Sentenza di Cassazione Penale Sez. U Num. 27255 Anno 2025
Penale Sent. Sez. U Num. 27255 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 30/08/1978 per la correzione dell’errore di fatto contenuto nella sentenza n. 30016/24 del 28/03/2024 delle Sezioni Unite penali visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal componente NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale aggiunto NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso; udito, per la parte civile ARAGIONE_SOCIALE, l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che deposita conclusioni e nota spese; uditi, per il richiedente, gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 30016 del 28 marzo 2024, le Sezioni Unite della Corte di cassazione si sono pronunciate sui ricorsi proposti, per quel che qui rileva, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME avverso la sentenza emessa in data 21 novembre 2021 della Corte di appello di Napoli: in particolare, con riguardo alla posizione di COGNOME, hanno annullato senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al reato di usura di cui al capo P), perché, esclusa la contestata circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen., lo stesso è stato dichiarato estinto per prescrizione, e hanno, nel resto, rigettato il ricorso – riferito fra l’altro, ai reati di estorsione aggravata e turbata libertà degli incanti commessi in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME (capo Q) rideterminando la pena in sette anni, sei mesi di reclusione e cinquemila euro di multa; con riguardo alla posizione di COGNOME, concorrente con COGNOME e altri nei reati ascritti al capo Q), nonché imputato di estorsione aggravata in concorso al capo B), hanno rigettato il ricorso.
Le Sezioni Unite hanno dato atto di come la Corte territoriale, sulla base di evidenze documentali e captative, correttamente apprezzate, avesse ricostruito la vicenda di cui al capo Q) nei termini qui di seguito indicati:
nell’ambito di una procedura esecutiva avente ad oggetto l’immobile di proprietà della fallita “RAGIONE_SOCIALE” di NOME COGNOME, l’avv. Sito depositava un’istanza di partecipazione per l’asta del 27 gennaio 2009, con allegata procura speciale sottoscritta da NOME COGNOME quale amministratore unico e legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE“, e da NOME COGNOME quale amministratore unico e legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE;
il 27 gennaio 2009 veniva depositata anche un’altra istanza di partecipazione all’asta, per persona da nominare, da parte dell’avv. COGNOME che aveva delegato a parteciparvi l’avv. COGNOME
quest’ultimo e l’avv. Sito partecipavano all’asta e l’immobile oggetto della procedura veniva aggiudicato provvisoriamente all’avv. Sito per il valore di euro 500.000,00;
il 6 febbraio 2009 NOME COGNOME, figlia di NOME, presentava un’offerta in aumento ex art. 584 cod. proc. civ. pari ad euro 654.080,00, sicché il 10 febbraio 2009 il giudice delegato, preso atto dell’offerta di acquisto in aumento di un sesto, presentata entro il termine di dieci giorni dall’aggiudicazione e dotata di adeguata cauzione, fissava l’udienza del 19 maggio 2009 per l’aggiudicazione dell’immobile;
il 23 febbraio 2009 l’avv. COGNOME nell’interesse di Casertano e COGNOME, chiedeva al giudice delegato la restituzione degli assegni depositati all’udienza del 27 gennaio 2009, formulando espressamente la riserva di partecipare al successivo incanto, con la precisazione che quella istanza di restituzione dei titoli non poteva essere interpretata nemmeno per facta concludentia come rinuncia a partecipare all’asta successiva;
all’udienza del 19 maggio 2009 si presentava solo NOME COGNOME e, trascorsi tre minuti senza che nessun’altra offerta venisse presentata, il giudice aggiudicava l’immobile in via definitiva al prezzo di euro 654.000,080 alla predetta offerente, che un anno dopo l’avrebbe rivenduto ad una società immobiliare intestata alle figlie di NOME COGNOME.
Al riguardo la Corte di appello di Napoli ha affermato, sulla base di argomentazioni ritenute dalle Sezioni Unite immuni da vizi logico-giuridici, che l’assenza di altri soggetti interessati all’aggiudicazione dei beni messi all’incanto nell’asta fallimentare non era stata affatto determinata da una decisione spontanea di ritirarsi dalla gara in seguito all’offerta in aumento da parte dell’altr interessata, quanto, invece, dalle forti pressioni esercitate nei riguardi di Casertano e COGNOME, cioè degli aggiudicatari provvisori, entrambi trattenuti fisicamente nell’ufficio del loro legale, nel giorno (il 19 maggio 2009) e nelle ore in cui si svolgeva il pubblico incanto, da NOME COGNOME, affiliato, come il COGNOME, al clan “Fabbrocino”, spalleggiato da altri “amici”.
