Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5705 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5705 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato a Locri il 27.5.1990
avverso la ordinanza in data 27.6.2023 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 27.6.2023 il Tribunale di Reggio Calabria, adito in sede di riesame, ha confermato la misura cautelare della custodia in carcere disposta nei confronti di NOME COGNOME gravemente indiziato del delitto di cui all’art. 73, primo comma d.P.R. 309/1990 per aver in concorso con altri due complici acquistato da NOME COGNOME un chilo di cocaina al fine di rivenderla a terzi.
Avverso il suddetto provvedimento l’indagato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen..
2.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio motivazionale, il quadro di gravità indiziaria. Rileva come, consistendo l’imputazione nella doppia operazione contestata in data 4.3.2021 di acquisto della droga a fini di spaccio e di successiva cessione di una parte di essa a soggetto non identificato ed in luogo sconosciuto avvenuta il 7.3.2021, via sia assoluta incertezza tanto sulla data, non comprendendosi se si tratti del 4 o del 7 marzo, quanto sul contributo fornito dall’indagato ai soggetti accusati di aver ceduto la sostanza stupefacente. Osserva con riferimento a tale secondo profilo che risulta dalla precedente ordinanza emessa nei confronti dell’indagato dal Gip presso il Tribunale di Genova che il chilogrammo di cocaina restituito dallo COGNOME, ovverosia
dall’originario acquirente di 6 chili della stessa sostanza che aveva a sua volta trattenuto 5 chili della partita acquistata, rivendendone un chilogrammo, sia pure facente parte di una partita diversa come risulta dal diverso logo impresso su di esso, agli stessi acquirenti, fosse stato preso in consegna dal RAGIONE_SOCIALE in data 4 marzo 2021.
All’udienza fissata a seguito di due rinvii disposti in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite su questioni oggetto della presente impugnativa, il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso, senza che il difensore, avv. NOME COGNOME che pure aveva chiesto la trattazione orale del ricorso, sia comparso
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le plurime contestazioni sollevate dalla difesa in ordine alla ritualità dei dati acquisiti dall’autorità giudiziaria francese, su cui si fonda il compendio indiziario afferente al reato in contestazione, trovano una definitiva ed appagante risposta nelle due recentissime pronunce rese dalle Sezioni Unite sulla vexata quaestio delle modalità di acquisizione nel processo nostrano delle comunicazioni scambiate tramite criptofonini in possesso di un’autorità giudiziaria estera, dalla stessa già decriptate.
Il supremo consesso ha ritenuto la ritualità della trasmissione richiesta a mezzo di ordine europeo di indagine da parte dell’autorità giudiziaria straniera sia che si tratti del contenuto di conversazioni scambiate tramite criptofonini, già acquisite e decriptate dal giudice straniero, sia che si tratti di intercettazion effettuate attraverso l’inserimento di un captatore informatico sui server di una piattaforma criptata senza necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si intenda utilizzarle. Pur non rientrando nessuno dei due casi nell’ambito di applicazione dell’art. 234-bis cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, bensì nella disciplina relativa nel primo caso alla circolazione delle prove tra procedimenti penali, quale desumibile dagli artt. 238 e 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. U, Sentenza n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi, Rv. 286573 – 01) e nel secondo ai servizi di informazione per la sicurezza disciplinate dall’art.270 cod. proc. pen. (Sez. U, Sentenza n. 23756 del 29/02/2024, COGNOME Rv. 286598 – 01), deve ciò nondimeno escludersi l’applicabilità della disciplina prevista per le intercettazioni così come sostiene la difesa.
Nella vicenda in esame, l’o.e.i. ha ad oggetto l’acquisizione, da parte dell’autorità giudiziaria italiana, di messaggi scambiati su chat di gruppo mediante un sistema cifrato, e già a disposizione dell’autorità giudiziaria francese, i quali incontrovertibilmente rientrano fra le «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione». E poiché nel sistema processuale italiano il
pubblico ministero e, più in generale, la parte che vi ha interesse possono chiedere ed ottenere la disponibilità di prove, tra le quali sono comprese le intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, per la cui formazione è indispensabile la preventiva autorizzazione del giudice competente, già formate in un procedimento penale al fine di produrle in un altro procedimento penale, senza necessità di alcuna autorizzazione preventiva da parte del giudice competente per quest’ultimo, come si ricava dagli artt. 238 e 270 cod. proc. pen. nonchè dall’art. 78 disp.att. cod. proc. pen., ne deriva che che gli atti oggetto dell’o.e.i. costituenti «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione» possono essere legittimamente richiesti e acquisiti dal pubblico ministero italiano senza la necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si vorrebbe utilizzarli (Sez. U, Sentenza n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi, Rv. 286573 – 02). Ed infatti, come puntualizza il supremo consesso, unico presupposto di ammissibilità dell’ordine europeo di indagine, sotto il profilo del soggetto legittimato a presentarlo, è che «l’atto o gli atti di indagin richiesti nell’o.e.i. avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo».
