Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 38598 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 38598 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MELITO DI PORTO SALVO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/12/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME, che ha concluso riportandosi alla requisitoria scritta e insistendo per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato; udito il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME è stato accusato (in concorso con COGNOME NOME e COGNOME NOME) dei reati di cui agli articoli 110, 81, comma 2, e 479 cod. pen. (per aver attestato falsamente di aver regolarmente svolto servizio, a titolo di messa alla prova, presso gli uffici del Comune di Moncalieri (TO), dal 27/7/2020 al 23/10/2020) e 110, 48, 479 cod. pen. (per avere, così, indotto in errore il Giudice
sull’esito positivo della messa alla prova, il quale depositava, in data 22/1/2021, sentenza di estinzione del reato, ideologicamente falsa).
Per fatti analoghi è stato processato anche COGNOME NOME, che, condannato in primo grado, ha poi concordato definitivamente la pena in appello.
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino ha, invece, assolto lo COGNOME per insussistenza del fatto, nell’incertezza della prova a suo carico.
A suo dire erano gli stessi tabulati a evidenziare che le celle compatibili con la presenza presso il Comune di Moncalieri non fossero solo quelle indicate dalla Polizia Giudiziaria, poiché in numerose occasioni, nell’arco di telefonate di pochi secondi, le celle agganciate erano più d’una: sicché il loro rapido susseguirsi e la circostanza che alcune di esse agganciassero, nello stesso momento, il cellulare dell’imputato (ad esempio, la cella di Nichelino era agganciata contestualmente a una cella di Moncalieri il 12/10/2020 alle ore 16:11) confermavano la sovrapponibilità delle coperture di più ripetitori nella stessa zona (non potendosi, peraltro, pensare che l’imputato potesse coprire le distanze tra le diverse zone in pochi secondi, muovendosi da Moncalieri senza mai fermarsi e facendo rapidamente ritorno al punto di partenza).
In definitiva, secondo il primo giudice si poteva ragionevolmente ipotizzare o che il cellulare dell’imputato si trovasse in una zona coperta da più ripetitori, o che il segnale fosse rimbalzato da un ripetitore all’altro: ciò che non era idoneo a dimostrare reali spostamenti e, dunque, i falsi contestati.
Né, a dire del Giudice dell’udienza preliminare, i messaggi tra l’imputato e il COGNOME confermavano l’accusa, anzi parevano smentirla. In particolare: – al messaggio sms del 27/7/2020 (giorno di inizio della messa alla prova), inviato dal COGNOME all’imputato, dal tenore: “fatti vivo”, l’imputato aveva risposto in tempo utile (dicendo che appena finito di lavorare lo avrebbe chiamato), quindi aderendo all’invito; – il messaggio del 26/8/2020, ore 15:15, inviato dall’imputato al COGNOME (dopo che il primo, teoricamente, aveva svolto attività lavorativa dalle ore 12:50), del seguente tenore: “Ciao NOME sono stato incasinato questi due giorni, domani se riesco a trovare un buco ti scrivo in mattinata”, non dimostrava che l’imputato non si fosse recato in Comune nei giorni 24 e 25/8/2020, ma solo che lo stesso non avesse avuto il tempo di coordinarsi con il COGNOME (tanto più che il 25/8/2020 il cellulare dell’imputato aveva agganciato celle compatibili con il Comune di Moncalieri); – il 13/9/2020 l’imputato aveva informato il NOME che sarebbe stato in ferie dal 14 al 22/9/2020, giorni nei quali effettivamente non era stata attestata alcuna sua presenza nei registri in questione.
Infine, l’aggancio di una cella apparentemente incompatibile con la presenza presso il Comune di Moncalieri, avvenuto in un’unica giornata o al massimo in due,
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secondo il Giudice dell’udienza preliminare avrebbe potuto spiegarsi anche con la non effettiva disponibilità del cellulare in capo all’imputato.
La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 7365 emessa il 13/12/2023, ha riformato la sentenza di primo grado, condannando lo COGNOME.
