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DASPO: il controllo del giudice sulla pericolosità

Un tifoso ha ricevuto un DASPO di cinque anni con obbligo di firma per aver partecipato a scontri violenti. Ha presentato ricorso, sostenendo che si trattava di un episodio isolato e che le sue azioni erano state fraintese. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la decisione del GIP. La Corte ha stabilito che il giudice aveva correttamente valutato la pericolosità del ricorrente sulla base delle prove video che mostravano la sua partecipazione attiva alla ‘guerriglia urbana’ e ha ritenuto la misura, compreso il DASPO, proporzionata alla gravità della condotta.

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Pubblicato il 18 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

DASPO e Obbligo di Firma: Il Ruolo Cruciale del Giudice nella Valutazione della Pericolosità

Il DASPO (Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive) è uno strumento di prevenzione fondamentale per contrastare la violenza negli stadi. Quando a questa misura si aggiunge l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (il cosiddetto ‘obbligo di firma’), il suo impatto sulla libertà personale diventa significativo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce i confini e la natura del controllo che il giudice deve esercitare per convalidare un provvedimento così incisivo, sottolineando che non basta una verifica formale, ma è necessaria una valutazione concreta della pericolosità del soggetto.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un tifoso destinatario di un provvedimento emesso dal Questore che gli imponeva, per cinque anni, il divieto di accedere a tutti i luoghi sul territorio nazionale dove si svolgono competizioni calcistiche. Oltre a ciò, gli veniva imposto l’obbligo di presentarsi presso gli uffici di Pubblica Sicurezza in occasione di tutte le partite delle squadre di calcio di Serie A, B e C. Il provvedimento scaturiva dalla partecipazione del soggetto a un episodio di violenza e guerriglia urbana tra due tifoserie opposte.

Il GIP (Giudice per le Indagini Preliminari) del Tribunale competente convalidava l’ordinanza del Questore. Contro questa decisione, il tifoso proponeva ricorso per cassazione.

I Motivi del Ricorso: Una Difesa Basata sulla Proporzionalità del DASPO

Il ricorrente lamentava una violazione di legge e una carenza di motivazione da parte del GIP. La sua difesa si basava su diversi punti:

1. Unicità dell’episodio: Sosteneva che l’episodio contestato fosse un caso isolato e non indicativo di una sua pericolosità abituale.
2. Inidoneità dell’oggetto: Contestava che l’asta di una bandiera, che teneva in mano, potesse essere considerata un’arma.
3. Valutazione astratta: Riteneva che il giudice avesse operato una valutazione astratta e non individualizzata, ignorando elementi a suo favore emergenti dai video, dove in alcuni fotogrammi appariva defilato rispetto agli scontri.
4. Sproporzione: Giudicava la durata di cinque anni del DASPO e dell’obbligo di firma sproporzionata rispetto alla gravità del fatto.

La Decisione della Cassazione e il Controllo Sostanziale sul DASPO

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Nel farlo, ha ribadito principi fondamentali sul controllo giurisdizionale in materia di misure di prevenzione.

La Corte ha ricordato che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, il giudice della convalida del DASPO non può limitarsi a un mero controllo formale dell’atto del Questore. Al contrario, deve compiere una verifica sostanziale e concreta, accertando:

* Le ragioni di necessità e urgenza che hanno giustificato l’adozione del provvedimento.
* La pericolosità concreta e attuale del soggetto.
* L’attribuibilità della condotta pericolosa al soggetto stesso, basata su sufficienti elementi indiziari.
* La congruità e la proporzionalità della durata della misura.

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che il GIP avesse svolto correttamente questo controllo approfondito.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano sull’analisi puntuale del lavoro svolto dal giudice della convalida. Il GIP aveva esaminato le immagini della videosorveglianza, dalle quali emergeva chiaramente che il ricorrente non era un soggetto passivo, ma aveva preso parte attiva a un episodio di ‘vera e propria guerriglia urbana’. In particolare, specifici fotogrammi lo ritraevano mentre gridava insieme ad altri, munito di un bastone. Il giudice aveva inoltre correttamente motivato sull’urgenza della misura, data la prosecuzione dei campionati di calcio e il rischio concreto di reiterazione di simili condotte violente. La Corte ha anche respinto la doglianza secondo cui le argomentazioni difensive sarebbero state ignorate; al contrario, il GIP le aveva esaminate e motivatamente disattese, qualificando il contegno del ricorrente come ‘preordinato alla creazione di disordini’ e replicando che anche un’asta portabandiera può, in quel contesto, svolgere le funzioni tipiche di un’arma. La durata di cinque anni è stata ritenuta congrua e proporzionata alla gravità della condotta e alla personalità del ricorrente.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio cruciale: il DASPO con obbligo di firma, pur essendo una misura di prevenzione amministrativa, richiede un rigoroso vaglio giurisdizionale che ne assicuri la legittimità sostanziale. Il giudice ha il dovere di andare oltre la forma, analizzando nel dettaglio le prove (come i video) e valutando in concreto la pericolosità del soggetto e la proporzionalità della sanzione. Questo caso dimostra che, di fronte a prove evidenti di partecipazione attiva a episodi di violenza, i tentativi di minimizzare la propria condotta o di contestare la valutazione del giudice sulla base di argomenti generici sono destinati a fallire. La decisione finale di inammissibilità, con condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria, serve da monito sulla serietà delle conseguenze per chi abusa delle manifestazioni sportive per scopi violenti.

Che tipo di controllo deve effettuare il giudice quando convalida un DASPO con obbligo di firma?
Il giudice non può limitarsi a un controllo formale, ma deve effettuare una verifica sostanziale e concreta. Deve accertare la pericolosità attuale del soggetto, l’attribuibilità della condotta, le ragioni di necessità e urgenza, e la proporzionalità della misura rispetto al fatto contestato.

Un oggetto comune, come l’asta di una bandiera, può essere considerato un’arma ai fini dell’applicazione di un DASPO?
Sì. La Corte ha confermato che, nel contesto di scontri violenti, anche un oggetto apparentemente innocuo come un’asta portabandiera può essere utilizzato con le funzioni tipiche di un’arma, e tale circostanza è rilevante per valutare la pericolosità del soggetto.

Cosa accade se un ricorso contro un DASPO viene giudicato ‘manifestamente infondato’ dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, la Corte non esamina il merito della questione e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro a favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un ricorso privo di fondamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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