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Daspo urbano: quando la violazione costituisce reato

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un cittadino condannato per la violazione del divieto di accesso a determinate aree urbane (daspo urbano). La Corte ha chiarito che, per la configurazione del reato, è sufficiente la semplice presenza nella zona interdetta, essendo irrilevante l’assenza di condotte minacciose o violente.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Violazione Daspo Urbano: La Cassazione Conferma la Condanna Anche Senza Violenza

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sulla natura del reato di violazione del daspo urbano. Con una decisione netta, i giudici supremi hanno stabilito che per integrare il reato è sufficiente la mera presenza del soggetto nelle aree vietate, a prescindere dal compimento di ulteriori atti violenti o minacciosi. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia e le sue significative implicazioni.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un cittadino che aveva presentato ricorso contro una sentenza della Corte d’Appello. A quest’ultimo era stato notificato un provvedimento del Questore, comunemente noto come daspo urbano, che gli vietava l’accesso, per la durata di un anno, a due piazze e alle relative aree pertinenziali di una città.

Nonostante il divieto, l’individuo veniva sorpreso all’interno di una delle zone interdette. La difesa sosteneva che, non avendo egli posto in essere alcuna condotta minacciosa o violenta, non si fosse configurato il reato. La Corte d’Appello aveva respinto questa tesi, portando il caso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte sul Daspo Urbano

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno ribadito un principio fondamentale relativo alla violazione del daspo urbano: il reato si perfeziona con la semplice e volontaria trasgressione del divieto di accesso imposto dall’autorità di pubblica sicurezza.

La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende, confermando così la linea dura nei confronti di chi non rispetta tali provvedimenti preventivi.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della motivazione risiede nell’interpretazione dell’articolo 10 del d.l. n. 14 del 2017. La norma punisce chiunque violi il divieto di accesso disposto dal Questore. Secondo la Corte, la legge mira a sanzionare la disobbedienza a un ordine legittimo dell’autorità, emesso per tutelare la sicurezza pubblica.

La condotta penalmente rilevante è, quindi, la semplice presenza nel luogo vietato. È del tutto irrilevante, ai fini della sussistenza del reato, accertare se il soggetto, una volta entrato nell’area interdetta, abbia tenuto un comportamento pacifico o, al contrario, aggressivo. L’illecito è di pura condotta e si consuma nel momento stesso in cui si contravviene all’ordine. La finalità della norma è preventiva: impedire che soggetti ritenuti pericolosi possano accedere a luoghi sensibili, senza dover attendere la commissione di ulteriori reati.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida l’efficacia del daspo urbano come strumento di prevenzione. La decisione chiarisce che la violazione del divieto è un reato di pericolo astratto, che non richiede la concretizzazione di un danno o di un pericolo effettivo per la sicurezza. Per i cittadini destinatari di un tale provvedimento, il messaggio è inequivocabile: il rispetto del divieto è assoluto e la sua violazione comporta conseguenze penali dirette, senza possibilità di giustificazioni legate al proprio comportamento successivo. Per gli operatori del diritto, la pronuncia conferma che l’accertamento del reato si basa su un unico elemento oggettivo: la presenza del soggetto nel luogo vietato durante il periodo di validità del daspo.

È necessario compiere atti violenti o minacciosi per essere condannati per la violazione del daspo urbano?
No, secondo la Corte di Cassazione, per la sussistenza del reato è sufficiente violare il divieto di accesso alle aree indicate, essendo irrilevante l’aver posto in essere o meno condotte minacciose o violente.

Cosa succede se un ricorso contro una condanna per violazione del daspo urbano viene ritenuto ‘manifestamente infondato’?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò comporta la conferma della condanna e l’addebito al ricorrente del pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.

Qual è la sanzione prevista per chi viola un daspo urbano?
La violazione del divieto è punita con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno, secondo quanto introdotto dal d.l. n. 113 del 2018.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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