Secondo il giudice d’appello, coprendo le celle un’ampia porzione di territorio, “per passare da una cella all’altra non” sarebbe stato “necessario coprire l’intera distanza esistente tra i due indirizzi, ma” sarebbe stato “sufficiente percorrere anche una brevissima distanza, anche di pochi metri, posto che dove finisce il raggio di azione di una cella inizia quello dell’altra, senza soluzione di continuità”.
Dunque, il repentino aggancio di celle diverse da quelle di copertura del Comune di Moncalieri era “sintomatico di una collocazione dell’imputato incompatibile con la presenza nel palazzo del Comune” (avendo la Polizia giudiziaria evidenziato le celle più vicine facilmente agganciabili dal telefono dell’imputato).
Inoltre, in molte giornate a frequenti agganci di celle di altre località era seguito il ritorno a celle compatibili con la presenza dell’imputato nel palazzo comunale: sicché era inverosimile (per la Corte d’appello) che, con elevata frequenza, pur non spostandosi l’imputato dal palazzo comunale, il suo telefono avesse agganciato celle distanti per il mero rimbalzo da un ripetitore all’altro.
Secondo la Corte d’appello anche i messaggi intercorsi tra l’imputato e il COGNOME confortavano l’accusa: – l’invito, poche ore prima dell’inizio dell’attività ( 27/7/2020), del COGNOME all’imputato di “farsi vivo” dimostrava che questi non lo avesse ancora fatto (e, dunque, il suo scarso interesse al riguardo, non essendosi ancora messo in contatto con l’ufficio presso cui avrebbe dovuto svolgere i compiti assegnatigli); – il messaggio inviato dall’imputato al COGNOME il 26/8/2020 (“Ciao NOME sono stato incasinato questi due giorni, domani se riesco a trovare un buco ti scrivo in mattinata”) non significava che il primo stesse espletando il compito senza previo coordinamento col secondo (come ritenuto dal Giudice dell’udienza preliminare), essendo, “secondo la Corte”, “più rispondente al senso comune relativo al significato da dare alle espressioni utilizzate dall’imputato, l’interpretazione del PM”, secondo cui l’imputato “in quei due giorni non si era recato presso il Comune per svolgere i lavori, e quindi non aveva avuto i contatti con NOME” (sotto la cui direzione l’attività avrebbe dovuto essere svolta).
Quanto ai messaggi in cui l’imputato parlava col COGNOME dei lavori svolti effettivamente, essi non escludevano l’attendibilità degli spostamenti attestati dai tabulati.
Ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato.
3.1. Col primo motivo lamenta la violazione di legge (per inosservanza dell’articolo 533 cod. proc. pen. e del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio) e la illogicità manifesta della sentenza di secondo grado.
La Corte di Appello di Torino avrebbe fondato la condanna dello COGNOME su un ragionamento congetturale non verificabile riguardo l’interpretazione del traffico telefonico e la localizzazione delle celle.
La Corte ha sostenuto che l’imputato fosse in movimento sulla base del rapido susseguirsi delle celle agganciate dal suo cellulare, senza, però, fornire alcuna prova tecnica (ad esempio, mediante perizia) che definisse l’esatta ampiezza del raggio di copertura delle celle e smentisse la possibilità che il cellulare dell’imputato fosse coperto da più ripetitori (come sostenuto dal Giudice dell’udienza preliminare): ovvero senza che fosse dimostrato che il rapido susseguirsi delle celle agganciate fosse necessariamente correlato a spostamenti reali, piuttosto che a rimbalzi del segnale tra ripetitori.
Sarebbe una congettura, non supportata da prove specifiche, anche quella secondo cui il passaggio da una cella all’altra, dato l’ampio raggio di copertura dei ripetitori (anch’esso solo ipotizzato dalla Corte d’appello), richiedesse solo piccoli spostamenti.
Si assume, ancora, che proprio il rapido susseguirsi delle celle agganciate, se letto sinergicamente col dato che in nessun modo si sarebbe potuta coprire la distanza tra zone molto distanti in pochi secondi, per poi paradossalmente tornare al punto di origine, palesava come il cellulare si trovasse in una zona coperta da più ripetitori o che il segnale fosse rimbalzato da un ripetitore all’altro, senza alcun reale spostamento.
Per parte ricorrente sarebbe illogico credere che lo COGNOME, che viveva e lavorava a Moncalieri, avesse la necessità di andare e venire più volte, nell’arco della stessa giornata, da Nichelino, peraltro coprendo la distanza tra le due località in pochi minuti.
