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Dati criptati: la Cassazione sull’uso delle chat

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro una misura cautelare basata su dati criptati provenienti da una chat. La sentenza chiarisce che l’acquisizione di tali dati, già decifrati da autorità estere (in questo caso francesi) e trasmessi tramite Ordine Europeo di Indagine, non è assimilabile a un’intercettazione ma alla circolazione di prove tra procedimenti. Pertanto, l’acquisizione da parte del Pubblico Ministero non necessita di autorizzazione preventiva del giudice ed è legittima, a meno che non venga provata una violazione dei diritti fondamentali.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dati Criptati: la Cassazione sull’Uso delle Chat Estere nel Processo Penale

L’uso di dati criptati provenienti da piattaforme di comunicazione sicura rappresenta una delle sfide più complesse per le indagini moderne. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 36116/2024) ha fornito chiarimenti cruciali sulle modalità di acquisizione e utilizzabilità di queste prove nel processo penale italiano, specialmente quando ottenute tramite cooperazione giudiziaria europea. Il caso analizzato riguarda l’acquisizione di chat da un noto sistema cifrato, ottenute dalle autorità francesi e trasmesse all’Italia tramite un Ordine di Indagine Europeo (O.I.E.).

I Fatti di Causa e il Ricorso in Cassazione

La vicenda ha origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di un soggetto, indagato per gravi violazioni della normativa sugli stupefacenti. L’impianto accusatorio si fondava esclusivamente sul contenuto di conversazioni avvenute su una piattaforma di comunicazione criptata, ritenuta in uso all’indagato.

Questi dati erano stati ottenuti dalla Procura italiana attraverso un Ordine di Indagine Europeo rivolto alle autorità francesi, le quali avevano già condotto una complessa operazione di decriptazione dei server della piattaforma. La difesa dell’indagato ha impugnato la misura cautelare, sostenendo l’inutilizzabilità dei dati. I principali motivi di ricorso si basavano sulla tesi che l’acquisizione delle chat costituisse un’attività di intercettazione di flussi informatici, e come tale avrebbe dovuto rispettare le rigide garanzie procedurali previste dagli articoli 266 e seguenti del codice di procedura penale, cosa che, a loro avviso, non era avvenuta.

Inoltre, la difesa lamentava la natura di “intercettazione a strascico”, generalizzata e indiscriminata, che avrebbe violato i diritti fondamentali della persona, tra cui il diritto alla segretezza delle comunicazioni sancito dall’art. 15 della Costituzione.

L’Acquisizione di Dati Criptati: Intercettazione o Prova Documentale?

Il cuore della questione giuridica verteva sulla corretta qualificazione dell’attività svolta. Si trattava di un’intercettazione di comunicazioni in corso, oppure dell’acquisizione di documenti informatici (i messaggi già scambiati e memorizzati)? La differenza è sostanziale: le intercettazioni richiedono un decreto motivato del giudice e severe garanzie procedurali, mentre l’acquisizione di documenti ha regole meno stringenti.

Il Tribunale della Libertà aveva inizialmente inquadrato l’operazione nell’ambito dell’art. 234-bis c.p.p. (acquisizione di documenti informatici). La Cassazione, pur rigettando il ricorso, corregge questa impostazione. La Suprema Corte, richiamando le recenti sentenze delle Sezioni Unite (in particolare, le sentenze “Gjuzi” e “Giorgi” del 2024), stabilisce che il caso in esame non rientra né nell’ipotesi dell’intercettazione “in diretta” né in quella dell’acquisizione documentale ex art. 234-bis.

Si tratta, invece, di un’ipotesi di circolazione della prova tra procedimenti penali diversi, disciplinata dall’art. 270 c.p.p. I dati, infatti, erano già stati legittimamente acquisiti e decifrati dalle autorità francesi nell’ambito di un loro procedimento penale. L’autorità italiana, tramite O.I.E., ha semplicemente chiesto la trasmissione di prove già esistenti e nella disponibilità di un’altra autorità giudiziaria.

Il Ruolo dell’Ordine di Indagine Europeo e l’Utilizzabilità dei Dati Criptati

La Corte chiarisce un punto fondamentale: poiché si tratta di acquisire prove già formate, l’emissione dell’O.I.E. da parte del Pubblico Ministero non necessita di una preventiva autorizzazione del giudice italiano. La Direttiva 2014/41/UE, infatti, non la richiede per prove già in possesso dello Stato di esecuzione.

