Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2900 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2900 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/05/2022 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
udito il difensore
AVV_NOTAIO NOME si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Bari, riformava, limitatamente alla determinazione dell’entità del trattamento sanzionatorio in favore dell’imputato, la sentenza con cui il tribunale di Bari, in data 30.10.2019, aveva condannato COGNOME NOME (classe 1973) alle pene, principali e accessorie, ritenute di giustizia, in ordine ai fatti di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale e di bancarotta semplice in rubrica ascrittigli, ai capi a) e b) dell’imputazione, in relazione al fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, società consortile a responsabilità limitata, dichiarato dal tribunale di Bari in data 10.11.2014, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiedT4iir l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il predetto imputato, lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla contestata sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo a) dell’imputazione.
Quanto all’elemento oggettivo, premesso che nel caso in esame risulta contestata la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale generica, per avere tenuto la documentazione contabile in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società fallita, osserva il ricorrente che la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari è stata possibile senza particolari difficoltà, posto che, come si evince dal contenuto della relazione dello stesso curatore fallimentare, contrariamente a quanto da quest’ultimo dichiarato nel corso della sua escussione dibattimentale, egli ha ricostruito puntualmente tutta la situazione contabile della società fallita, individuando con precisione le voci di debito, che poi hanno consentito di formulare lo stato passivo nell’ambito della relativa procedura concorsuale, senza fare ricorso a documentazione esterna alla “RAGIONE_SOCIALE” ed, anzi, avvalendosi del contributo chiarificatore dello stesso imputato.
Senza tacere che, con riferimento ai libri di cui si contesta l’omessa tenuta, alcuni, come i registri IVA, non rientrano tra le scritture obbligatorie, mentre, più in generale, l’assenza delle scritture contabili in questione non ha avuto incidenza negativa nel determinare il patrimonio o il volume di affari, atteso che il periodo preso in considerazione (anni 2010-2011) è quello in cui la società fallita, nel pieno di una significativa crisi commerciale e di liquidità, era già di fatto in uno stato di liquidazione, sicché, come rilevato dal consulente tecnico di parte, il libro giornale, il libro degli inventari e i registri IVA non sono stati tenuti per la mancanza di operazioni da annotare.
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo del delitto, che richiede il dolo generico, rileva il ricorrente che esso non può essere dimostrato solo sulla base della ritenuta inidoneità della documentazione contabile a ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari della società fallita, dovendosi escludere che il COGNOME abbia agito, rappresentandosi e volendo arrecare un danno ai creditori, non solo perché egli ha assunto un comportamento collaborativo con gli organi del fallimento, ma, soprattutto, perché i creditori della società fallita e i loro crediti sono stati individuati con estrema precisione nel corso della procedura fallimentare; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla bancarotta fraudolenta per distrazione, avente a oggetto un ammontare di euro 579.101,00, di cui a capo b), al quale i giudici di merito erano pervenuti, partendo dal dato dell’assenza di rimanenze finali alla data del 31.12.2011, sottraendo al costo del venduto, pari a 2.272.211,00, il ricavo delle vendite, corrispondente a euro 1.693.110,00.