Sgombrato il campo dall’eccepita inutilizzabilità del materiale acquisito tramite l’ordine europeo di indagine, deve rilevarsi, quanto alla copia che il ricorrente assume estratta in violazione del diritto di difesa, che la questione così come formulata è mal posta, non venendo indicato nessun elemento concreto in cui la dedotta violazione si sostanzi.
Ed invero, come chiarito dalla medesima pronuncia delle Sezioni Unite, in materia di comunicazioni digitali, l’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse non determina una violazione dei diritti fondamentali, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, ed una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente (Sez. U, cit. Rv. 286573 – 06). Conseguentemente in tanto può essere esclusa l’utilizzabilità del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, e trasmesse sulla base di ordine europeo di indagine, in quanto si rilevi che il loro impiego si traduca in una violazione dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, a condizione tuttavia che l’onere di allegare e provare i fatti da cui inferire tale violazione si assolto dalla parte interessata (Sez. U, cit. Rv. 286573 – 05).
Trovando infatti a tal fine applicazione, come più volte affermato dalla della giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex plurimis: Sez. 6, n. 44882 del 04/10/2023, COGNOME, Rv. 285386 – 01; Sez. 3, n. 1396 del 12/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282886), i principi della presunzione relativa di conformità ai diritti fondamentali dell’attività svolta dall’autorità giudiziaria estera nell’ambito di rapporti collaborazione ai fini dell’acquisizione di prove, ricade necessariamente sulla difesa l’allegazione e la dimostrazione del fatto dal quale dipende la violazione denunciata, ad essa accompagnandosi l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale (così Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244329). Se peraltro è contenuta nella stessa Direttiva 2014/41/UE la previsione della «presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, particolare, i diritti fondamentali» (punto 19), risponde ciò nondimeno ad un principio immanente all’interno del nostro ordinamento la regola secondo cui per i fatti processuali, a differenza di quanto avviene per i fatti penali, ciascuna parte ha l’onere di provare quelli che adduce, quando essi non risultino documentati nel fascicolo degli atti di cui il giudice dispone (così Sez. U, n. 45189 del 2004, Esposito, Rv. 229245).
Il motivo in esame non può, conseguentemente, essere ritenuto meritevole di accoglimento.
Il secondo motivo con cui sostanzialmente si contesta lo spessore del quadro di gravità indiziaria non può, invece, essere ritenuto ammissibile.
Va in primo luogo rilevato che non vi è alcuna incertezza in ordine al tempus connnnissi delicti posto che la data del 7 marzo è riferita all’operazione di rivendita di una porzione della partita della cocaina acquistata, laddove la condotta illecita in contestazione, ovverosia l’acquisizione dell’intera partita, pari ad un chilo della suddetta sostanza, che di fatto, se non fosse stato per la diversa provenienza, costituisce la parziale restituzione agli originari venditori (COGNOME e i suoi complici da parte dello COGNOME, in mora nel pagamento, di una parte dei 6 chili dallo stesso acquistati e contestati al capo 21 dell’ordinanza cautelare emessa dal Gip di Reggio Calabria nel diverso procedimento n.r.g. 4837/2022, così da ripianare il debito residuo, si era perfezionata il precedente 4 marzo.
In secondo luogo non è seriamente contestabile, quanto meno a livello di fumus, il contributo fattivamente prestato dall’odierno indagato all’operazione, dal punto di vista negoziale configurabile come acquisto di un chilo di cocaina, trattandosi di una confezione diversa, come attestato dal differente logo ivi impresso, da quella acquistata il mese precedente dallo COGNOME: emerge infatti dalle conversazioni acquisite, senza che alcuna contestazione sul relativo contenuto sia stata formulata dalla difesa, come fosse stato il COGNOME ad essersi fatto carico di prelevare la droga dal venditore e di saggiarne un campione per poi riferire al
coindagato COGNOME che era di buona qualità, così da potersi ritenere perfezionato a tutti gli effetti l’acquisto, essendo la merce già in suo possesso. E’ del tutto irrilevante la mancanza di elementi suo carico in relazione alla successiva condotta di rivendita di parte della droga ad un terzo posto che la condotta contestata agli indagati ai sensi dell’art. 73 primo comma d.P.R. 309/1990 si perfeziona con la conclusione delle trattative per l’acquisto della merce, laddove la successiva rivendita risulta menzionata al fine di documentare la finalità di spaccio perseguita dai cessionari.
Né vale in questa sede reiterare la medesima contestazione sollevata innanzi ai giudici del riesame in ordine all’identità del reato in contestazione rispetto a quello di cui al capo 21) per la quale è stata disposta nell’ambito di un diverso procedimento analogo titolo custodiale cautelare nei confronti dell’odierno ricorrente. Il Tribunale reggino chiarisce diffusamente la diversità del reato ivi contestato, avente ad oggetto la cessione di sei chili di cocaina, senza che la difesa svolga alcuna confutazione specifica al riguardo. Sotto tale profilo la doglianza in esame sconta la assoluta genericità, incorrendo perciò nella statuizione di inammissibilità univocamente applicabile allorquando il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice di merito o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849).
Il ricorso deve in conclusione essere rigettato seguendo a tale esito l’onere delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 18.9.2024