L’utilizzabilità di tali dati criptati è quindi la regola, con un’unica, importante eccezione: il giudice italiano deve escluderla se rileva che il loro impiego determinerebbe una violazione dei diritti fondamentali della persona. Tuttavia, l’onere di allegare e provare i fatti da cui desumere tale violazione grava sulla parte interessata, ovvero la difesa. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la difesa non avesse fornito prove concrete di una violazione dei diritti fondamentali. L’operazione francese non è stata considerata un’indiscriminata pesca a strascico, ma un’attività investigativa mirata, autorizzata da un giudice, contro un sistema di comunicazione noto per essere ampiamente utilizzato da organizzazioni criminali per commettere gravi reati.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte Suprema ha ritenuto il ricorso infondato, basando la sua decisione sui principi stabiliti dalle Sezioni Unite. In sintesi, le motivazioni chiave sono le seguenti:
1. Corretta qualificazione giuridica: L’acquisizione di messaggi già decriptati da un’autorità estera non è un’intercettazione né un’acquisizione documentale ex art. 234-bis, ma rientra nella disciplina della circolazione di prove tra procedimenti (art. 270 c.p.p.).
2. Legittimità dell’O.I.E. Il Pubblico Ministero può legittimamente emettere un Ordine di Indagine Europeo per ottenere tali prove senza l’autorizzazione preventiva del giudice, in quanto si tratta di materiale probatorio già esistente e legittimamente acquisito all’estero.
3. Onere della prova sulla violazione dei diritti fondamentali: L’utilizzabilità dei dati può essere esclusa solo se il loro impiego viola i diritti fondamentali. Spetta alla difesa allegare e dimostrare concretamente tale violazione, cosa non avvenuta nel caso specifico.
4. Esclusione dell’intercettazione “a strascico”: Le motivazioni delle ordinanze dell’autorità giudiziaria francese evidenziano l’esistenza di specifici elementi indizianti nei confronti degli utenti del sistema, legati alla commissione di gravi reati. L’indagine non era generalizzata, ma mirata a smantellare uno strumento utilizzato dalla criminalità organizzata. L’O.I.E. italiano, inoltre, si riferiva a uno specifico PIN, rendendo l’acquisizione mirata e non indiscriminata.

Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza per la lotta alla criminalità organizzata nell’era digitale. La Corte di Cassazione, allineandosi alle Sezioni Unite, bilancia le esigenze investigative con la tutela dei diritti fondamentali, stabilendo un percorso procedurale chiaro per l’utilizzo di dati criptati provenienti da altri Stati membri. Viene così confermata la piena legittimità dell’uso di queste prove, a condizione che la loro acquisizione originaria non abbia leso i principi cardine dello stato di diritto. La decisione sottolinea come la cooperazione giudiziaria europea sia uno strumento essenziale e legittimo per contrastare fenomeni criminali che operano su scala transnazionale.

I dati criptati ottenuti da un’autorità estera sono utilizzabili in un processo italiano?
Sì, sono utilizzabili. La Corte di Cassazione ha stabilito che i dati di comunicazioni già acquisiti e decifrati da un’autorità giudiziaria estera (in questo caso, francese) e trasmessi tramite Ordine di Indagine Europeo sono utilizzabili, a meno che il giudice italiano non rilevi che il loro impiego comporterebbe una violazione dei diritti fondamentali.

È necessaria l’autorizzazione di un giudice italiano per acquisire chat criptate già decifrate da un altro Stato UE?
No. La Corte ha chiarito che, trattandosi di prove già esistenti e legittimamente in possesso dell’autorità estera, l’emissione di un Ordine di Indagine Europeo da parte del Pubblico Ministero per ottenerle non richiede una preventiva autorizzazione del giudice italiano.

L’acquisizione di dati da piattaforme criptate è considerata un’intercettazione indiscriminata “a strascico”?
No, non in questo caso. La Corte ha escluso questa possibilità, poiché le indagini dell’autorità francese erano state autorizzate da un giudice sulla base di specifici indizi che legavano la piattaforma a gravi attività criminali. Inoltre, la richiesta italiana tramite O.I.E. era mirata a uno specifico identificativo utente (PIN), rendendo l’acquisizione selettiva e non generalizzata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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