Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 47623 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 47623 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Bergamo il 16/8/1973, avverso la Sentenza della Corte d’appello di Perugia in data 23/1/2023; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso con condanna del ricorrente alle spese e al pagamento di un’ulteriore somma in favore della cassa delle ammende.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 23/1/2023 la Corte d’appello di Perugia ha confermato la sentenza del Tribunale di Terni che aveva ritenuto COGNOME NOME responsabile dei reati di cui agli artt. 6, commi 1 e 6, e 6 ter della I. n. 401/1989 perché, i violazione di quanto prescritto con il provvedimento n. 95039/2/2015 emesso dal Questore di Bergamo il 29/5/2018, il 13/3/2021 si era recato nelle immediate vicinanze dello stadio di Terni partecipando a un’iniziativa di incitamento e
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sostegno della squadra della Ternana in occasione dell’incontro di calcio TernanaBari nonché, nella medesima occasione, aveva acceso e usato un fumogeno lasciandolo poi cadere a terra, e l’aveva condannato, riconosciute le attenuanti generiche e unificati i reati, applicata la riduzione prevista per il rito, alla pena mesi sei di reclusione ed C 6000,00 di multa.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, che, con il primo motivo, denuncia la violazione di legge in relazione agli artt. 6 I. 401/89 e 5 legge n. 2248/1865 nonché la manifesta illogicità della motivazione. Deduce il difensore che il DASPO emesso dal Questore di Bergamo in data 29/5/2018 era stato “annullato dal TAR per la LombardiaSezione distaccata di Brescia, con sentenza del 12/7/2022”, per motivi di merito che il giudice penale avrebbe potuto e dovuto rilevare così da addivenire alla disapplicazione del provvedimento questorile e alla conseguente assoluzione dell’imputato per il reato di cui al comma 6 dell’art. 6.
Con il secondo motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 6 ter della legge 401/89 e la manifesta illogicità della motivazione.
Deduce la difesa che la “torcia illuminante” era stata detenuta da COGNOME in “occasione di un evento festoso” rappresentato dalla manifestazione posta in essere dai sostenitori della Ternana “per salutare la squadra mentre si recava allo stadio per disputare la partita”, evento sportivo che non avrebbe potuto determinare l’insorgenza di alcun pericolo per l’ordine pubblico” in quanto i tifosi della squadra ospite non avrebbero potuto assistere per le restrizioni derivanti dall’epidemia COVID 19 “. In questi termini ricostruita la vicenda, si contesta che la condotta sanzionata, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, fosse correlata a una manifestazione sportiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato in motivi non consentiti in quanto non dedotti con il gravame o manifestamente infondati.
La sentenza impugnata si pone in linea con il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale il provvedimento questorile conserva efficacia sino a quando non ne venga dichiarata l’illegittimità (Sez. 3, n. 53972 del 12/7/2018, COGNOME, Rv. 274563 – 01; Sez. 3, n. 45366 del 28/4/2021, NOME).
Tale principio riverbera i suoi effetti anche sulla natura del sindacato del giudice della cognizione, chiamato a valutare l’integrazione del reato di cui al comma 6 dell’art. 6 della legge 401/89, sul provvedimento impositivo del divieto di accesso negli stati o dell’obbligo di presentazione che si assume violato. E’ stato, infatti, precisato che “In tema di reati concernenti l’inosservanza dei provvedimenti del questore che impongono il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono
manifestazioni sportive o l’obbligo di comparizione presso un ufficio di polizia durante il loro svolgimento, il controllo giurisdizionale di legalità sui presupposti dell’azione amministrativa si esaurisce nella fase della convalida dinanzi al G.I.P., sicché l’omessa deduzione, in tale sede, delle relative eccezioni o il rigetto di esse da parte del giudice e, poi, eventualmente, della Corte di cassazione conferiscono al provvedimento amministrativo convalidato una forza corrispondente a quella del giudicato interno, preclusiva di ulteriore censurabilità in sede cognitiva (Sez. 3, n. 4949 del 17/12/2014 (dep. 2015), COGNOME, Rv. 262477 – 01; Sez. 3, n. 51583 del 18/9/2018, Nucatola; Sez. 3, n. 39408 del 26/9/2007, COGNOME, Rv. 238022). Non è a questo punto superfluo ricordare che “in sede di convalida del provvedimento del questore… il controllo di legalità del giudice deve riguardare l’esistenza di tutti i presupposti legittimanti l’adozione dell’atto da part dell’autorità amministrativa, compresi quelli imposti dalla circostanza che con esso si dispone una misura di prevenzione (ragioni di necessità e urgenza, pericolosità concreta ed attuale del soggetto, attribuibilità al medesimo delle condotte addebitate e loro riconducibilità alle ipotesi previste dalla norma), ed investire altresì la durata della misura che, se ritenuta eccessiva, può essere congruamente ridotta dal giudice della convalida (V. Corte cost., 5 dicembre 2002 n. 512)” (Sez. U., n. 44273 del 27/10/2004, COGNOME, Rv. 229110 – 01).