La volontà di COGNOME e COGNOME era stata, dunque, coartata, anche fisicamente, con conseguente frustrazione delle aspettative e perdite di chance: da qui la ritenuta sussistenza, non solo del reato di turbativa d’asta, ma anche del delitto di estorsione.
NOME COGNOME tramite i difensori e procuratori speciali avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso straordinario avverso la suddetta sentenza, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, le conclusioni delle Sezioni Unite sulla configurabilità di un danno patrimoniale, rilevante per l’integrazione del delitto di cui all’art. 629 cod. pen., sarebbero inficiate dall’errore percettivo scaturito da una imprecisa lettura degli atti della procedura di esecuzione immobiliare fallimentare e afferente alla data dell’ordinanza con la quale il Giudice delegato mise in vendita gli immobili oggetto dell’incanto.
In particolare, l’errore di fatto denunciato riguarderebbe l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata (par. 15) sulla ritenuta «illecita negazione della possibilità riconosciuta alle persone offese di ottenere il consolidamento in via definitiva del provvedimento di aggiudicazione provvisoria» (pag. 70) e alla
ricorrenza, in favore degli aggiudicatari provvisori violentemente estromessi dalla partecipazione a una gara in corso di svolgimento, di «una situazione soggettiva giuridicamente tutelata dall’ordinamento, i cui effetti si propagano fino all’apertura della gara, con la possibilità di un loro consolidamento nel provvedimento di aggiudicazione definitiva ex art. 584, ultimo comma, cod. proc. civ.» (pag. 68); errore determinato dal fatto che, nel caso di specie, la vendita dell’immobile di proprietà della fallita RAGIONE_SOCIALE – oggetto dell’incanto – era stata dispost con ordinanza del giudice delegato in data 16-17 giugno 2005, sicché, a giudizio del ricorrente, non avrebbe potuto trovare applicazione, ratione temporis, l’art. 584, ultimo comma, cod. proc. civ. (così come modificato dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla I. 14 maggio 2005, n. 80, come modificato dall’art. 8, comma 1, d.l. 30 giugno 2005, convertito, con modificazioni, dalla I. 17 agosto 2005, n. 168). Ed invero, si ricorda in ricorso, secondo quanto disposto dall’art. 2, comma 3-sexies del citato decreto-legge, la nuova disciplina è entrata in vigore «il 10 marzo 2006 e si applica (…) anche alle procedure esecutive pendenti a tale data di entrata in vigore. Quando tuttavia è già stata ordinata la vendita, la stessa ha luogo con l’osservanza delle norme precedentemente in vigore».
Si espone che, nel silenzio del dettato normativo dell’art. 584 cod. proc. civ. pre-riforma, in dottrina e in giurisprudenza si era sviluppato un orientamento prevalente secondo cui, una volta intervenuta l’offerta in aumento di un sesto, l’aggiudicazione provvisoria sarebbe decaduta; il che avrebbe implicato, in caso di diserzione della nuova gara fissata per decidere sull’offerta in aumento, l’esclusione della possibilità di attribuzione in favore dell’aggiudicatar provvisorio. Infatti, l’irrevocabilità dell’offerta in aumento costituiva l’argomen principale, espresso da tale orientamento, per teorizzare la caducazione dell’aggiudicazione provvisoria a seguito della proposizione di un’offerta ex art. 584 cod. proc. civ. e per, conseguentemente, sostenere che l’unica aggiudicazione idonea a sopravvivere all’estinzione del processo ai sensi dell’art. 632 cod. proc. civ. fosse quella definitiva.
Quanto affermato troverebbe conferma anche nell’ordinanza di rimessione, laddove, alla pag. 23, si segnala come «nel caso in esame, essendovi stata con l’apertura della gara la caducazione dell’aggiudicazione provvisoria di Casertano e NOMECOGNOME pare potersi affermare che non è evidente che le persone offese rivestissero una posizione di consistente probabilità di successo a fronte della partecipazione alla nuova gara dei precedenti soggetti coinvolti e di NOME COGNOME».
