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Dati criptati SkyEcc: prove valide in Italia?

La Corte di Cassazione ha rigettato un ricorso in materia di traffico di stupefacenti, confermando l’utilizzabilità dei dati criptati provenienti dalla piattaforma SkyEcc. La Corte ha stabilito che i dati, già acquisiti e decifrati da autorità giudiziarie francesi e trasmessi tramite Ordine Europeo di Indagine, costituiscono prova documentale e non richiedono l’autorizzazione preventiva tipica delle intercettazioni. La difesa ha l’onere di dimostrare una specifica violazione dei diritti fondamentali, non essendo sufficiente la mera impossibilità di verificare l’algoritmo di cifratura.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dati criptati SkyEcc: sono prove valide nel processo italiano?

L’uso di dati criptati provenienti da piattaforme di comunicazione sicura, come il noto sistema SkyEcc, rappresenta una delle sfide più attuali per il diritto processuale penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 5705 del 2025, offre chiarimenti fondamentali sulla loro utilizzabilità, specialmente quando le prove sono state acquisite da autorità giudiziarie straniere. La decisione affronta il delicato equilibrio tra cooperazione internazionale, efficacia delle indagini e tutela dei diritti della difesa.

I Fatti: Il Caso all’esame della Corte

Il caso trae origine da un’ordinanza che confermava la misura della custodia in carcere per un individuo, gravemente indiziato del delitto di acquisto e detenzione a fini di spaccio di un chilogrammo di cocaina. L’operazione, condotta in concorso con altri soggetti, era finalizzata a rivendere la sostanza a terzi.

L’elemento probatorio cruciale era costituito dalle conversazioni avvenute su una chat di gruppo, tramite la piattaforma criptata SkyEcc. Questi dati erano stati originariamente acquisiti e decifrati dalle autorità giudiziarie francesi nel corso di un’autonoma investigazione e successivamente trasmessi all’Italia tramite un Ordine Europeo di Indagine (OEI).

I Motivi del Ricorso: Intercettazioni o Documenti?

La difesa dell’indagato ha contestato la validità di tale compendio indiziario, articolando il ricorso su due motivi principali:

1. Violazione delle norme sulle intercettazioni: Secondo il ricorrente, l’acquisizione delle chat non poteva essere qualificata come semplice ricezione di documenti informatici. Si trattava, a suo avviso, di una vera e propria attività di intercettazione in corso, effettuata tramite un captatore informatico (trojan horse), che avrebbe richiesto il rispetto delle rigide garanzie procedurali previste dalla legge italiana, inclusa la preventiva autorizzazione del giudice.
2. Carenza di gravità indiziaria: La difesa lamentava un’incertezza sul quadro probatorio, sia riguardo alla data esatta del reato sia riguardo al contributo effettivo fornito dall’indagato all’operazione illecita.

L’Utilizzo dei dati criptati e la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo una motivazione solida e in linea con i recenti orientamenti delle Sezioni Unite. I giudici hanno chiarito che la disciplina applicabile non è quella delle intercettazioni, bensì quella relativa alla circolazione delle prove tra procedimenti penali.

Quando le comunicazioni sono già state acquisite e decriptate da un’autorità giudiziaria straniera, esse si configurano come “prove già in possesso” di tale autorità. La loro trasmissione all’Italia, mediante Ordine Europeo di Indagine, non necessita di una nuova autorizzazione preventiva da parte del giudice italiano, come sarebbe invece indispensabile per avviare un’attività di intercettazione. Il presupposto di ammissibilità, come puntualizzato dalla Corte, è che l’atto di indagine avrebbe potuto essere compiuto alle stesse condizioni in un caso puramente interno.

La questione della violazione del diritto di difesa

La difesa aveva anche sollevato dubbi sull’autenticità dei dati, sostenendo che si trattasse di una “copia analogica” estratta da un server clonato, senza possibilità di verificare la corrispondenza con i messaggi originali. Anche su questo punto, la Corte è stata netta. Richiamando le Sezioni Unite, ha affermato che l’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo di cifratura non costituisce, di per sé, una violazione dei diritti fondamentali.

In base al principio di presunzione di conformità e di mutuo riconoscimento tra Stati membri, spetta alla parte che lamenta la violazione l’onere di allegare e provare i fatti specifici da cui tale violazione deriverebbe. Un’allegazione generica non è sufficiente a rendere inutilizzabili i dati criptati acquisiti.

Le Motivazioni della Corte

La decisione si fonda su principi cardine della cooperazione giudiziaria europea e del sistema processuale italiano. In primo luogo, il principio del mutuo riconoscimento impone di presumere che l’attività svolta dall’autorità straniera sia conforme ai diritti fondamentali, salvo prova contraria. In secondo luogo, la qualificazione giuridica dell’atto è decisiva: non si tratta di un’intercettazione disposta in Italia, ma dell’acquisizione di un elemento di prova documentale già formato all’estero. Pertanto, la normativa di riferimento è quella degli articoli 238 e 270 del codice di procedura penale, che regolano l’acquisizione di verbali e prove di altri procedimenti. Infine, la Corte ribadisce la regola processuale secondo cui l’onere di provare i fatti che fondano un’eccezione (in questo caso, la violazione del diritto di difesa) spetta alla parte che la solleva.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza per le indagini sulla criminalità organizzata, che fa largo uso di sistemi di comunicazione cifrati. Viene stabilito un punto fermo: i dati criptati acquisiti legittimamente da un’autorità giudiziaria di un altro Stato membro e trasmessi tramite Ordine Europeo di Indagine sono pienamente utilizzabili nel processo penale italiano come prova documentale. La loro inutilizzabilità può essere dichiarata solo a fronte di una dimostrazione concreta e specifica, da parte della difesa, di una violazione dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione e dalle Carte europee.

I dati di chat criptate (come SkyEcc) acquisiti da un’autorità estera sono utilizzabili in un processo italiano?
Sì, sono utilizzabili. La Corte di Cassazione ha stabilito che, se tali dati sono già stati acquisiti e decifrati da un’autorità giudiziaria straniera e trasmessi all’Italia tramite un Ordine Europeo di Indagine, essi sono considerati prova documentale e possono essere legittimamente usati.

È necessaria un’autorizzazione del giudice italiano per acquisire messaggi già decriptati da autorità straniere?
No. La sentenza chiarisce che, trattandosi di prove già formate e in possesso di un’autorità estera, non si applica la disciplina delle intercettazioni, la quale richiede una preventiva autorizzazione del giudice. L’acquisizione avviene secondo le regole della circolazione delle prove tra procedimenti.

A chi spetta dimostrare che l’acquisizione di prove dall’estero ha violato i diritti fondamentali della difesa?
Spetta alla difesa. In base al principio di presunzione di conformità delle attività svolte dagli altri Stati membri, l’onere di allegare e provare i fatti specifici che dimostrino una violazione dei diritti fondamentali (come il diritto di difesa) ricade sulla parte che eccepisce l’inutilizzabilità della prova.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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