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Daspo Urbano: ricorso inammissibile per il parcheggiatore

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo sanzionato per la violazione di un Daspo Urbano. L’uomo era stato sorpreso a svolgere l’attività di parcheggiatore abusivo in un’area interdetta. La difesa sosteneva un’incongruenza nella testimonianza sulla sua esatta posizione, ma la Corte ha stabilito che, in entrambe le versioni, l’individuo si trovava in una zona coperta dal divieto, che includeva esplicitamente le intersezioni tra le vie menzionate nel provvedimento.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Daspo Urbano: La Cassazione e il Divieto di Stazionamento

L’applicazione del Daspo Urbano è uno strumento sempre più discusso per la gestione della sicurezza nelle città. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sull’interpretazione dei divieti imposti e sui limiti dell’impugnazione in sede di legittimità. Il caso analizzato riguarda un individuo condannato per aver violato un provvedimento che gli impediva di accedere e stazionare in specifiche aree urbane, dove era stato sorpreso a svolgere l’attività di parcheggiatore abusivo.

I Fatti: Il Contesto del Ricorso

Al ricorrente era stato notificato un provvedimento di Daspo Urbano emesso dal Questore, valido per un anno, che gli vietava di accedere e fermarsi in una determinata via di Palermo, compresi i punti di intersezione con due piazze adiacenti. Nonostante il divieto, l’uomo era stato sorpreso dalle forze dell’ordine mentre svolgeva l’attività di parcheggiatore abusivo proprio in quella zona. La sua condanna, confermata in appello, si basava sulla testimonianza di un agente che lo aveva identificato sul posto.

La Difesa e le Presunte Incongruenze Testimoniali

Il ricorso per Cassazione si fondava su un unico motivo: un’asserita illogicità della motivazione dovuta a una difformità nelle dichiarazioni del testimone chiave. La difesa sosteneva che l’agente, in una prima deposizione, avesse collocato il proprio assistito in una delle piazze adiacenti, mentre in una successiva audizione, avvenuta a distanza di anni, lo avesse posizionato nella via principale. Secondo la tesi difensiva, se la prima versione fosse stata quella corretta, il reato non sarebbe sussistito, poiché la presenza nella piazza non sarebbe rientrata nel perimetro esatto del divieto.

L’Analisi della Cassazione sul Daspo Urbano

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni fondamentali. In primo luogo, ha qualificato le argomentazioni della difesa come mere doglianze in punto di fatto, ovvero critiche relative alla ricostruzione degli eventi e all’interpretazione delle prove, che non possono essere oggetto di valutazione in sede di Cassazione. Il ruolo della Corte, infatti, è quello di verificare la corretta applicazione della legge, non di riesaminare il merito dei fatti.

In secondo luogo, il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato. I giudici hanno evidenziato come non vi fosse alcun vizio motivazionale nella sentenza impugnata. La Corte ha chiarito che l’interpretazione del provvedimento del Questore era inequivocabile.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si concentrano sulla portata del divieto imposto dal Daspo Urbano. Il provvedimento vietava l’accesso e lo stazionamento nell'area del viale della Croce Rossa, compresi i punti di intersezione del predetto viale con Piazza Vittorio Veneto da una parte e Piazza Giovanni Paolo II dall'altra. Analizzando entrambe le testimonianze, la Cassazione ha concluso che non esisteva una reale contraddizione. In entrambe le occasioni, l’agente aveva collocato il ricorrente nella zona dell’intersezione tra la via e la piazza. Che si dicesse a piazza Papa Giovanni Paolo II nei pressi dell'intersezione con Via Croce Rossa o su viale Croce Rossa... quasi all'intersezione con Piazza Papa Giovanni Paolo II, il luogo descritto era sostanzialmente lo stesso e, soprattutto, ricadeva inequivocabilmente all’interno dell’area interdetta dal provvedimento. La presunta difformità, secondo la Corte, era frutto di una personale esegesi difensiva e non di un reale travisamento probatorio.

Le Conclusioni

La decisione della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: il ricorso in sede di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul fatto. Le censure devono riguardare vizi di legge o di motivazione palesi ed evidenti, non mere reinterpretazioni delle prove. Nel caso specifico, la Corte ha confermato che l’interpretazione del perimetro di un Daspo Urbano deve essere effettuata sulla base del tenore letterale del provvedimento. Se il divieto include esplicitamente le intersezioni, la presenza in prossimità di esse costituisce una violazione. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Quando un’apparente contraddizione nella testimonianza può essere irrilevante?
Un’apparente contraddizione è irrilevante quando, analizzando entrambe le dichiarazioni nel loro contesto, emerge che esse descrivono la stessa circostanza fattuale rilevante ai fini del reato. Nel caso specifico, entrambe le versioni collocavano l’imputato in un’area inclusa nel divieto.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è basato su ‘mere doglianze in punto di fatto’?
Significa che il ricorso non contesta la violazione di norme di legge o un vizio logico della motivazione, ma tenta di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti, attività che è preclusa alla Corte di Cassazione.

Come si interpreta l’estensione geografica di un divieto come il Daspo Urbano?
L’estensione geografica si interpreta sulla base del tenore letterale del provvedimento che lo impone. Se il divieto menziona specificamente una via e i suoi ‘punti di intersezione’ con altre aree (come piazze), l’intera zona descritta, comprese le intersezioni stesse, è da considerarsi interdetta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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