Avuto riguardo alla data dell’ordinanza di messa in vendita del bene controverso, avrebbe, dunque, dovuto applicarsi, al caso di specie, la versione
previgente dell’art. 584 cod. proc. civ., con la conseguenza che sarebbe venuto a mancare il presupposto del giudizio, espresso nella sentenza impugnata, inerente alla configurazione della possibilità di conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile da parte delle persone offese, tantomeno la ricorrenza di una situazione giuridicamente tutelata dall’ordinamento degli aggiudicatari provvisori (cioè il consolidamento in via definitiva dell’aggiudicazione provvisoria), posto che, dopo la revoca dell’aggiudicazione, i soggetti interessati sarebbero diventati titolari di un mero diritto di partecipazione alla gara, la cui compressione, pure nelle forme della violenza e minaccia, avrebbe determinato unicamente l’integrazione del delitto di cui all’art. 353 cod. pen.
In conclusione, ad avviso del ricorrente, sarebbe ravvisabile, nel caso di specie, un errore di fatto emendabile con il rimedio del ricorso straordinario, siccome assistito dai predicati della oggettività, della immediata rilevabilità e decisività, che hanno influenzato il processo formativo della volontà giudicante, tali da portare a una decisione diversa da quella altrimenti adottata.
Con decreto del 23 gennaio 2025 la Prima Presidente ha fissato l’udienza del 20 marzo 2025 dinanzi alle Sezioni Unite in diversa composizione, per la trattazione del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché presentato per motivo diverso da quelli consentiti ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen.
Deve, al riguardo, rilevarsi che «l’errore di fatto verificatosi nel giudizio d legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso» (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280 – 01): in tale prospettiva si è sottolineato nella stessa pronuncia che qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, e che sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata.
Il principio è stato successivamente più volte ribadito, essendosi, in particolare, rilevato che «qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686 – 01; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527 – 01; nello stesso senso, ex plurimis, Sez. 6, n. 28424 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283667 – 01; Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268981 – 01; Sez. 6, n. 46065 del 17/09/2014, COGNOME, Rv. 260819 – 01, riferite al tema della valutazione giuridica di circostanze di fatto correttamente percepite o comunque a quello della deduzione di errore valutativo che si innesti su un sostrato fattuale correttamente percepito).
Proprio alla luce di tali principi deve essere valutato il profilo dedotto questa sede.
3.1. È opportuno ricordare, in premessa, che dalla sentenza n. 30016 del 2024 delle Sezioni Unite oggi impugnata, sono stati ricavati i due seguenti principi di diritto:
«in tema di estorsione, nella nozione di danno patrimoniale rilevante ai fini della configurabilità del delitto rientra anche la perdita di una seria e consistente possibilità di conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile, la cui sussistenza deve essere provata sulla base della nozione di causalità propria del diritto penale»;
«in tema di concorso formale di reati, la condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani l’offerente da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazion private, oltre ad integrare il reato di cui all’art. 353 cod. pen., può integrare altr quello di cui all’art. 629 cod. pen., ove abbia causato un danno patrimoniale derivante dalla perdita di una seria e consistente possibilità di ottenere un risultato utile per effetto della partecipazione alla gara».
Il secondo principio costituisce la fedele espressione, naturalmente sintetizzata, dei due passaggi motivazionali di pag. 70 che, per la loro centrale rilevanza ai fini della decisione, si ritiene di riportare integralmente:
« GLYPH la violenta estromissione degli aggiudicatari GLYPH provvisori dalla partecipazione ad una gara in corso di svolgimento, cui erano pienamente legittimati e direttamente interessati non avendovi affatto rinunciato, ha determinato un danno patrimoniale causando la perdita di una seria e consistente possibilità di ottenere un risultato utile qualora la procedura esecutiva si fosse regolarmente conclusa con la presenza delle persone offese, consentendo loro di
prendervi parte e di esercitare il diritto a rilanciare sull’offerta in aumento g presentata dall’altra concorrente.
Il coattivo allontanamento dalla partecipazione alla gara ha determinato non solo una palese violazione della regolarità delle forme e delle modalità di espletamento della procedura di aggiudicazione, ma ha consentito ai ricorrenti di beneficiare al contempo dell’ingiusto profitto legato all’aggiudicazione definitiva dei beni in favore dell’unica offerente in aumento, direttamente avvantaggiata dall’esito della gara per effetto della illecita negazione della possibilità riconosciut alle persone offese di ottenere il consolidamento in via definitiva del provvedimento di aggiudicazione provvisoria».
