Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 33655 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 33655 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
COGNOME NOME NOME in Svizzera il DATA_NASCITA
avverso la sentenza resa il 13/11/2024 dalla Corte di appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che è stata avanzata richiesta di trattazione orale dell’udienza; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; sentite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; sentite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO che ha insistito per l’accoglimento
del ricorso, replicando alle considerazioni del pubblico ministero.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugNOME la Corte di appello di Lecce, parzialmente riformando la sentenza resa dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Lecce, con cui, all’esito di giudizio abbreviato, COGNOME NOME era stata dich responsabile del delitto continuato di appropriazione indebita aggravata a lei ascritto, ha ridotto la pena inflitta ad anni due di reclusione ed euro 1.200,00 di multa, concedendo i benefici della sospensione condizionale e della non menzione, e i ,,r —- Ì 9 confermando le statuizioni civili in favore della parte civile costituita.
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Si addebita all’imputata di essersi appropriata, nella veste di cassiera del supermercato “RAGIONE_SOCIALE” sito in Maglie, della complessiva somma di 86.000 euro circa, di cui aveva il possesso in quanto addetta al servizio di cassa della società RAGIONE_SOCIALE, con l’aggravante di avere commesso il fatto con abuso di relazioni di ufficio e di avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante entità; fatto commesso in continuazione da aprile 2019 a novembre 2020.
Avverso detta pronunzia ha proposto ricorso l’imputata, deducendo, tre motivi:
2.1. violazione dell’art. 533 cod. proc. pen. con riferimento al principio dell’oltr ogni ragionevole dubbio e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità e alla sussistenza dell’aggravante del danno patrimoniale di speciale entità.
Lamenta la ricorrente che la scelta di essere giudicata con le forme del giudizio abbreviato non implica che il giudice possa accontentarsi di una probatio semiplena, mentre nel caso in esame l’unico elemento che avrebbe potuto fornire reale riscontro alle accuse della persona offesa nei confronti dell’imputata è costituito dalla con aziendale, da cui sarebbero potuti emergere gli asseriti ammanchi. Questo dato probatorio, che incide non soltanto sull’affermazione di responsabilità, ma anche sul trattamento sanzionatorio, non è stato dimostrato.
A fronte delle censure difensive, la Corte di appello ha affermato che la scelta dell’imputata di essere giudicata nelle forme del rito abbreviato ha reso probatoriamente utilizzabile la documentazione riversata in atti dalla persona offesa, anche in assenza di un accertamento tecnico sul punto.
Si tratterebbe di un evidente errore di valutazione della Corte, poiché la difesa non aveva messo in discussione l’utilizzabilità degli atti acquisiti dalla Procura, ma la loro valenza dimostrativa, in assenza di acquisizioni documentali formali e di una consulenza contabile. Nessun documento contabile è stato, infatti, acquisito, anche solo per confermare il contenuto delle accuse formulate.
2.2. Errata applicazione dell’aggravante del danno patrimoniale di particolare gravità, in quanto la sentenza di primo grado, interamente recepita dalla sentenza di secondo grado, ha richiamato un orientamento secondo cui, in caso di reato continuato, vale il principio dell’unitarietà della condotta e la valutazione dell’aggravante relativa danno deve essere operata con riferimento al pregiudizio complessivo causato all’unica persona offesa dalla molteplicità delle violazioni unificate. Questo orientamento tuttavia non è unanime, poiché altre pronunzie della Suprema Corte hanno affermato che, ai fini dell’integrazione dell’aggravante del danno di particolare gravità, occorre considerare non il danno complessivamente causato dalle plurime violazioni, ma il danno patrimoniale cagionato da ogni singola condotta di reato, anche qualora la persona
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offesa sia unica, con la conseguenza che una pluralità di sottrazioni dal contenuto esiguo non integra l’aggravante del danno patrimoniale di ingente gravità.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente censura la motivazione carente illogica e contradditoria della sentenza impugNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
ricorso è fondato nei limiti che verranno esposti.
1.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha spiegato che il direttore della società per il tramite del propri consulente aveva accertato che dal 2019 -2020 erano emersi ammanchi piuttosto consistenti e dall’esame dei rapporti effettuati risultava che, nella cassa utilizzata esclusivamente dall’imputata, vi erano stati reiterati annullamenti di scontrini. Dalla visione dei filmati di videosorveglianza emergeva che la COGNOME, durante il turno di lavoro, dopo avere battuto i prodotti acquistati ed effettuato il relativo scontrino fiscal puntualmente lo annullava subito dopo l’uscita dei clienti dall’esercizio commerciale e accantonava le somme relative allo scontrino annullato, per poi appropriarsene.