La Corte territoriale, pertanto, non aveva alcuna ragione per procedere d’ufficio al vaglio della legittimità del provvedimento adottato dal Questore di Bergamo il 29/5/2018.
2. A ciò si aggiunga che un tale scrutinio non era stato neppure sollecitato dalla difesa i cui motivi di appello non investivano la legittimità del provvedimento questorile ma l’incidenza, sulla rilevanza penale della condotta accertata, della normativa COVID, sull’assunto che il “divieto assoluto di spostamento tra le regioni”, non consentendo le trasferte dei tifosi della squadra ospite, impediva che dalla manifestazione cui aveva partecipato l’imputato potesse derivare “qualsiasi pericolo per l’ordine pubblico”, e sulla riconducibilità del luogo ove era stato sorpreso l’imputato a quelli oggetto del divieto di accesso imposto dal provvedimento del questore.
Va, anche, sottolineato che il ricorso al TAR accolto dalla decisione prodotta dalla difesa risaliva all’anno 2018, per cui non vi era alcuna causa ostativa che avesse impedito di dedurre le circostanze integranti i profili di illegittimità denunciati giudice amministrativo già dinanzi al Tribunale di Terni.
In ogni caso, dalla sentenza impugnata si rileva che non erano stati proposti motivi nuovi ai sensi dell’art. 585 cod. pen.
Va, pertanto, ribadito che le circostanze di fatto integranti i profili di illegitti rilevati dal giudice amministrativo erano estranei alle questioni sulle quali il giudice di appello era chiamato a pronunciarsi per cui, correttamente, la sentenza
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impugnata non affronta il tema della sussistenza o meno delle violazioni al DASPO adottato il 19/8/2015,oggetto delle valutazioni del giudice amministrativo, che avevano determinato l’adozione del DASPO emesso il 29/5/2018.
Va, infine, escluso che la sentenza del TAR abbia un’incidenza immediata sul processo penale così da integrare una causa di non punibilità che la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare l’ufficio ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
E’ noto che “al giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’illecito penale qualora GLYPH sul GLYPH tema GLYPH sia GLYPH intervenuta GLYPH una GLYPH sentenza irrevocabile del giudice amministrativo, salvo che i profili di illegittimità fatti valere in sede penale siano diversi da quelli dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa” (Sez. 1, Sentenza n. 11596 del 11/01/2011, Keller, Rv. 249871 – 01).
Sennonché, nel caso di specie, difetta uno dei presupposti necessari affinché la pronuncia del giudice amministrativo possa spiegare efficacia nel giudizio penale, ossia la prova della irrevocabilità della decisione, non risultando la definitività del provvedimento né dalla copia della sentenza del TAR prodotta, priva dell’attestazione del passaggio in giudicato, né dall’allegazione difensiva, non facendo menzione il ricorso al passaggio in giudicato del provvedimento.
Non maggior fondamento ha il secondo motivo d’impugnazione.
Questa Corte ha ritenuto che la «torcia bengala» costituisca “uno degli «artifizi pirotecnici» chiaramente utilizzabili, ai sensi degli articoli 6-bis e 6-ter della I. 401/1989, per il compimento di atti di violenza in occasione di competizioni sportive” il cui possesso integra l’ipotesi di cui all’art. 6 ter I. 1989/401 (Sez. 3, n 32760 del 21/06/2023 RAGIONE_SOCIALE, Rv. 284876 – 01, in motivazione).
Immune da vizi logici risulta anche la motivazione posta a fondamento della condanna, avendo i giudici di merito dato conto della relazione esistente fra la manifestazione sportiva e il possesso del fumogeno e della situazione di pericolo derivata dalla condotta, avendo l’accensione del bengala determinato lo spostamento di numerose persone (pag. 5 della sentenza di primo grado). Tanto basta, venendo in rilievo, come osservato dalla miglior dottrina, “un reato di pericolo indiretto che costituisce un’anticipazione di tutela rispetto al delitto d lancio di materiale pericoloso previsto dal precedente art. 6 bis punendo le attività potenzialmente prodromiche”, per disattendere le censure difensive.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché- ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000 e dei profili d’inammissibilità rilevati, si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 29/10/2024