Rileva il ricorrente al riguardo che la corte territoriale si è limitata a riportare acriticamente le conclusioni del consulente del pubblico ministero, omettendo di considerare l’infondatezza dell’assunto, secondo cui non risulta provato che la società abbia proceduto a effettuare delle vendite nel periodo in cui era in liquidazione, assunto smentito dalle dichiarazioni rese in dibattimento dal AVV_NOTAIO COGNOME, teste della difesa, senza tacere che nell’anno 2011 la società in questione ha realizzato
ricavi di vendita a prezzi inferiori a quelli di mercato, stante lo stato di liquidazione in cui versava, come normalmente accade nella fase prefallimentare, allo scopo di evitare il fallimento, procurandosi la liquidità necessaria nel tentativo di soddisfare i creditori, attraverso transazioni alle quali effettivamente si era dedicato il COGNOME, sicché la vendita dei beni operata a prezzi inferiori a quelli di mercato, rispondeva a una precisa ragione aziendale e finanziaria (fare fronte agli ingenti debiti gravanti sulla società), che ne esclude la natura distrattiva; 3) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla bancarotta fraudolenta per distrazione, avente a oggetto i beni oggetto della cessione del ramo d’azienda in favore del RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, di cui a capo B), in quanto la decisione della corte territoriale sul punto si fonda su di un presupposto errato, secondo cui per tale cessione non venne corrisposto il prezzo pattuito, laddove, come emerso dall’istruttoria dibattimentale, la società fallita ha incassato il relativo prezzo, corrispostole mediante sei assegni bancari, posti all’incasso e contabilizzati, per un importo di euro 64.998,80, comprensivi di interessi, risultando del tutto apodittica l’affermazione sul punto della corte territoriale, secondo cui non vi sarebbe alcuna specifica indicazione per poter attribuire la registrazione da parte della società nel libro giornale 2012 dei predetti pagamenti alla soddisfazione del credito derivante dalla cessione, senza tacere che un’errata od omessa annotazione nei libri contabili, non esclude che il prezzo per la cessione del ramo d’azienda sia stato effettivamente corrisposto, come dichiarato in dibattimento dal AVV_NOTAIO; 4) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla bancarotta semplice di cui al capo b), consistente nell’avere aggravato il dissesto, omettendo di chiedere il fallimento, pur essendo la società già nel 2011 gravata da debiti per un importo di 1.600.000,00 euro, posto che la corte territoriale non ha fornito alcuna risposta al rilievo dell’appellante sulla impossibilità di configurare una colpa grave a carico del COGNOME, il quale aveva omesso di chiedere il fallimento, in quanto impegnato nel tentativo di salvare la società, come si è accennato, attraverso la conclusione di transazioni con
i debitori; 5) violazione di legge e omessa motivazione sulla sussistenza della ritenuta circostanza aggravante, di cui all’art. 219, co. 1, I.fall.
Il ricorso va accolto, sia pure parzialmente, per le seguenti ragioni.
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4. In via preliminare va rilevato che, ai sensi di quanto previsto dagli artt. 157, 160 e 161, c.p., il termine di prescrizione relativo al reato di bancarotta semplice, di cui al capo b), risulta perento dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado. Si è verificata, pertanto, una causa di estinzione del reato, che compete al Collegio rilevare, non potendosi considerare inammissibile il ricorso presentato dall’imputato sul punto, essendo incentrato su questioni di diritto non manifestamente infondate. Come è noto, infatti, il principio della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, sancito dall’art. 129, co. 2, c.p.p., opera anche con riferimento alle cause estintive del reato, quale è la prescrizione, rilevabili nel giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 3, 01/12/2010, n. 1550, Rv. 249428; Cass., sez. un., 27/02/2002, n. 17179, Rv. 221403; Cass., Sez. 2, n. 6338 del 18/12/2014, Rv. 262761). Logico corollario di tale affermazione sulla piena operatività dell’art. 129, c.p.p., è che anche nel giudizio di legittimità sussiste l’obbligo di dichiarare una più favorevole causa di proscioglimento ex art. 129, co. 2, c.p.p., pur ove risulti l’esistenza della causa estintiva della prescrizione, obbligo che, tuttavia, in considerazione dei caratteri tipici del giudizio innanzi la Corte di Cassazione, sussiste nei limiti del controllo del provvedimento impugnato, in relazione alla natura dei vizi denunciati (cfr. Cass., sez. 1, 18/04/2012, n. 35627, Rv. 253458). Il sindacato di legittimità che, pertanto, si richiede alla corte in questo caso deve essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire a una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte dall’art. 129, co. 2, c.p.p.: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità a esso dell’imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini e ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il 7
principio secondo cui l’operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata. Pertanto, qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’art. 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, deve prevalere l’esigenza della definizione immediata del processo (cfr. Cass., sez. 4, 05/11/2009, n. 43958, F.). In presenza di una causa di estinzione del reato, infatti, la formula di proscioglimento nel merito (art. 129, comma 2, c.p.p.) può essere adottata solo quando dagli atti risulti “evidente” la prova dell’innocenza dell’imputato, sicché la valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene più al concetto di “constatazione” che di “apprezzamento” (cfr. Cass., sez. 2, 11/03/2009, n. 24495, G.), circostanza che, come risulta dalla stessa articolata esposizione del motivo di ricorso, non può ritenersi sussistente nel caso in esame.