3.2. Il ricorrente, estrapolando dal trascritto brano della sentenza impugnata solo l’ultima parte, ne ha arbitrariamente dedotto che i giudici di legittimità: a abbiano individuato, nella specie, il danno da perdita di chance per le persone offese nel mancato consolidamento in via definitiva dell’aggiudicazione provvisoria; b) siano pervenuti a tale conclusione per aver erroneamente applicato alla vicenda in esame l’art. 584, ultimo comma, cod. proc. civ., nella sua versione attuale, anziché la versione previgente dello stesso articolo, come disposto dalla norma transitoria di cui all’art. 2, comma 3-sexies, d.l. 14 marzo 2005 n. 35, convertito, con modificazioni, dalla I. 14 maggio 2005, n. 80, come modificato dall’art. 8, comma 1, d.l. 30 giugno 2005, convertito, con modificazioni, dalla I. 17 agosto 2005, n. 168 ; c) che la conclusione in diritto sia stata inficiata dall’error di fatto consistito nel non aver considerato, nel caso concreto, la data dell’ordinanza di messa in vendita del bene controverso (16-17 giugno 2005).
3.3. Orbene, tenuto conto, per quanto si dirà più avanti, che quest’ultima circostanza (data dell’ordinanza di messa in vendita del bene) non ha assunto alcuna influenza sulla decisione impugnata in quanto irrilevante, la prospettazione difensiva si esaurisce nel denunciare un supposto errore di diritto, che, come noto, non rientra nel novero degli errori deducibili con il ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. e che, peraltro, nella specie, neppure sussiste.
Occorre sottolineare, in primo luogo, che le conseguenze che la difesa del ricorrente riconduce alla lamentata mancata applicazione della normativa previgente postulerebbero una situazione di fatto, quella della diserzione dalla gara, che, nella vicenda di specie, non si è affatto verificata.
Si legge, infatti, nel ricorso che «una volta intervenuta l’offerta in aumento di un sesto, l’aggiudicazione provvisoria sarebbe decaduta; il che avrebbe implicato, in caso di diserzione della nuova gara fissata per decidere sull’offerta in aumento, l’esclusione della possibilità di attribuzione in favore dell’aggiudicatari provvisorio. Infatti, l’irrevocabilità dell’offerta in aumento costituiva l’argomen
principale, espresso da tale orientamento, per teorizzare la caducazione dell’aggiudicazione provvisoria a seguito della proposizione di un’offerta ex art. 584 cod. proc. civ. e per, conseguentemente, sostenere che l’unica aggiudicazione idonea a sopravvivere all’estinzione del processo ai sensi dell’art. 632 cod. proc. civ. fosse quella definitiva».
Nella stessa prospettazione difensiva, cioè, si annida una obiettiva incoerenza tra la norma che si sostiene essere corretto applicare al caso concreto (il vecchio testo dell’art. 584 cod. proc. civ.) e la situazione di fatto accertata nel giudizio merito, che è ben diversa dalla diserzione della gara (richiesta dalla norma da applicare).
Che, nella vicenda al vaglio, non vi sia stata, pacificamente, alcuna diserzione dalla gara emerge, in primo luogo, dal fatto che l’offerente in aumento NOME COGNOME si presentò regolarmente davanti al giudice delegato all’udienza del 19 maggio 2009, tanto che si vide aggiudicare il bene; in secondo luogo, dal fatto che la mancata presenza alla gara degli aggiudicatari provvisori Casertano e COGNOME dipese dalla violenza esercitata da terzi su costoro e non dalla loro libera autodeterminazione.
Va osservato, a tal proposito, che se, nel caso in esame, gli aggiudicatari provvisori, liberamente, si fossero determinati nel senso di non partecipare alla gara per l’aumento di sesto prevista dall’art. 584 cod. proc. civ., vecchio testo, nessuna aspettativa avrebbero potuto nutrire sull’aggiudicazione definitiva del bene (e, quindi, nessun danno patrimoniale da perdita di chance avrebbero potuto lamentare), perché, secondo la previgente disciplina, l’aggiudicazione definitiva del bene controverso, in caso di diserzione dalla gara, sarebbe stata appannaggio dell’offerente in aumento.
La situazione di fatto acclarata nel processo di merito risulta, tuttavia, completamente diversa, perché, come detto, gli aggiudicatari provvisori COGNOME e COGNOME non parteciparono alla gara in quanto impediti da atti di violenza.
4.1. Né può nutrirsi alcun dubbio sul fatto che, quali aggiudicatari provvisori, sarebbero stati legittimati a partecipare alla gara, come la giurisprudenza di legittimità sviluppatasi nella vigenza della vecchia disciplina ha costantemente ribadito.
