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DASPO: la Cassazione conferma l’obbligo di firma

La Corte di Cassazione ha confermato la validità di un provvedimento DASPO aggravato con l’obbligo di firma per un tifoso che aveva violato un precedente divieto di avvicinamento allo stadio. L’uomo, già sottoposto a DASPO, aveva partecipato a un corteo non autorizzato a circa 300 metri dall’impianto sportivo. I giudici hanno respinto il ricorso, ritenendo la nuova misura giustificata e legittima, e hanno chiarito che non sussiste disparità di trattamento se le situazioni giuridiche di altri soggetti coinvolti non sono identiche.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

DASPO: Violazione del Divieto di Avvicinamento? Scatta l’Obbligo di Firma

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un interessante caso in materia di DASPO, chiarendo le conseguenze per chi viola le prescrizioni imposte da un precedente provvedimento. La decisione sottolinea come la violazione di un divieto di avvicinamento allo stadio possa legittimamente condurre all’aggravamento della misura, con l’introduzione del più stringente obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dai giudici.

I Fatti del Caso

Un tifoso, già destinatario di un provvedimento di DASPO emesso il 22 dicembre 2021 che gli vietava, tra le altre cose, di avvicinarsi a meno di 500 metri dallo stadio di Siracusa, partecipava a disordini avvenuti il 1° novembre 2023 in occasione di un incontro di calcio. Le indagini della Digos, supportate da immagini video, accertavano la sua presenza all’interno di un corteo non autorizzato a circa 300 metri dall’impianto sportivo, in palese violazione della prescrizione.

Di conseguenza, il Questore di Siracusa emetteva un nuovo provvedimento, convalidato dal G.I.P. del Tribunale, che non solo confermava il divieto di accesso agli stadi per 5 anni, ma aggiungeva l’ulteriore e più gravosa prescrizione dell’obbligo di presentarsi in Questura in occasione di tutte le partite della squadra locale. L’interessato proponeva ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza del G.I.P.

I Motivi del Ricorso

La difesa del ricorrente articolava il ricorso su tre principali motivi:

1. Violazione del diritto di difesa: Si sosteneva che il G.I.P. non avesse effettivamente letto la memoria difensiva depositata, basando tale convinzione su un’inesattezza nella data di deposito citata nell’ordinanza e sulla ricezione di una PEC automatica di non accettazione atti da un indirizzo del tribunale.
2. Difetto di motivazione: Il ricorrente lamentava che il G.I.P. avesse omesso di valutare le argomentazioni difensive, secondo cui egli si trovava in realtà a 650 metri dallo stadio, e avesse recepito acriticamente le conclusioni del Questore.
3. Disparità di trattamento: Veniva evidenziato come, in un caso analogo riguardante un altro tifoso coinvolto negli stessi fatti, il medesimo G.I.P. non avesse convalidato un analogo DASPO, violando così il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.

La Decisione della Cassazione sul DASPO

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo integralmente e confermando la piena legittimità del provvedimento impugnato.

Sulla presunta violazione del diritto di difesa

I giudici hanno ritenuto l’argomento non accoglibile. In primo luogo, la memoria difensiva era stata correttamente inviata anche a un secondo indirizzo PEC dedicato al deposito atti, dal quale non era pervenuta alcuna comunicazione di mancata accettazione. In secondo luogo, e in via dirimente, l’ordinanza del G.I.P. dimostrava di aver affrontato e superato, nel merito, le argomentazioni difensive, confrontandosi con le prove investigative e ritenendole prevalenti. Pertanto, qualsiasi vizio formale era da considerarsi superato dalla valutazione sostanziale dei fatti.

Sulla valutazione delle prove e la violazione del precedente DASPO

La Corte ha stabilito che la motivazione del G.I.P. era logica e saldamente ancorata alle risultanze investigative della Digos. Queste prove, basate su accertamenti e visioni di immagini, collocavano inequivocabilmente il ricorrente a una distanza di circa 300 metri dallo stadio, ben al di sotto della soglia dei 500 metri imposta dal precedente DASPO. Le obiezioni della difesa sono state qualificate come un tentativo di ottenere un nuovo giudizio di merito, inammissibile in sede di legittimità.

Sulla disparità di trattamento

Anche questo motivo è stato respinto. La Cassazione ha chiarito che la situazione dell’altro tifoso non era assimilabile. Infatti, il precedente DASPO a carico di quest’ultimo non conteneva la specifica prescrizione del divieto di avvicinarsi entro 500 metri dallo stadio. Essendo le posizioni di partenza giuridicamente diverse, non poteva esservi alcuna violazione del principio di uguaglianza, che richiede il trattamento uguale di situazioni identiche.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un principio di concretezza e sostanza. In primo luogo, la violazione accertata di un provvedimento preventivo giustifica pienamente l’adozione di una misura più restrittiva per garantirne l’efficacia. La condotta del ricorrente ha dimostrato l’inadeguatezza della misura originaria, rendendo necessario un suo aggravamento. In secondo luogo, le censure procedurali vengono superate quando il giudice dimostra, con la sua motivazione, di aver esaminato il nucleo delle argomentazioni difensive. Infine, il principio di uguaglianza non può essere invocato in modo astratto, ma richiede una perfetta coincidenza delle situazioni giuridiche e fattuali messe a confronto, cosa che nel caso di specie mancava.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce la severità dell’ordinamento nei confronti di chi non rispetta le misure di prevenzione come il DASPO. La violazione di una prescrizione, anche se non direttamente legata alla partecipazione a scontri, è sufficiente per legittimare un inasprimento delle restrizioni, come l’obbligo di firma. Il provvedimento conferma inoltre che il giudizio di Cassazione non è una terza istanza di merito e che le valutazioni probatorie del giudice, se logicamente motivate, non sono sindacabili. Infine, viene offerto un importante chiarimento sui limiti dell’applicazione del principio di uguaglianza, che non può essere invocato per sanare situazioni soggettive differenti.

La semplice violazione di un divieto di avvicinamento allo stadio può portare all’obbligo di firma?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la violazione accertata di una prescrizione contenuta in un precedente DASPO, come il divieto di avvicinamento, dimostra l’inadeguatezza della misura iniziale e giustifica l’imposizione di una più restrittiva, quale l’obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria.

Un’irregolarità nella ricezione di una memoria difensiva rende automaticamente invalida la decisione del giudice?
No. Se il giudice, nella sua motivazione, dimostra di aver preso in considerazione e risposto nel merito agli argomenti contenuti nella memoria, il vizio procedurale può essere considerato superato. L’importante è che il diritto di difesa sia stato garantito nella sostanza.

È possibile appellarsi al principio di uguaglianza se un’altra persona coinvolta negli stessi fatti ha ricevuto un trattamento diverso?
È possibile solo se le posizioni giuridiche di partenza sono perfettamente identiche. In questo caso, il ricorso è stato respinto perché l’altro soggetto non era sottoposto allo stesso divieto di avvicinamento, rendendo la sua situazione non paragonabile e quindi non vi era alcuna disparità di trattamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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