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DASPO con obbligo di firma: quando è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un provvedimento di DASPO con obbligo di firma. La Corte ha ritenuto adeguata la motivazione del G.I.P. sulla pericolosità del soggetto, identificato nonostante l’uso di mascherina, e sulla necessità della misura aggiuntiva per prevenire l’elusione del divieto di accesso, giudicando le lamentele del ricorrente come una mera rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

DASPO con obbligo di firma: i limiti del ricorso in Cassazione

Il DASPO con obbligo di firma rappresenta una delle misure di prevenzione più incisive per contrastare la violenza negli stadi. Non si limita a vietare l’accesso alle manifestazioni sportive, ma impone anche la presentazione periodica presso un ufficio di polizia. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 6569/2024) ha ribadito i rigorosi paletti entro cui può essere contestata tale misura, sottolineando l’importanza di una motivazione adeguata da parte del giudice e l’inammissibilità di ricorsi basati su una semplice rivalutazione dei fatti.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un provvedimento del Questore di Agrigento che imponeva a un tifoso un DASPO per un periodo di due anni e sei mesi, comprensivo dell’obbligo di presentarsi al commissariato durante lo svolgimento delle partite della sua squadra. Il provvedimento era scaturito da episodi di aggressività e violenza avvenuti in occasione di un incontro di calcio, durante i quali il soggetto era stato identificato come uno dei protagonisti, nonostante l’uso di un cappello e di una mascherina per celare il volto. Il G.I.P. del Tribunale di Agrigento convalidava la misura.

L’applicazione del DASPO con obbligo di firma e i motivi del ricorso

L’interessato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso in Cassazione lamentando principalmente due vizi:

1. Carenza di motivazione: Il ricorrente sosteneva che il giudice della convalida si fosse limitato a richiamare l’atto del Questore, senza un’autonoma analisi della sua condotta. A suo dire, non vi erano prove certe della sua identificazione né del possesso di oggetti atti a offendere (come una cintura), e la sua incensuratezza e attività lavorativa avrebbero dovuto escludere un giudizio di pericolosità sociale.
2. Violazione di legge e sproporzione della misura: Il ricorso contestava anche la mancanza di motivazione sulla necessità e urgenza della misura, nonché sulla scelta del doppio obbligo di presentazione. Si evidenziava una presunta sproporzione della durata e delle modalità, anche in considerazione del fatto che la squadra disputava le partite casalinghe a 15 km di distanza dalla residenza del tifoso.

La Decisione della Corte di Cassazione e il DASPO con obbligo di firma

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la validità del provvedimento impugnato. La decisione si fonda su principi consolidati in materia di misure di prevenzione e sui limiti del giudizio di legittimità.

Le Motivazioni

I giudici hanno chiarito diversi punti fondamentali. In primo luogo, hanno affermato che il giudice della convalida (il G.I.P.) è tenuto a svolgere un controllo penetrante su tutti i presupposti della misura, inclusa la congruità, la proporzionalità e la durata. Per imporre l’obbligo di firma, non basta il semplice divieto di accesso, ma è necessario un “quid pluris” di pericolosità sociale, che deve essere adeguatamente motivato.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la motivazione del G.I.P. fosse completa e logicamente argomentata. L’ordinanza di convalida aveva dato pienamente conto:

* Dell’identificazione del soggetto: Nonostante il tentativo di mascheramento, l’individuo era stato riconosciuto in più momenti, anche quando si privava della mascherina.
* Della sua pericolosità: La condotta aggressiva, gli assalti verso la tifoseria avversaria, respinti dalle forze dell’ordine, e il possesso di una cintura usata in modo minaccioso, integravano quel “quid pluris” di pericolosità richiesto.
* Della necessità dell’obbligo di firma: La motivazione spiegava che tale obbligo era essenziale per prevenire una possibile elusione del semplice divieto di accesso.

La Cassazione ha inoltre specificato che le argomentazioni del ricorrente si traducevano in una richiesta di rivalutazione dei fatti, come ad esempio l’interpretazione dei fotogrammi o la valutazione della sua pericolosità. Tale operazione è preclusa in sede di legittimità, dove la Corte può sindacare solo la violazione di legge o un vizio logico manifesto della motivazione, non sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito.

Infine, riguardo alla censura sull’urgenza, la Corte ha ricordato che è onere del ricorrente dimostrare che la misura ha avuto esecuzione prima della convalida del giudice, circostanza non provata nel caso di specie. Anche la durata della misura, già ridotta dal G.I.P. rispetto alla richiesta iniziale, è stata giudicata equilibrata e ragionevole.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cardine: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito. Contro un DASPO con obbligo di firma, le contestazioni devono focalizzarsi su reali vizi di legittimità, come una motivazione assente, palesemente illogica o contraddittoria. Se il giudice della convalida ha esaminato tutti i presupposti di legge (pericolosità, necessità, proporzionalità) e ha argomentato la sua decisione in modo coerente, la misura restrittiva è legittima. La decisione rafforza la discrezionalità motivata del giudice di merito nel valutare la pericolosità del soggetto e nell’adottare le misure più idonee a garantire l’ordine pubblico durante le manifestazioni sportive.

È sufficiente una generica pericolosità per imporre il DASPO con obbligo di firma?
No. La giurisprudenza richiede un ‘quid pluris’, ovvero un grado di pericolosità sociale più elevato rispetto a quello sufficiente per il solo divieto di accesso. Questa maggiore pericolosità deve essere specificamente dimostrata e motivata nel provvedimento del giudice.

Si può contestare in Cassazione l’identificazione di un soggetto ritenuta certa dal giudice di merito?
No, il ricorso per cassazione non può essere utilizzato per una nuova valutazione delle prove e dei fatti, come l’identificazione di una persona. Si possono contestare solo errori di diritto o vizi logici evidenti nella motivazione, ma non la valutazione del giudice se questa è basata su argomentazioni coerenti.

Cosa deve fare chi lamenta la mancanza di urgenza in un provvedimento di DASPO?
Il ricorrente ha l’onere di dimostrare che il provvedimento ha avuto concreta esecuzione (ad esempio, che ha dovuto adempiere all’obbligo di firma) in un lasso di tempo compreso tra la notifica del provvedimento e la sua convalida da parte del giudice. Senza questa prova, il motivo di ricorso è considerato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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