Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 7764 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 7764 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: dalla parte civile AGENZIA DELLE RAGIONE_SOCIALE dalla parte civile AGENZIA DELLE DOGANE nel procedimento a carico di: COGNOME NOME COGNOME nato a SETTIMO TORINESE il 07/08/1969 nel procedimento a carico di quest’ultimo
COGNOME NOME nato a TORINO il 29/07/1962
COGNOME NOME nato a TORINO il 17/06/1977
NOME nato a VENARIA REALE il 02/01/1979
NOME COGNOME nato a CHIVASSO il 09/07/1974
COGNOME NOME COGNOME nato a TORINO il 29/01/1980
NOME nato a TORINO il 10/09/1957
inoltre:
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 17/06/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; COGNOME –udita la relazione svolta dal Presidente COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME E.
che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso per l’imputato NOME COGNOMEi1 rigetto per il ricorso dell’agenzia delle entrate in riferimento all’imposta dell’iva. Chiede per il ricorso dell’agenzia delle dogane l’annullamento con rinvio alla Corte di Appello di Torino.
E’ presente per AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . del foro di ROMA in difesa di:
AGENZIA DELLE ENTRATE
AGENZIA DELLE DOGANE l’avvocato COGNOME foro ROMA, il quale si riporta alle conclusioni che deposita insieme alla nota spese e chiede l’accoglimento del ricorso.
E’ presente come sostituto processuale con delega depositata in aula dell’avvocato COGNOME del foro di TORINO in difesa di:
NOME
COGNOME e dell’avvocato COGNOME foro TORINO in difesa di COGNOME NOME COGNOME l’avv COGNOME foro TORINO, la quale chiede la conferma della sentenza di secondo grado della Corte di Appello di Torino e il rigetto dei ricorsi dell’avvocatura riguardanti i punti relativi gli imputati: COGNOME e COGNOME
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di TORINO in difesa di: COGNOME NOME il quale chiede il rigetto dei ricorsi dell’avvocatura riguardanti le statuizioni civili, e la conferma della sentenza di secondo grado della Corte di Appello di Torino.
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di ROMA in difesa di:
COGNOME NOME COGNOME
NOME
NOME il quale chiede l’annullamento con rinvio alla Corte di Appello di Torino in accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Torino pronunciando in sede di rinvio, in parziale riforma della sentenza pronunciata in data 20.03.2018 dal Tribunale di Torino nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME decidendo nei limiti del devoluto a seguito della sentenza di annullamento della Corte di Cassazione Sez. 3, n. 541 del 2023, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME NOME e NOME NOME in ordine al reato loro ascritto al capo 1 commesso fino al maggio 2016 perché estinto per prescrizione; ha revocato nei confronti di tali imputati la confisca per equivalente; ha ridotto ad euro 97.581.952,00 l’importo della confisca per equivalente disposta nei confronti di COGNOME NOME ha revocato per NOME NOME COGNOME le statuizioni civili nei confronti di tutte le parti civili; ha revocato per i res imputati le statuizioni civili nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
2.La sentenza di annullamento della Corte di Cassazione Sez. 3 n.541 del 2023 aveva annullato senza rinvio la sentenza della Corte di appello di Torino del 22.10.2022 nei confronti di Messina Carlo, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME in relazione ai capi 2,3,4,5 perché estinti per prescrizione e aveva rideterminato la pena finale per Messina NOME in anni tre di reclusione e per Messina NOME e COGNOME NOME COGNOME NOME in anni uno e mesi quattro di reclusione ciascuno.
Aveva annullato con rinvio per il capo 1 ( 416 cp) la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME, COGNOME e COGNOME; aveva annullato la sentenza impugnata limitatamente alla confisca nei confronti di COGNOME Oscar e alle statuizioni civili nei confronti di Messina NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Oscar . Aveva rigettato nel resto i ricorsi di COGNOME Carlo, COGNOME NOME COGNOME Paolo e COGNOME Oscar.
