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Dati GPS nel processo: quando sono prova valida?

Un individuo, condannato per aver aiutato un latitante, ha contestato in Cassazione l’uso di dati GPS e di localizzazione telefonica, sostenendo che non fossero stati messi a disposizione della difesa in modo corretto. La Corte Suprema ha respinto il ricorso, chiarendo che i dati GPS costituiscono un mezzo di prova atipico. Il loro contenuto può essere validamente introdotto nel processo tramite le informative di polizia e le testimonianze degli agenti. La tardiva produzione del supporto materiale (CD) è stata ritenuta irrilevante, poiché le informazioni erano già note e la condanna si fondava su un quadro probatorio più ampio, culminato con l’arresto del latitante.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dati GPS nel processo: la Cassazione fa chiarezza sulla loro utilizzabilità

L’evoluzione tecnologica offre agli inquirenti strumenti sempre più sofisticati, ma il loro utilizzo solleva importanti questioni sul rispetto del diritto di difesa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta il tema cruciale dell’uso dei dati GPS e di localizzazione telefonica nel processo penale, definendo i confini tra efficacia investigativa e garanzie procedurali. La decisione chiarisce come queste prove ‘atipiche’ possano essere validamente introdotte e valutate, anche quando il supporto materiale che le contiene emerge in una fase avanzata del dibattimento.

Il caso: l’aiuto a un latitante e le prove tecnologiche

Il caso esaminato dalla Corte riguarda un individuo condannato in appello per il reato di favoreggiamento personale (art. 390 c.p.). L’uomo era accusato di aver assistito un pericoloso latitante, ricercato da circa vent’anni, svolgendo il ruolo di ‘vivandiere’, ovvero provvedendo al suo sostentamento e alle sue necessità primarie per garantirgli la clandestinità.

Le indagini si erano basate su una complessa attività investigativa che includeva intercettazioni, servizi di osservazione e, in modo determinante, l’analisi dei dati GPS del veicolo dell’imputato e dei dati di localizzazione (positioning) dei cellulari. Proprio grazie a queste tecnologie, gli investigatori erano riusciti a ricostruire gli spostamenti dell’uomo e a individuare il nascondiglio del latitante, portando infine al suo arresto.

I motivi del ricorso: la contestazione sull’uso dei dati GPS

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando principalmente due vizi procedurali.

In primo luogo, si denunciava la nullità della sentenza di primo grado perché il supporto informatico (un CD) contenente i dati grezzi del GPS e del positioning sarebbe stato prodotto dal Pubblico Ministero solo dopo la discussione finale della difesa. Ciò avrebbe impedito un’analisi tecnica approfondita e una piena esplicazione del diritto al contraddittorio. Secondo la difesa, questi dati avrebbero dovuto essere nel fascicolo del P.M. fin dall’inizio, per consentirne la valutazione sin dalle fasi preliminari.

In secondo luogo, si contestava un vizio di motivazione della Corte d’Appello, che non avrebbe adeguatamente considerato l’insufficienza delle altre fonti di prova (come le riprese video non sempre chiare o le testimonianze) a prescindere dai contestati dati tecnologici.

La questione della prova atipica e i dati GPS

Il cuore della questione giuridica risiede nella natura dei dati GPS come prova. Non essendo specificamente regolamentati dal codice di procedura penale, essi rientrano nella categoria dei ‘mezzi di ricerca della prova atipici’. La Corte di Cassazione ha dovuto quindi stabilire come questi elementi possano entrare legittimamente nel processo e come debba essere garantito il diritto di difesa.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo le doglianze infondate. La motivazione della sentenza si articola su alcuni punti cardine.

Innanzitutto, i giudici hanno chiarito che i dati GPS e di positioning, in quanto prove atipiche, non sono soggetti alle rigide scansioni procedurali previste per altri atti, come le intercettazioni. È sufficiente che il dato sia ‘conoscibile’ e ‘fruibile’ dalla difesa. Nel caso di specie, questi dati erano ampiamente citati e analizzati nelle informative di polizia giudiziaria e discussi durante la testimonianza dell’ufficiale che aveva condotto le indagini. Erano inoltre contenuti in allegato a un’informativa di un’indagine collegata, rendendoli di fatto accessibili alle parti interessate.

In secondo luogo, la Corte ha considerato la tardiva produzione del CD come un atto privo di reale capacità innovativa. Il dato probatorio non era il CD in sé, ma l’informazione che esso conteneva, la quale era già stata introdotta nel processo attraverso le informative e la testimonianza. La produzione del supporto fisico è stata vista come una mera ‘esplicitazione materiale’ di un dato già acquisito, rendendo non necessaria la rinnovazione della discussione finale.

Infine, la Cassazione ha applicato un ragionamento ‘a ritroso’. La prova regina non erano i soli dati GPS, ma il risultato finale che essi avevano permesso di raggiungere: la cattura del latitante nel covo individuato. Questo fatto storico, una volta accertato, ha conferito valore e significato a tutta una serie di altri elementi (l’acquisto di cibo poi ritrovato nel covo, i movimenti sospetti, le conversazioni ambigue), che, letti retrospettivamente, formavano un quadro probatorio solido e coerente, al di là di ogni ragionevole dubbio. Di conseguenza, anche se si fosse verificato un vizio procedurale, esso non sarebbe stato ‘decisivo’ per l’esito del giudizio.

Le conclusioni

La sentenza consolida un importante principio sulla gestione delle prove tecnologiche nel processo penale. Stabilisce che l’utilizzabilità dei dati GPS non dipende necessariamente dal deposito formale del supporto grezzo fin dalle prime fasi, ma dalla concreta possibilità per la difesa di conoscerne l’esistenza e il contenuto per poterli contestare. La loro introduzione tramite informative di polizia e testimonianze è una modalità processualmente corretta. La decisione sottolinea inoltre che, di fronte a un quadro probatorio complessivamente robusto e a un risultato investigativo inconfutabile, le censure su singoli aspetti procedurali, se non dimostratesi decisive, perdono di rilevanza.

I dati GPS e di localizzazione telefonica (positioning) sono sempre prove valide in un processo penale?
Sì, secondo la Corte sono mezzi di ricerca della prova atipici e possono essere validamente utilizzati. Il loro contenuto può essere introdotto nel processo attraverso le informative di polizia giudiziaria e la deposizione testimoniale di chi ha svolto le indagini.

È necessario che il supporto informatico (es. CD) con i dati GPS grezzi sia presente nel fascicolo fin dall’inizio del processo?
No, non è strettamente necessario. La Corte ha stabilito che è sufficiente che i dati siano conoscibili e fruibili dalla difesa, anche se menzionati in atti o informative a cui le parti possono avere accesso. La loro esistenza e il loro contenuto sono l’elemento probatorio, non il supporto fisico in sé.

La produzione di una prova da parte dell’accusa dopo le conclusioni della difesa rende sempre nullo il processo?
No, non necessariamente. Se la produzione, come in questo caso, non ha carattere di novità ma si limita a materializzare un dato già acquisito e discusso nel processo, non ha capacità innovativa. Pertanto, non viola il contraddittorio e non comporta la nullità, né obbliga il giudice a rinnovare la discussione finale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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