Per giunta, proprio il ragionamento della Corte territoriale (per cui le celle interessate coprivano un ampio raggio di territorio, sicché sarebbe stato sufficiente, per passare da una cella all’altra, percorrere una brevissima distanza, anche di pochi metri) provava che anche spostandosi all’interno del palazzo comunale l’imputato ben avrebbe potuto agganciare, con il proprio telefono, celle anche molto distanti tra loro.
3.2. Col secondo motivo parte ricorrente lamenta la violazione dell’articolo
1-bis del d.l. 132/2021, convertito nella legge 178/2021, e manifesta illogicità della motivazione, laddove la Corte d’appello aveva fondato la condanna sui dati relativi al traffico telefonico, senza rispettare la normativa transitoria per cui essi avrebbero potuto essere utilizzati solo unitamente ad altri elementi di prova di conferma (che, nella specie, non avrebbero potuto essere i messaggi intercorsi tra l’imputato e il COGNOME, di natura meramente congetturale e privi di forza dimostrativa rispetto ai fatti contestati).
3.3. Col terzo motivo parte ricorrente lamenta l’inosservanza dell’articolo 62bis cod. pen. e carenza di motivazione, avendo, la Corte d’appello, omesso di considerare la possibilità di concedere le circostanze attenuanti generiche per lo scarso allarme sociale generato dall’occorso e la buona condotta dell’imputato, soggetto ben inserito socialmente e senza precedenti penali.
Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza impugnata con rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Come eccepito da parte ricorrente, e conformemente alle conclusioni formulate anche dal Procuratore Generale, effettivamente il giudice d’appello poggia il suo ragionamento su ipotesi non verificate tecnicamente, ovvero l’ampia copertura territoriale delle celle, che avrebbe consentito agevolmente il passaggio dell’aggancio delle stesse in pochissimo tempo, essendo, cioè (a suo dire), “sufficiente percorrere anche una brevissima distanza, anche di pochi metri, posto che dove finisce il raggio di azione di una cella inizia quello dell’altra, senza soluzione di continuità”.
Orbene, il dato è privo di qualsivoglia supporto tecnico che dimostri quale fosse effettivamente la copertura delle celle e per giunta, come eccepito, viene illogicamente portato dalla Corte d’appello a sostegno della propria tesi, posto che, se fossero bastati pochi metri per il passaggio da una cella ad un’altra, non avrebbe potuto escludersi neppure che tale percorso fosse compatibile con la permanenza dell’imputato nella sede presso cui stava compiendo l’attività di messa alla prova.
Dunque, carenze tecniche (circa l’effettivo raggio di copertura delle celle in questione) e dati ambivalenti (a seconda della copertura, infatti, non può escludersi che i pochi metri indicati dalla Corte d’appello possano essere stati
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percorsi all’interno dell’ufficio di svolgimento della messa alla prova), illogicamente valorizzati solo in senso accusatorio, comportano l’assoluta inconsistenza, in chiave accusatoria, del dato dell’aggancio delle varie celle da parte del telefono dell’imputato.
Proprio uno degli esempi utilizzato dalla Corte d’appello a riscontro (a suo dire) del fatto che l’imputato non fosse presente presso il Comune di Moncalieri, evidenzia l’illogica valorizzazione di tali dati (se non supportata da dati tecnici): “Peraltro, fa osservare il PM che quel giorno , dalle 16:45 alle 17:03 l’utenza è stata rilevata dalla cella situata nel Comune di Moncalieri INDIRIZZO, mentre alle 17:40 l’utenza è stata rilevata dalla cella nel Comune di Nichelino INDIRIZZO; alle 17:41, l’utenza è stata rilevata dalla cella nel Comune di Moncalieri INDIRIZZO. Risulta anche, poi, una conversazione telefonica avvenuta il 27 luglio alle 17:40 con l’utenza in uso a COGNOME, della durata di 78 secondi, durante la quale il telefono in uso all’imputato è stato rilevato dalla cella di Nichelino INDIRIZZO. Ciò è un ulteriore riscontro che l’imputato non era presente presso il Comune di Moncalieri, contrariamente a quanto attestato nel registro”.
