale anche procuratore speciale, di
NOME COGNOME e NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc.
pen.
2.1. Violazione di legge per motivazione apparente.
La Corte di appello ha ritenuto inconferente il richiamo della difesa all’art. 14, comma 2-
ter d.lgs. n. 159 del 2011, in quanto ha ritenuto tale disposizione riferita
alla sola misura personale.
Si tratta di conclusione errata in quanto la misura patrimoniale presuppone pur sempre il requisito della pericolosità sociale del proposto, che è posto alla base
della misura personale.
La difesa richiama sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte (in particolare Sez. 14165 del 2018) e costituzionale (sentenza n. 33 del 2018) in
tema di collegamento tra l’epoca di manifestazione della pericolosità sociale e i beni che possono essere oggetto della misura patrimoniale.
La Corte di appello non ha adempiuto all’obbligo di motivazione ‘rafforzata’
in ordine a plurimi indici fattuali altamente dimostrativi del nesso eziologico tra l’attività criminosa e i beni acquistati dal proposto, stante la distanza abissale degli
acquisti con i commessi reati (1996).
Il proposto aveva riportato condanne per fatti del dicembre 2006 e giugno
2011 comunque cessate ben 9 anni prima della applicazione della misura di prevenzione.
I beni sono il frutto di lavoro lecito svolto sin dal settembre 1984 che gli ha consentito di poter aprire un chiosco – ceduto dal Comune prima in comodato
gratuito e poi versando un canone – grazie al quale ha beneficiato di contributi pubblici. E’ stato assolto da reati di tipo lucro genetici.
La detenzione subita dal proposto non è indifferente alle possibili modifiche delle scelte del medesimo, che si è lasciato alle spalle il suo passato.
In tal senso si pone la recente sentenza della Corte costituzionale (sent. n.
162 del 2024).
3. Il difensore dei ricorrenti ha presentato motivi nuovi.
3.1. Rilevanza della sentenza della Corte Costituzionale n. 162/2024 ed efficacia
ex tunc della declaratoria di illegittimità dell’art. 14, comma 2-
ter
, d.lgs.
159/2011; violazione di legge in relazione all’art. 14, comma 2- ter
, d.lgs.
159/2011, come dichiarato costituzionalmente illegittimo; violazione degli artt. 3,
13 e 27 Cost.
La Corte territoriale ha ritenuto inconferente il richiamo all’art. 14 cit., come inciso dalla sentenza della Corte costituzionale (è stata rimossa dall’ordinamento
la frase
«se esso si è protratto per almeno due anni»
riferita al periodo di detenzione del prevenuto).
Tale disposizione, così modificata ex tunc
, incide anche sulle misure reali, nella valutazione dell’attualità della pericolosità sociale.
3.2. Mancata correlazione temporale tra pericolosit
à̀
sociale e acquisizioni patrimoniali (principio affermato da Cass. Sez. Un. n. 4880/2015 ‘COGNOME‘) in
violazione degli artt. 16 e 24 d.lgs. 159/2011 correlati all’art. 18 d.lgs. 159/2011;
vizio di motivazione per violazione di legge.
Erroneamente la Corte di appello non ha revocato la confisca di beni acquistati fuori dal perimetro temporale della pericolosità.
3.3. Insufficienza degli indici fattuali a supporto del nesso eziologico tra attività illecita e beni, violazione degli artt. 24 e 25 d.lgs. 159/2011; violazione di
norme di legge e dei criteri giurisprudenziali in tema di prova del rapporto tra redditi illeciti e beni; vizio di motivazione per carenza ed apparenza della stessa
con conseguente violazione di legge.
3.4.
Omessa considerazione di
fonti reddituali
lecite
e
finanziamenti documentati a giustificazione del patrimonio, vizio di motivazione per omesso
esame di fatti decisivi, conseguente difetto di motivazione per violazione di legge.
Si evidenziano una serie di elementi non valutati dalla Corte di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili in ogni loro articolazione.
2. I ricorsi non si confrontano invero con la conclusione a cui è pervenuta la
Corte di appello, ovvero che la loro istanza risultava proposta al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dal decreto legislativo n. 159 del 2011 per la
revocazione della confisca (art. 28) e che in ogni caso appariva anche del tutto immotivata quanto alla tempestività (art. 28, comma 3).
Secondo la Corte territoriale, le questioni poste dagli istanti erano già state oggetto del giudizio già concluso, nel quale era stato oggetto di confisca l’intero
patrimonio del proposto ed era stata affrontata e decisa la questione della perimetrazione temporale della pericolosità.
Ed invero, come si evince tra l’altro dagli stessi ricorsi, i ricorrenti mirano soltanto ad una rivisitazione delle valutazioni già effettuate nel giudizio di
prevenzione, senza allegare alcun argomento di novità che giustifichi il rimedio straordinario.
E’ principio pacifico che il legislatore ha delineato all’art. 28 cit. una
“fattispecie aperta”, per ricomprendervi «ipotesi diverse da quelle – espressione di elementi fattuali – delineate dal comma 1, purché riconducibili al medesimo tipo,
ossia a fattispecie dimostrative della carenza originaria dei presupposti della confisca», ferma restando l’irrilevanza, ai fini dell’idoneità a legittimare il ricorso
alla revocazione, di fattispecie non espressive di un difetto originario di tali presupposti (Sez. U, n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, Fiorentino, Rv. 282474),
Irrilevante è comunque la pronuncia della Corte costituzionale sull’art. 14
d.lgs. 159/2011, che attiene alla valutazione del periodo di detenzione ai fini dell’attualità delle pericolosità del proposto, nella specie non incidente nella
fattispecie in esame.
Come accennato, i ricorrenti non si confrontano anche con la condizione di ammissibilità della revocazione, espressamente prevista dal legislatore nell’art.
28, comma 3, d.lgs. cit., con riferimento alla necessità di agire in revocazione entro il termine di sei mesi dalla data in cui si è verificata una delle condizioni
indicate, ovvero in un termine maggiore, qualora l’interessato dimostri di non averne avuto conoscenza per causa a lui non imputabile.
3. Per le considerazioni su esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente inammissibilità dei motivi nuovi (art. 585, ult.
comma, cod. proc. pen.).
Consegue anche la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento alla Cassa delle ammende di una somma
che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di euro 3.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro tremila in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso il 19/05/2025.
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente
Ercole COGNOME