2.1. La sentenza di annullamento della Sezione 3 dava atto della sussistenza di condanna “doppia conforme”, salvo che per alcuni reati fine dichiarati estinti per intervenuta prescrizione, ma ritenuti sussistenti ai fini delle statuizioni civili, relazione ai reati ( capi da 1 a 5) di associazione per delinquere, contrabbando mediante sottrazione di tabacchi al pagamento delle accise attraverso simulate esportazioni da parte .della RAGIONE_SOCIALE, falso ideologico con riferimento alla dichiarazioni relative alle predette cessioni e ai documenti attestanti l’uscita della
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merce dall’Unione Europea e, quanto al solo NOME, in concorso con altri giudicati separatamente, di corruzione di funzionari doganali bulgari ( capo 6 ).
Affermava la Sez. 3 di questa Corte che dalla lettura delle sentenze di merito emergeva che le contestazioni ruotavano intorno al settore export dell’attività posta in essere in nome e per conto della RAGIONE_SOCIALE (nonché, in una seconda fase, anche le operazioni della RAGIONE_SOCIALE, società di diritto tedesco appositamente costituita) e alla figura apicale di COGNOME NOME, dominus indiscusso delle predette compagini sociali. Attività consistita nella sistematica elusione del pagamento delle accise correlate alla produzione di sigarette, simulando l’esportazione di queste ultime in ambito extra UE, attraverso svariate modalità operative, illustrate nelle varie contestazioni di cui ai singoli capi di accusa (inesistenza delle società estere apparentemente destinatarie della merce; sostituzione dei rimorchi in dogana; percorsi irrazionali e antieconomici rispetto alla formale destinazione del carico, asseritamente scelti per il trasporto onde raggiungere un determinato presidio doganale, ecc.). Attraverso tali condotte, era stato possibile avvalersi del regime di sospensione di imposta vigente per le suddette esportazioni, salvo immettere le produzione apparentemente esportata nel mercato illecito ad un prezzo fortemente concorrenziale, perché appunto non gravato dalla accisa alla produzione.
Nell’impianto accusatorio – convalidato dai giudici di merito all’esito di una dettagliata ricostruzione della normativa vigente in materia, delle modalità di concreto funzionamento dei controlli doganali nonché delle anomalie riscontrate nelle 76 esportazioni ritenute fittizie (cfr. pagg. 26 segg. della sentenza di primo grado)- hanno assunto rilevanza, quali partecipi del reato associativo e concorrenti nei reati-scopo di cui ai capi da 2) a 5) della rubrica, altri imputati intranei alla RAGIONE_SOCIALE, con funzioni per così dire “intermedie” (COGNOME oltre a COGNOME NOMECOGNOME la cui posizione direttiva è stata derubricata dal Tribunale in quella di mero partecipe).
Sempre con riferimento al capo 1), riguardanti il reato associativo la sentenza di annullamento della Corte di Cassazione ha ritenuto che la posizione di COGNOME e di COGNOME dovesse essere assimilata a quella di COGNOME come detto chiamata a rispondere della sola partecipazione al sodalizio e a seguito della ritenuta fondatezza dei motivi di ricorso nei confronti delle predette ricorrenti, ha disposto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Il ricorso del COGNOME è stato ritenuto fondato limitatamente alle censure relative alla disposta confisca, mentre i motivi di ricorso volti a censurare la
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conferma dell’affermazione di penale responsabilità sono stati ritenuti infondati e rigettati.
La Corte di Cassazione Sez. 3 al paragrafo 5.6 ha ritenuto” fondato il motivo concernente la confisca, avendo la Corte d’Appello del tutto omesso di pronunciarsi sulle articolate doglianze del ricorrente, relative sia al carattere transazionale della confisca sia alle modalità di quantificazione del profitto confiscabile. Ha quindi disposto, per tale capo, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Torino”.
Per ciò che riguarda le statuizioni civili, la Sezione 3 al paragr. 8 ha osservato quanto segue.
” La difesa COGNOME ha censurato la sentenza della Corte territoriale per l’assenza di un effettivo confronto con le deduzioni critiche svolte in appello, con riferimento alla condanna al risarcimento del danno correlato al mancato pagamento sia dell’UVA che delle accise.
