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Daspo Urbano: legittimo anche senza traduzione atti

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un cittadino straniero per la violazione di un daspo urbano. L’imputato sosteneva la nullità del procedimento per la mancata traduzione degli atti e l’illegittimità del provvedimento del Questore. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che la conoscenza della lingua italiana era stata adeguatamente provata da vari elementi (permanenza in Italia, dichiarazioni, uso di espressioni complesse). Inoltre, ha ritenuto legittimo il daspo urbano, basato su reiterati episodi di ubriachezza molesta, e ha confermato la validità del regolamento comunale che identificava l’intera area del centro storico come zona soggetta a divieto.

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Pubblicato il 24 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Daspo Urbano: La Conoscenza dell’Italiano Rende Valido il Processo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato temi di grande attualità e rilevanza pratica, tra cui la validità del daspo urbano e le garanzie processuali per gli stranieri. Il caso riguardava un cittadino extracomunitario condannato per non aver rispettato un divieto di accesso al centro storico di una grande città italiana. La difesa ha sollevato questioni cruciali: la mancata traduzione degli atti processuali e la presunta illegittimità del provvedimento del Questore. La Corte Suprema ha fornito chiarimenti importanti, confermando la condanna e delineando i confini di applicazione di queste misure.

I Fatti del Caso

Un cittadino straniero, residente in Italia da diversi anni, veniva colpito da un provvedimento di daspo urbano emesso dal Questore. Il divieto, della durata di dodici mesi, gli impediva l’accesso a tutta l’area del centro storico cittadino. La misura era stata motivata da reiterati episodi di ubriachezza molesta e comportamenti aggressivi. Nonostante il divieto, l’uomo veniva sorpreso più volte dalle forze dell’ordine all’interno della zona interdetta, venendo così denunciato e, successivamente, condannato sia in primo grado che in appello.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha basato il ricorso in Cassazione su tre motivi principali:
1. Violazione delle norme processuali: Si lamentava la mancata traduzione di atti fondamentali del procedimento (come l’avviso di conclusione delle indagini e il decreto di citazione a giudizio), sostenendo che l’imputato non comprendesse la lingua italiana. Questo, secondo il difensore, avrebbe comportato una nullità insanabile.
2. Mancanza di motivazione del daspo urbano: Il ricorrente contestava l’errata applicazione della legge, sostenendo che il provvedimento del Questore non fosse adeguatamente motivato riguardo alla sussistenza degli elementi che legittimano l’applicazione di una misura così restrittiva.
3. Illegittimità del regolamento comunale: Si criticava il rinvio del provvedimento a un regolamento di polizia urbana che definiva in modo eccessivamente ampio e generico l’area interdetta, senza una specifica indicazione delle singole vie.

La Legittimità del Daspo Urbano e la Prova della Comprensione Linguistica

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi del ricorso. Sul primo punto, relativo alla lingua, i giudici hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione solida e non illogica. La conoscenza dell’italiano da parte dell’imputato era stata desunta da una serie di elementi concreti: la sua lunga permanenza in Italia (dal 2016), l’aver svolto un’attività lavorativa come giardiniere, una sua stessa dichiarazione di comprendere la lingua in un verbale e, infine, l’aver proferito insulti complessi in italiano contro gli agenti di polizia. Pertanto, la mancata traduzione non costituiva una violazione del diritto di difesa.

le motivazioni

Per quanto riguarda il secondo e terzo motivo, la Corte li ha trattati congiuntamente, confermando la piena legittimità del daspo urbano. La legge (art. 10 del D.L. 14/2017) consente l’adozione di tale misura in caso di reiterazione di condotte moleste, come l’ubriachezza (art. 688 c.p.), qualora ne derivi un pericolo per la sicurezza. La Corte ha chiarito che il provvedimento del Questore era ben motivato, facendo riferimento non solo ai tre episodi di ubriachezza, ma anche a comportamenti aggressivi verso i passanti, alla frequentazione di pregiudicati e a precedenti per spaccio di stupefacenti, elementi che delineavano una concreta pericolosità sociale.

Inoltre, i giudici hanno ritenuto pienamente legittimo che un regolamento comunale definisca l’area di applicazione del divieto attraverso la perimetrazione di una zona ampia, come un intero centro storico, anziché un’elencazione minuziosa di ogni singola via. Questa modalità, secondo la Corte, garantisce una maggiore comprensibilità e conoscibilità del divieto per tutti i cittadini ed è coerente con la norma, che parla di “aree urbane” e non di singole strade.

le conclusioni

La sentenza ribadisce due principi fondamentali. Primo, il diritto alla traduzione degli atti non è assoluto, ma va valutato caso per caso, potendo essere escluso se vi sono prove concrete che l’imputato straniero abbia una sufficiente comprensione della lingua italiana. Secondo, il daspo urbano è uno strumento efficace per la tutela della sicurezza, la cui legittimità si fonda su una motivazione che dimostri la pericolosità sociale del soggetto e sulla chiara individuazione, anche perimetrale, delle aree interdette da parte dei regolamenti comunali.

Quando può essere legittimamente emesso un daspo urbano?
Un daspo urbano può essere emesso dal Questore nei casi di reiterazione di condotte moleste (come l’ubriachezza in luogo pubblico), qualora da tali comportamenti possa derivare un pericolo per la sicurezza. Può essere applicato anche a soggetti denunciati o condannati per specifici reati contro la persona o il patrimonio negli ultimi cinque anni.

La mancata traduzione degli atti processuali a uno straniero rende sempre nullo il processo?
No. Secondo la Corte, se esistono elementi di prova concreti e sufficienti a dimostrare che l’imputato straniero comprende la lingua italiana (come una lunga permanenza sul territorio, l’attività lavorativa, dichiarazioni rese o l’uso di espressioni complesse), la mancata traduzione degli atti non determina automaticamente la nullità del procedimento.

È valido un regolamento comunale che vieta l’accesso a un intero centro storico senza elencare ogni singola via?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la definizione di un’area urbana soggetta a divieto tramite la sua perimetrazione (indicando le strade che la circondano) è una modalità pienamente legittima, consentita dalla legge e idonea a garantire la comprensibilità e la conoscibilità del divieto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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