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DASPO aggravato: la Cassazione sulla convalida

Un tifoso ricorre contro un DASPO aggravato di dieci anni con obbligo di firma, lamentando la violazione del diritto di difesa e una motivazione carente sulla durata. La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, specificando che il termine di 48 ore per la difesa decorre dalla notifica del provvedimento del Questore, non dalla richiesta del PM. La Corte conferma inoltre che il giudice, pur in presenza di un automatismo normativo, deve valutare la congruità della durata basandosi sulla gravità dei fatti e sulla pericolosità del soggetto, come correttamente avvenuto nel caso di specie.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

DASPO aggravato: la Cassazione fa chiarezza su convalida e diritto di difesa

Una recente sentenza della Corte di Cassazione fornisce importanti chiarimenti sulla procedura di convalida del DASPO aggravato, la misura di prevenzione applicata ai soggetti già destinatari di un precedente divieto. Il caso analizzato riguarda un tifoso sanzionato con la massima durata di dieci anni e l’obbligo di presentazione alla polizia. La Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha precisato i contorni del diritto di difesa e i poteri del giudice nella valutazione della misura, bilanciando l’automatismo previsto dalla legge con la necessità di un controllo giurisdizionale effettivo.

I Fatti del Caso

Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Palermo convalidava un provvedimento emesso dal Questore nei confronti di un individuo, nato a Palermo nel 1980. Tale provvedimento imponeva il divieto di accedere a manifestazioni sportive e la prescrizione accessoria dell’obbligo di presentazione presso un commissariato di Polizia per la durata di dieci anni. La misura era scaturita dalla partecipazione attiva dell’uomo a gravi disordini avvenuti prima di un incontro di calcio, durante i quali un gruppo di tifosi aveva messo in atto una vera e propria “azione di guerriglia” contro le forze dell’ordine e tifoserie avversarie.

L’individuo, già noto alle forze dell’ordine e in passato destinatario di un analogo provvedimento, veniva identificato tramite videoriprese e riconoscimento diretto da parte della polizia giudiziaria.

I Motivi del Ricorso

Attraverso il suo difensore, il tifoso ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Violazione di legge e difetto di motivazione: Si contestava la durata massima della misura (dieci anni), ritenendo che sia il Questore che il G.I.P. non avessero adeguatamente motivato le ragioni di tale scelta, concentrandosi solo sulla gravità dei fatti senza considerare il principio di gradualità della sanzione.
2. Violazione del diritto di difesa: Il ricorrente lamentava un’eccessiva compressione dei tempi per difendersi. Sosteneva che lo spazio temporale tra la richiesta di convalida del Pubblico Ministero e la decisione del giudice era stato talmente breve da non consentire un’adeguata preparazione difensiva.
3. Illogicità della motivazione: Si criticava l’attribuzione dei fatti al ricorrente, considerata generica e basata unicamente sul suo riconoscimento in un video, senza una descrizione dettagliata delle sue condotte specifiche.

La gestione del DASPO aggravato e il ruolo del giudice

La Corte di Cassazione ha esaminato con priorità il motivo relativo alla violazione del diritto di difesa, ritenendolo infondato. I giudici hanno chiarito un punto procedurale cruciale: il termine di 48 ore a disposizione della difesa per presentare memorie decorre dalla notifica del provvedimento del Questore e non dalla successiva richiesta di convalida del PM. Questo perché il destinatario della misura è già a conoscenza del provvedimento e della documentazione a suo carico fin dal primo momento, potendo quindi esercitare il proprio diritto di difesa sin da subito.

La tesi di un ulteriore termine dilatorio di 24 ore dopo il deposito degli atti da parte del PM è stata definita come una risalente interpretazione normativa ormai superata.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Ha stabilito che il giudice della convalida ha svolto correttamente il proprio ruolo, verificando la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura. La ricostruzione dei fatti, basata sui rapporti della polizia giudiziaria e sulle prove video, non è sindacabile in sede di legittimità, a meno di un travisamento della prova, qui non ravvisato. L’identificazione del soggetto e la sua partecipazione attiva ai disordini sono state considerate adeguatamente attestate.

Le Motivazioni

La Corte ha ribadito che, in caso di DASPO aggravato (cioè emesso nei confronti di chi ha già ricevuto un DASPO), la legge impone l’obbligo di presentazione e una durata non inferiore a cinque anni. Tuttavia, questo automatismo non svuota di contenuto il controllo del giudice. Quest’ultimo deve sempre verificare la riconducibilità dei fatti alle ipotesi di legge, l’attribuibilità delle condotte al soggetto e la sua pericolosità concreta e attuale. Inoltre, spetta al giudice valutare la congruità della durata della misura, che può essere anche ridotta se ritenuta eccessiva. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il giudice di merito avesse correttamente motivato la sua decisione, basandola sulla gravità eccezionale dei fatti (lesioni a persone e danni a cose), sulla partecipazione attiva e non occasionale del ricorrente e sulla sua precedente sottoposizione a misure analoghe, elementi che insieme delineavano un quadro di elevata e persistente pericolosità sociale.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza rafforza il principio secondo cui la procedura di convalida del DASPO, pur caratterizzata da celerità, deve sempre garantire un controllo giurisdizionale effettivo. Se da un lato viene confermata la legittimità di un certo automatismo sanzionatorio per i recidivi, dall’altro si sottolinea l’imprescindibile ruolo del giudice nel valutare in concreto tutti i presupposti di legge, inclusa la proporzionalità della durata della misura. La decisione delinea un equilibrio tra le esigenze di ordine pubblico e la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, chiarendo i tempi e le modalità di esercizio del diritto di difesa.

Da quando decorre il termine di 48 ore per la difesa in un procedimento di convalida del DASPO?
Il termine di 48 ore a disposizione della difesa per presentare memorie e deduzioni al giudice decorre dalla notifica del provvedimento del Questore all’interessato, e non dalla successiva richiesta di convalida presentata dal Pubblico Ministero.

Il giudice della convalida deve motivare specificamente sulla durata di un DASPO aggravato?
Sì. Anche se la legge prevede un minimo di cinque anni per un DASPO aggravato, il giudice della convalida deve valutare la congruità della durata specifica applicata dal Questore. La sua motivazione deve basarsi sulla gravità dei fatti, sulla pericolosità del soggetto e su tutti i presupposti di legittimità della misura, potendo anche ridurne la durata se ritenuta eccessiva.

L’obbligo di firma per chi ha già ricevuto un DASPO in passato è automatico?
Sì, la normativa (art. 6, comma 5, L. 401/1989) impone in modo perentorio l’adozione della prescrizione dell’obbligo di presentazione (firma) nei confronti di chi sia già stato destinatario di un DASPO. Tuttavia, l’intera misura, inclusa questa prescrizione, è soggetta al controllo di legalità e alla convalida del giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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