In particolare, quanto al primo profilo, è stata contestata l’esistenza di un collegamento tra la condotta contestata e il mancato versamento dell’Iva, presidiato da una norma incriminatrice mai contestata (art. 10-ter d.lgs. n. 74 deI2000). Quanto alla seconda questione, le censure hanno riguardato un tema per così dire “generale”, ovvero la concreta possibilità di riconoscere un danno all’Agenzia delle Dogane. Si è osservato che, che qualora i tabacchi come da documentazione acquisita agli atti – abbiano effettivamente lasciato il territorio dell’Unione Europea, dovrebbe ipso iure ritenersi venuto meno il presupposto impositivo; qualora invece si ritenga – secondo l’ipotesi accusatoria convalidata dai giudici di merito – che l’uscita dalla UE sia stata solo fittizia l’evasione dell’accisa non dovrebbe essere considerata commessa in Italia, ma nel Paese di appartenenza dell’ultima dogana prima della fittizia uscita dalla UE (cfr. pag. 23 del ricorso, cui si rimanda con le indicazioni di dettaglio quanto al Paese indicato come rilevante ai fini dell’evasione dell’accisa: Germania Polonia, Slovacchia, Ungheria).
Dal canto suo proprio, la difesa COGNOME ha svolto censure analoghe con riferimento all’IVA, sottolineando non solo l’impossibilità di considerare il mancato versamento di tale imposta tra le voci di danno diretto derivante dalle condotte delittuose, ma anche la mancata trattazione in sede dibattimentale della quantificazione del mancato versamento: operazione, quest’ultima, che necessariamente impone la verifica dell’IVA a credito per le necessarie compensazioni.
Si censura, in definitiva, il fatto che “tanto il Tribunale quanto la Corte d’Appello hanno quantificato il danno IVA in assenza di ogni riscontro circa il credito fiscale RAGIONE_SOCIALE che, in assenza di specifica contestazione penal-tributaria, non è mai stato oggetto di acquisizione nel corso dell’istruttoria”. (cfr.pag. 23 del ricorso COGNOME)”.
Al riguardo, la Sezione 3 ha rilevato GLYPH che la Corte GLYPH territoriale ha integralmente confermato le statuizioni del primo giudice “che ha parametrato la relativa quantificazione al pregiudizio patito dalle due amministrazioni erariali sulla base della rispettiva titolarità delle imposte evase, IVA quanto alla Agenzia delle Entrate e Accise per la Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.II Tribunale ha correttamente individuato nelle imposte evase il tipo di danno direttamente riconducibile alle condotte di contrabbando praticate dagli associati ed oggetto di ristoro, e a pag. 67 della sentenza impugnata, ha incomprensivamente ritenuto generiche e non dirimenti le censure concernenti la indeterminatezza dei criteri di imputazione del danno a ciascun ricorrente, essendosi fatto riferimento alla data di accertata adesione al sodalizio”.
Nella sentenza di annullamento si rileva che la Corte territoriale si è sottratta, con locuzioni generiche e apodittiche(“titolarità delle imposte evase”, danno individuato nelle “imposte evase”), alle censure sviluppate dai ricorrenti, sia con riferimento alla stessa possibilità di considerare l’evasione dell’IVA quale conseguenza immediata e diretta di condotte ritenute penalmente rilevanti sotto profili tutt’affatto diversi (l’evasione dell’IVA non solo non è stata contestata ai sensi dell’art. 10-ter d.lgs.n. 74 del 2000, ma neppure è stata menzionata nelle imputazioni di contrabbando doganale, né risulta annoverata indicata tra gli scopi del sodalizio di cui al capo1), sia con riferimento alla quantificazione dell’omesso versamento (compiuta senza alcuna valutazione, pur necessaria, circa l’esistenza di IVA a credito), sia anche in relazione alle modalità di calcolo delle accise evase, con specifico riferimento alla individuazione del momento consumativo del reato e alla conseguente possibilità di considerare effettivamente l’evasione un danno subito dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (su tale specifico aspetto, il Tribunale ha del resto ripetutamente sottolineato che la fittizietà della esportazione verso Paesi extra UE aveva determinato la dispersione in Europa della merce pag 61-85)”.