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio, per essere il reato di bancarotta semplice di cui al capo B) estinto per sopravvenuto decorso del termine di prescrizione.
Inammissibili appaiono, invece, i motivi ricorso relativi alla ritenuta sussistenza dei reati di bancarotta fraudolenta documentale e di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione.
Al riguardo va, innanzitutto, ribadito l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca vizi di motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Rv. 256723; Cass., Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 270071).
Siffatta interpretazione va mantenuta ferma anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 165 bis, co. 2, d.lgs 28 luglio 1989, n. 271, inserito dall’art. 7, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, secondo il cui disposto, in caso di ricorso per cassazione, copia degli atti “specificamente indicati da chi ha proposto l’impugnazione ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e) del
codice”, è inserita a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato in separato fascicolo da allegare al ricorso, prevedendosi che nel caso in cui tali atti siano mancanti ne sia fatta attestazione.
Come è stato correttamente affermato in un condivisibile arresto della Suprema Corte, “sebbene la materiale allegazione con la formazione di un separato fascicolo sia devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, resta in capo al ricorrente l’onere di indicare nel ricorso gli atti da inserire nel fascicolo, che ne consenta la pronta individuazione da parte della cancelleria, organo amministrativo al quale non può essere delegato il compito di identificazione degli atti attraverso la lettura e l’interpretazione del ricorso” (cfr., Cass., Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432, nonché, nello stesso senso, Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432).
Può, dunque, affermarsi che il principio della cd autosufficienza del ricorso per cassazione in materia penale, impone al ricorrente, anche dopo l’entrata in vigore della menzionata disposizione normativa, di adempiere all’onere di specifica indicazione degli atti che si assumono travisati.
Tale indicazione non può che tradursi, in concreto, proprio per l’impossibilità di demandare alla valutazione discrezionale dell’organo amministrativo la selezione degli atti di cui si assume il travisamento, nella richiesta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato di allegare, al ricorso da trasmettere alla Suprema Corte, la copia degli atti in questione, che la cancelleria provvederà a inserire in apposito fascicolo, ove non fossero stati già trasmessi, o di cui attesterà la mancanza, ove non risultino presenti nella documentazione processuale.
Ovviamente le indicate modalità non impediscono al ricorrente di procedere alla integrale allegazione o trascrizione nel ricorso degli atti di cui lamenta l’inadeguata valutazione da parte del giudice di merito.
COGNOME
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Orbene, nel caso in esame, l’imputato, con riferimento al contenuto della relazione del curatore fallimentare, NOME COGNOME; alle dichiarazioni rese in dibattimento da quest’ultima nel corso della sua escussione testimoniale; alle dichiarazioni rese in dibattimento dal teste della difesa, AVV_NOTAIO COGNOME, non ha adempiuto agli oneri di precisione, completezza e specificità, in cui si sostanzia il principio della cd. “autosufficienza” del ricorso nei sensi in precedenza indicati.
Allo stesso tempo, il ricorrente non tiene nel dovuto conto che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
E invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.
In questa sede di legittimità, infatti, è precluso il percorso argonnentativo seguito dal menzionato ricorrente con riferimento ai singoli fatti di bancarotta fraudolenta documentale e di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione per cui si procede, che si risolve in una mera lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
In altri termini, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito e il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una COGNOME mera censura di COGNOME fatto sul profilo specifico dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale.
Vanno solo aggiunte, per completezza, brevissime considerazioni su alcuni profili squisitamente giuridici, investiti dal ricorso dell’imputato.
Va, innanzitutto, rilevato, con riferimento alla ritenuta bancarotta fraudolenta documentale “generica”, sorretta dal dolo generico, che correttamente la corte territoriale ha ritenuto configurabile l’elemento soggettivo del reato in questione, dalla circostanza che la tenuta della documentazione contabile risultava carente proprio nel periodo in cui erano stati posti in essere la cessione del ramo d’azienda e l’azzeramento contabile delle rimanenze sulle merci, operazioni di cui è stata riconosciuta la natura distrattiva.