La Corte ha reso congrua e adeguata motivazione in ordine alla colpevolezza dell’imputata, osservando che, dall’attività di indagine, era emerso che era l’unica cassiera ad avere la disponibilità della scheda che consentiva gli annullamenti degli scontrini fiscali; la circostanza che detta scheda fosse poggiata in bella vista sulla cassa è stata riferita dalla stessa imputata, che aveva però tutto l’interesse a giustificar tramite assunti non veritieri; era stato altresì accertato che l’altra dipendente de supermercato in possesso di questa scheda non era addetta alla cassa e veniva chiamata soltanto in casi particolari.
A ciò si aggiunga che, dalla sentenza di primo grado, emerge che l’imputata in una specifica occasione era stata fermata mentre stava uscendo dal supermercato, al termine del suo turno di lavoro e, all’esito della perquisizione della sua borsa, era stata rinvenuta la somma di 151 euro, corrispondente all’ammanco rilevato in pari data dalla persona offesa e riscontrato dal sistema informatico gestionale relativo alla cassa gestita dalla donna. Questo singolo episodio conferma la prospettazione accusatoria e il sistema adottato dall’imputata per operare le appropriazioni indebite a lei contestate.
Alla stregua di queste emergenze la Corte territoriale ha correttamente affermato che, non residuando dubbi in ordine alla responsabilità dell’imputata, non risultavano necessari gli ulteriori accertamenti invocati dalla difesa, considerato peraltro che la documentazione prodotta dalla persona offesa e allegata alla querela, in ragione della scelta del rito, è pienamente utilizzabile e ampiamente dimostrativa della condotta addebitata alla COGNOME.
Si tratta di considerazioni corrette in punto di diritto ove si consideri che in caso di processo di appello celebrato con la forma del giudizio abbreviato, l’istanza di
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale deve essere considerata come una sollecitazione al giudice per l’esercizio del potere di ufficio di assumere gli elementi d prova assolutamente necessari per l’accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione (Sez. 1, n. 44325 del 19/06/2013, La Rosa, Rv. 257799 – 01).
1.2. La censura formulata dalla difesa in ordine alla sussistenza dell’aggravante del danno di rilevante entità è fondata poiché la Corte ha fatto riferimento al valore complessivo del danno cagionato dalle plurime sottrazioni verificatesi in un arco apprezzabile di tempo, ma GLYPH il Collegio ritiene preferibile aderire all’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, GLYPH secondo cui, in caso di reato continuato, anche se il danno complessivo delle plurime condotte frutto del medesimo disegno criminoso è stato cagionato nei confronti della medesima persona offesa, si debba fare riferimento al pregiudizio provocato dalla singola azione illecita.
Anche recentemente è stato affermato che ai fini dell’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 7), cod. pen. al reato continuato, la rilevante gravità deve essere valutata non con riguardo al danno patrimoniale complessivamente causato dalle plurime violazioni, ma a quello cagionato da ciascuna di esse, in quanto, al di là della unificazione “quoad poenam” prevista dall’art. 81 cod. pen., i diversi reati conservano la loro autonomia in relazione a qualsiasi altro istituto giuridico (Sez. 5, n. 20519 del 28/02/2024, Picardi, Rv. 286461 – 01; Sez. 2, n. 51735 del 31/10/2023, Bani, Rv. 285678 – 02).
Questo orientamento sembra preferibile sia in ragione del tenore letterale della disposizione di cui all’art. art. 61 n.7 cod.pen. che fa riferimento al singolo reato, sia relazione alla ratio dell’istituto della continuazione, previsto nell’ottica di agevolare l’imputato ed evitare il rigore del cumulo materiale delle pene e non di rendere più grave il trattamento sanzionatorio, consentendo una valutazione complessiva del danno cagionato dalle plurime violazioni unificate.
Dalla documentazione riversata in atti e confermata dalle persone offese e ritenuta pienamente utilizzabile, in ragione della scelta del rito abbreviato, emerge l’entità contenuta dei numerosi ammanchi attribuiti all’imputata che hanno cagionato un ingente danno alla società.
Per le ragioni sin qui esaminate, il ricorso può trovare accoglimento limitatamente al riconoscimento dell’aggravante del danno, che deve essere esclusa.
1.3. La terza censura formulata con il ricorso è inammissibile poiché del tutto aspecifica, in quanto non espone le ragioni a sostegno del vizio, dedotto solo nell’intestazione del ricorso.
Per effetto dell’esclusione della ritenuta aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, va eliminato dal trattamento sanzionatorio l’aumento di pena ex art. 61 n. 7 cod. pen.; per l’effetto, la pena complessiva, dopo la riduzione per il rito, deve essere ridotta ad anni uno, mesi nove, giorni dieci di reclusione ed euro 866,00 di multai. n
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Annulla senza rinvio la sentenza impugNOME limitatamente all’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen. e, per l’effetto, ridetermina la pena finale in anni uno, mesi nove, giorni dieci di reclusione ed euro 866,00 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Roma 25 settembre 2025
Il AVV_NOTAIO estensore
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NOME,I Brsellino
Il Presidente
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