L’ apparenza dei passaggi motivazionali ha imposto l’annullamento della sentenza impugnata, in parte qua, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Torino per nuovo giudizio sul punto, nel quale dovrà anche tenersi adeguato conto – onde evitare indebite duplicazioni (arg. ex Sez. 6, n. 15847 de105/02/2019, NOME, Rv. 275543- 01)- della già disposta confisca per
equivalente del profitto del reato associativo, quantificata in termini identici. Trattandosi all’evidenza di motivi non strettamente personali, gli effetti dell’annullamento sono stati estesi, ai sensi dell’art. 587 cod. proc. pen., anche alle statuizioni civili pronunciate nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, non ricorrenti sul punto”.
Analoghe considerazioni possono essere svolte con riguardo alle censure formulate quanto alle modalità di calcolo del risarcimento parametrate alla permanenza del sodalizio, sulle quali la motivazione del Tribunale ha presentato connotazioni apodittiche ed autoreferenziali (cfr. pag. 97, in cui si chiarisce di non aver voluto “appesantire la trattazione con i lunghi e complessi calcoli” svolti dal Collegio in camera di consiglio).
3.Ha presentato ricorso, per il tramite del difensore di fiducia, COGNOME Oscar deducendo i seguenti motivi:
3.1. Violazione del principio di diritto indicato nella sentenza di annullamento con rinvio con riferimento all’importo delle evasioni fiscali realizzate con le condotte contestate nei capi di imputazione quale danno derivante dal reato e rilevante nel caso di specie in quanto coincidente con il profitto dei reati medesimi presupposto della confisca per equivalente disposta nei confronti dell’imputato in relazione agli artt. 627 comma 3, 628 comma 2 cod.proc.pen.
Lamenta sostanzialmente che il giudice del rinvio non ha calcolato il danno riconducibile alle condotte di contrabbando sulla base dell’imposta evasa ma ha affermato un principio diverso vale a dire che la commissione del reato non comporta il venir meno dell’esigibilità del credito tributario, non provoca danno all’amministrazione che può sempre agire con mezzi coattivi se non quello derivante dalle spese di riscossione o dal ritardo nell’adempimento per i quali le norme tributarie prevedono importi a titolo di sanzioni e interessi. Ha quindi revocato le statuizioni civili disposte nei precedenti giudizi e ha di fatto omesso la quantificazione del danno delle imposte evase per la determinazione del profitto del reato e la confisca per equivalente nei confronti di COGNOME che è pertanto illegittima.
Ha violato l’art. 627 cod.proc.pen. disattendendo il principio di diritto affermato nella sentenza di annullamento.
3.2.Con il secondo motivo lamenta il vizio di motivazione oltre che violazione del principio di diritto fissato dalla Corte di Cassazione per la determinazione del profitto dei reati contestati mediante una contraddizione manifesta determinante
e decisiva poiché la Corte distrettuale non si è occupata del quantum di evasione fiscale che ha ritenuto irrilevante ma, nei confronti di COGNOME ha illogicamente confermato la decisione del giudice di primo grado che individuava il quantum dell’equivalente patrimoniale oggetto di confisca proprio con riferimento all’entità delle imposte evase, secondo un calcolo approssimativo oggetto di annullamento da parte della Sezione 3 della Corte di Cassazione. Lamenta il macroscopico vizio di motivazione in quanto la Corte Torinese disattendendo il principio di diritto affermato nella sentenza di annullamento ha riprodotto in modo pedissequo il calcolo del giudice di primo grado
3.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione all’applicazione in sede penale del principio di cui all’art. 7 lettera d) TUA D.Igs n.504/95 che prevede una presunzione di carattere amministrativo. La Corte distrettuale si è sottratta al compito demandato dalla Corte di Cassazione, ha riproposto un conteggio meramente assertivo indicato nel corso del giudizio dal Capitano Sette della Guardia di Finanza, senza accertare l’importo delle imposte evase Iva ed accise e quindi del profitto dei reati doganali. Si confonde il diritto alla riscossione dello Stato italiano scaturente dalla presunzione dell’art. 7 TUA con il profitto del reato che è legato all’accertamento del reato secondo le regole del giudizio penale che non possono basarsi su mere presunzioni.