Tale percorso argomentativo appare del tutto conforme al principio affermato da questa Sezione e condiviso dal Collegio, secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2 legge fall., il dolo, generico, può essere desunto, con metodo logico-presuntivo, dall’accertata responsabilità dell’imputato per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la condotta di irregolare tenuta dei libri o delle altre scritture contabili, che rappresenta l’evento fenomenico dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato, è di regola funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale (cfr. Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, Rv. 283659).
Del pari risulta conforme all’orientamento dominante nella giurisprudenza di questa Corte, l’avere svalutato, al fine di affermare la configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, la circostanza che il curatore fallimentare sia riuscito a ricostruire lo stato passivo della società, grazie alle istanze di insinuazione al passivo dei soggetti creditori della società fallita, posto che, come è noto, sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale anche quando la
documentazione possa essere ricostruita “aliunde”, poiché la necessità di acquisire i dati documentali presso terzi costituisce riprova che la tenuta dei libri e delle altre scritture contabili era tale da rendere, se non impossibile, quantomeno molto difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 21028 del 21/02/2020, Rv. 279346).
Quanto ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, giova rammentare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, alla luce del quale integrano il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione tutte le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell’impresa, determinano, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo in danno dei creditori, anche attraverso il distacco di beni da detto patrimonio, senza immettervi alcun corrispettivo, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 15679 del 05/11/2013, Rv. 262655; Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, Rv. 280106).
COGNOME pari COGNOME costate COGNOME risulta COGNOME nella COGNOME giurisprudenza COGNOME di COGNOME legittimità l’insegnamento, secondo cui, in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita è desumibile dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della loro destinazione al soddisfacimento delle esigenze della società (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 19896 del 07/03/2014, Rv. 259848; Sez. 5, n. 6548 del 10/12/2018, Rv. 275499; Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Rv. 279204).
Su tali principi si è coerentemente fondata la decisione della corte territoriale, rispetto alla quale, come si è già detto, il ricorrente propone una semplice rivalutazione delle risultanze processuali.
Fondato, invece, deve ritenersi l’ultimo motivo di ricorso.
A fronte di uno specifico motivo di appello con cui l’imputato contestava specificamente la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 219, co. 1, I. fall., ritenuta in relazione ad entrambe le fattispecie in
contestazione, la corte territoriale si è limitata ad affermare che la società fallita era onerata da debiti per un importo di euro 1.600.000,00. Si tratta di una motivazione del tutto insoddisfacente.
Come da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, in tema di reati fallimentari ed ai fini dell’applicazione delle circostanze di cui all’art. 219 della legge fallimentare, la valutazione del danno va effettuata con riferimento non all’entità del passivo o alla differenza tra attivo e passivo, bensì alla diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori dal fatto di bancarotta; ne consegue che il giudizio relativo alla particolare tenuità – o gravità – del fatto non va riferito al singolo rapporto che passa tra fallito e creditore ammesso al concorso, ne’ a singole operazioni commerciali o speculative dell’imprenditore decotto, ma va posto in relazione alla diminuzione, (non percentuale, ma globale), che il comportamento del fallito ha provocato nella massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti (cfr. Sez. 1, n. 12087 del 10/10/2000, Rv. 217403).
Principi ribaditi in un più recente arresto, in cui si è evidenziato che la circostanza aggravante del “danno patrimoniale di rilevante gravità” di cui all’art. 219, comma 1, legge fall. si configura solo se ad un fatto di bancarotta di rilevante gravità, quanto al valore dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale, corrisponda un danno patrimoniale per i creditori che, complessivamente considerato, sia di entità altrettanto grave (Sez. 5, n. 18108 del 12/03/2018, Rv. 272823).
Tali profili non sono stati esplorati dalla corte territoriale, imponendosi, pertanto, sul punto, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Bari, che provvederà a colmare l’evidenziata lacuna motivazionale e alla nuova determinazione del trattamento sanzionatorio, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta, anche relative a diverse fattispecie di cui agli artt. 216 e 217 legge fall., nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la
propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall’art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all’art. 81, c.p. (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 44097 del 05/07/2019, Rv. 277407).
7. Il parziale accoglimento del ricorso dell’imputato implica che quest’ultimo non sia condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 217 I.fall. per essere il reato estinto per prescrizione. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’art. 219, comma primo, 1, I.fall., nonché per il trattamento sanzionatorio, e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della corte di appello di Bari. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Ro a il 22.9.2023.