Infatti, si è sostenuto che in tema di esecuzione forzata per espropriazione immobiliare «la formulazione di offerte con aumento di sesto successivamente all’incanto rappresenta non già il proseguimento di questo, ma una nuova fase del procedimento di vendita, con necessaria effettuazione di nuova verifica della legittimazione a partecipare alla gara, della quale non può ritenersi privato l’aggiudicatario provvisorio che, dopo aver provveduto a corrispondere tempestivamente, ossia nel termine, indicato dall’art. 88 del d.P.R. n. 602 del
1973, di tre giorni dalla vendita, il prezzo di aggiudicazione, abbia successivamente ritirato le somme versate (cauzione, spese e prezzo di aggiudicazione)» (così, Sez. 1 civ., n. 8181 del 28/07/1999, Rv. 529052 – 01, espressione di un orientamento consolidato).
Dunque, anche sotto la vecchia disciplina, l’aggiudicatario provvisorio avrebbe potuto nutrire l’aspettativa, giuridicamente tutelata, di ottenere (in caso di rilanci superiore all’offerta in aumento) il consolidamento degli effetti relativi a provvedimento di aggiudicazione provvisoria, posto che, solo in assenza di rilanci, «i beni posti in vendita sono definitivamente assegnati a chi abbia fatto offerta di acquisto mediante aumento di sesto». La giurisprudenza della Cassazione civile ha chiarito come la provvisorietà dell’aggiudicazione consente che anche dopo l’aggiudicazione stessa siano fatte offerte di acquisto, sottolineando che «consentire ciò, comporta mettere in gara l’aggiudicatario provvisorio, che ha interesse a consolidare quello che è stato un trasferimento provvisorio del bene in suo favore, con l’offerente, che ha l’interesse contrario a conseguire lui il trasferimento». Una volta aperta la gara, ove non vi siano rilanci, i beni posti in vendita sono definitivamente assegnati a chi abbia fatto offerta di acquisto mediante aumento di sesto (così, Sez. 3 civ., n. 10693 del 07/07/2003, Rv. 564872 – 01).
In breve: il punto nodale della vicenda è che la gara andava espletata, e avrebbe dovuto essere espletata, ai sensi dell’art. 548 cod. proc. civ., sia in base alla vecchia disciplina sia in base alla nuova.
Ritiene, pertanto, il Collegio che non sia conferente la deduzione circa la supposta erronea mancata applicazione della norma transitoria più volte citata, perché, anche in base ad essa, come prima chiarito, gli aggiudicatari provvisori erano titolari di un’aspettativa, giuridicamente tutelata, di ottenere (in caso di rilancio superiore all’offerta in aumento) il consolidamento degli effetti relativi provvedimento di aggiudicazione provvisoria.
6.1. Ed invero, proprio sull’aspetto della piena legittimazione a partecipare alla gara in capo agli aggiudicatari provvisori, come posizione giuridica tutelata dall’ordinamento, è imperniato il fulcro del ragionamento della sentenza impugnata – nei passaggi prima trascritti – a proposito dell’utilità non conseguita dai predetti in conseguenza della violenta estromissione dalla gara, non sulla diversa posizione di aspiranti al consolidamento, “in automatico”, dell’aggiudicazione provvisoria, come erroneamente dedotto dalla difesa del ricorrente, posizione che la giurisprudenza di legittimità civile configura, nella situazione oggi disciplinata dal testo “novellato” dell’art. 548 cod. proc. civ., al
stregua di un pieno diritto (alla ovvia condizione che nessuno degli offerenti in aumento partecipi alla gara: Sez. U civ., n. 25507 del 30/11/2006, Rv. 593344 –
01; Sez. 3 civ., n. 5604 del 07/03/2017, Rv. 643388 – 02; Sez. 3 civ., n. 790 del
15/01/2013, Rv. 624705 – 01).
7. Nessun errore di fatto può essere addebitato alla decisione impugnata con il ricorso straordinario. Peraltro, in considerazione dell’accertata frustrazione della
delineata legittimazione a partecipare alla gara (danno patrimoniale da perdita di conseguente alla violenza perpetrata dagli imputati sulle persone offese,
chance), non può essere contestata la correttezza, in diritto (profilo che si esamina solo per
completezza, pur esulando dall’alveo del ricorso straordinario), dell’approdo cui sono pervenute le Sezioni Unite, con la sentenza avversata, nel ravvisare nella
condotta degli imputati non solo il reato di cui all’art. 353 cod. pen., come sostenuto dalla difesa del ricorrente, ma anche il reato di estorsione.
8. Per le esposte considerazioni, il ricorso va, in conclusione, dichiarato inammissibile, dal che consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa dell’inammissibilità, a quello della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Il ricorrente va, inoltre, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE che liquida come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 20/03/2025.