4.Hanno presentato ricorso l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Dogane per il tramite dell’Avvocatura dello Stato deducendo i seguenti motivi:
4.1.Violazione di legge con riferimento all’art. 627 comma 3 cod. proc.pen. Lamentano che la Corte di appello di Torino in sede di rinvio ha confutato le conclusioni del Tribunale secondo cui il danno’ da reato coincide con le imposte evase con la conseguenza che l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli è titolare del diritto al pagamento delle accise mentre l’Agenzia delle entrate è titolare del pagamento dell’Iva, aderendo al difforme principio secondo cui nel caso di reato tributario il capitale dovuto a titolo di imposta costituisce obbligazione tributaria, non un danno che a quella vada ad aggiungersi. Ha richiamato la recente pronuncia delle Sezioni unite civili n 29862/2022 e ha rigettato le istanze risarcitoria delle Agenzie fiscali avanzate quali parti civili, così disallineandosi dal principio di diritto della sentenza di annullamento n. 541/2023 . Richiama la recente ordinanza 3239 /2024 della Corte di Cassazione secondo la quale nel giudizio di rinvio che è procedimento chiuso e preordinato è inibito ampliare il tema decidendum.
4.2. Violazione di legge con riferimento agli artt. 1173, 1218 e 1227 cod civ. e art. 10 statuto contribuente.
Nel caso di specie è evidente che la condotta di falso e contrabbando contestata agli imputati abbia sottratto o comunque concorso a sottrarre un reddito al pagamento delle accise e dell’Iva con conseguente depauperamento patrimoniale dell’erario per mancato introito dei tributi. Anche applicando la richiamata sentenza delle Sezioni unite civili grava sull’Erario la prova dell’esistenza del credito, la perdita di esso e il nesso causale e sul contribuente che l’Erario non si è attivato e sia stato negligente e superare così la presunzione che l’Amministrazione stia procedendo al recupero dei tributi evasi. Nel caso di specie tra l’altro trattasi di fatto illecito penale del terzo mentre la procedura coattiva delle accise evase riguarda la Società RAGIONE_SOCIALE il cui fallimento ha determinato l’insinuazione al passivo di RAGIONE_SOCIALE, non vi è rischio di duplicazione della pretesa con abuso degli strumenti processuali. Gli imputati ricoprivano ruoli apicali e rilevanti nella società contribuente ed erano quindi nella condizione di acquisire agevolmente le informazioni sulle procedure in corso per il recupero del credito vantato dalle amministrazioni finanziarie.
4.3. Violazione di legge con riferimento all’art. 539 comma 1 cod. proc.pen, in quanto la Corte distrettuale ha escluso la potenzialità dannosa dei reati tributari avendo l’amministrazione già agito in sede coattiva.
Lamenta che la pretesa risarcitoria è stata azionata nei confronti di soggetti imputati diversi e soggetti terzi rispetto al contribuente e che la condotta contestata come affermato dalla Corte di Cassazione costituisce oltre che tributo doganale anche presupposto dell’obbligazione Iva, di conseguenza il giudicato sfavorevole sui fatti contestati impedisce alla Agenzia delle Entrate di esperire le azioni civili per il recupero dell’Iva nei confronti dell’imputati.
4.4.Vizio di motivazione in relazione alla circostanza che le Amministrazioni hanno attivato le procedure di esecuzione coattiva nei confronti degli imputati senza specificare quali amministrazioni finanziarie; la società RAGIONE_SOCIALE è soggetto obbligato al versamento accise ed Iva ed è sottoposta a procedura fallimentare e le amministrazioni sono insinuate al passivo, tali circostanze di fatto implicano che lo stato di insolvenza ha impedito di riscuotere le somme dovute e che vi è interesse delle Amministrazioni finanziarie a coltivare la pretesa civile in sede penale. Circostanze decisive argomentate in modo del tutto illogico e contraddittorio dalla Corte di appello di Torino.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi del ricorso COGNOME possono essere trattati congiuntamente in quanto attengono tutti alla confisca per equivalente.