La Corte d’appello, in tal modo, non spiega come possa ritenersi significativo il dato della cella agganciata alle ore 17.40 e posta nel Comune di Nichelino (che proverebbe che l’imputato fosse al di fuori del Comune di Moncalieri in quel momento) senza considerare che, sino alle ore 17.03, ma, soprattutto, un minuto dopo, alle ore 17.41, la sua utenza aveva comunque agganciato nuovamente una cella nel Comune di Moncalieri.
Gli argomenti utilizzati dalla Corte d’appello, dunque, danno corpo solo a una diversa visione (e neanche quella maggiormente plausibile, tra le varie possibili) dello stesso materiale probatorio, rispetto a quella del Tribunale, ben lungi dal presentare quella motivazione “rafforzata” pacificamente necessaria al fine di ribaltare il giudizio assolutorio di primo grado, ponendone in evidenza i manifesti vizi motivazionali (si rinvia, al riguardo, alle numerosissime pronunce di questa Corte, tra cui Sez. U, Sentenza n. 22065 del 28/01/2021, non massimata sul punto, Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056, Sez. 6 n.17438 del 19/04/2024, non massimata, Sez. 5, Sentenza n. 32736 del 25/05/2021, Rv. 281769 – 01).
Né maggior forza persuasiva, rispetto alla valutazione operata dal Tribunale, e, soprattutto, dennolitoria di quest’ultima, hanno gli argomenti fondati sui messaggi indicati dalla Corte d’appello, atteso che: – non si comprende perché l’invito a “farsi vivo”, poche ore prima dell’inizio dell’attività (il 27/7/2020), COGNOME all’imputato debba leggersi necessariamente come segno dell’iniziale
disinteresse di costui (tanto più che non risulta smentito, dalla Corte d’appello, che lo COGNOME rispose a tale sollecito); – non viene spiegato, dal giudice di secondo grado, perché il messaggio inviato dall’imputato al COGNOME il 26/8/2020 (“Ciao NOME sono stato incasinato questi due giorni, domani se riesco a trovare un buco ti scrivo in mattinata”) non possa esser compatibile con l’affermazione secondo cui lo stesso imputato non aveva, semplicemente, avuto modo di rapportarsi col COGNOME, per averne le direttive, pur continuando regolarmente a svolgere la sua attività presso il Comune di Moncalieri; – ed ancora, considerato che COGNOME NOME è stato coimputato per questa vicenda insieme allo COGNOME, ove avesse davvero voluto attestare il falso, non si comprende quale necessità avrebbe avuto di esortare lo stesso COGNOME a “farsi vivo”, quale necessità avrebbe avuto, dal canto suo, quest’ultimo di inviare messaggi come quello in cui si scusava di non essersi potuto interfacciare col NOME (preannunciando la chiara intenzione di volerlo fare) e, infine, come quello in cui preannunciava la sua assenza per ferie.
Insomma, pare del tutto evidente come la motivazione della Corte d’appello sia solo una diversa (e, come detto, non certo maggiormente plausibile, rispetto a quella del primo grado) visione dei fatti, non basata su dati (come, ad esempio, quelli tecnici sulle zone di copertura delle celle in esame) che le diano particolare vigore e fondata, invece, su (assunte) massime di esperienza tutte da verificare (tanto più che, come rammentato già altre volte da questa Corte – si veda Sez. 5, sentenza 12771 del 14/02/2023, non nnassinnata – in particolari condizioni di sovraccarico telefonico è ben possibile che l’apparato telefonico mobile agganci una cella contigua alla porzione di territorio in cui si trovi, che risulti più libera)
La sentenza, dunque, va annullata per un nuovo giudizio sull’affermazione di responsabilità, se del caso, poggiato su dati tecnici che confermino (o smentiscano) l’accusa (verificando, ad esempio, sovrapposizioni di celle nel territorio ove è posto il Comune di Moncalieri e/o il mero rimbalzo del segnale da una cella ad un’altra).
Le altre doglianze sono, evidentemente, assorbite.
Consegue, a quanto detto, l’esito in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della
Corte di appello di Torino. Così deciso in data 5/6/2024
Il•nsigliere e ensore
Il Presidente