1.1.Va preliminarmente riaffermato il principio secondo cui “il giudice di rinvio, in caso di annullamento per vizio di motivazione, è investito di pieni poteri di cognizione e, salvi i limiti derivanti da un eventuale giudicato interno, può rivisitare il fatto con pieno apprezzamento e autonomia di giudizio, sicché non è vincolato all’esame dei soli punti indicati nella sentenza di annullamento, ma può accedere alla piena rivalutazione del compendio probatorio, in esito alla quale è legittimato ad addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito”. Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023 Ud. (dep. 08/02/2024) Rv. 285801 – 0.
Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice che, adeguatamente motivando rispetto ai singoli punti specificati nella sentenza rescindente e con il limite dell’avvenuta formazione progressiva del giudicato in relazione ai diversi capi della decisione, pervenga nuovamente all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato sulla base di argomenti differenti da quelli censurati dalla Corte di cassazione, potendo egli non solo procedere all’esame completo del materiale probatorio ma anche compiere eventuali nuovi atti istruttori necessari per la decisione. (Fattispecie in tema di annullamento con rinvio per vizio di motivazione in merito al “punto” relativo alla utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche disposte nell’ambito di altro procedimento) Sez. 2 n. 37407 del 06/11/2020 Cc. (dep. 23/12/2020) Rv. 280660 – 01
Occorre muovere dalla lettera dell’art. 627, comma 2, cod. proc. pen. che, come è noto, stabilisce che il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le limitazioni stabilite dalla legge.
E’ indiscutibile che l’annullamento della Suprema Corte nel caso di specie sia stato disposto per vizio di motivazione; ritiene pertanto il Collegio di dover condividere la pacifica e condivisa giurisprudenza di legittimità, sopra già richiamata, in forza della quale, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice del rinvio è chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio, con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le sole limitazioni previste dalla legge e consistenti nel non fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di cassazione spettandogli il compito esclusivo di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e.di apprezzare il significato ed il valore delle relative fonti di prova (Sez. 5, n. 42814 del 19/06/2014, COGNOME, Rv. 261760, in forza
della quale i poteri attribuiti al giudice del rinvio sono diversi a seconda che l’annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, come nel caso in esame. Nella prima ipotesi, resta ferma la valutazione dei fatti come accertati dal provvedimento annullato; nella seconda, invece, “l’annullamento travolge gli accertamenti e le valutazioni già operate e, dunque, i poteri del giudice di rinvio hanno la massima latitudine” imponendo – si ribadisce – un nuovo ed esaustivo esame del materiale probatorio, con l’unico limite negativo già sopra richiamato).
Va precisato, inoltre che, qualora l’annullamento con rinvio avvenga – sempre per vizio di motivazione – mediante l’indicazione dei punti specifici di carenza o contraddittorietà, come nel caso di specie in cui il giudice di legittimità ha fatto specifico riferimento alla omessa pronuncia con riferimento al carattere transnazionale della confisca e alle modalità di quantificazione del profitto confiscabile ( pargr. 5.6), il potere del giudice di rinvio non può ritenersi limitato all’esame dei singoli punti specificati, come se essi fossero isolati dal restante materiale probatorio, con l’ulteriore corollario in forza del quale, in tali casi, giudice di merito non è vincolato né condizionato dalle possibili valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando a lui solo il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali tutte e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (cfr., multis, Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, COGNOME Rv. 264861).
I principi appena richiamati trovano poi un unico limite nell’avvenuta formazione del giudicato progressivo, il cui effetto – che l’art. 627, comma 2, cod. proc. pen. trasforma in obiettivo – è quello di delimitare sempre più l’oggetto del giudizio e non consentire una protrazione “ad libitum” del processo: effetto che, peraltro, può conseguire sia alla sentenza/ordinanza di secondo grado poi annullata, sia a quella di legittimità che abbia pronunciato un annullamento parziale. Il concetto di “capo” della sentenza – suscettibile di passare in giudicato (anche progressivo) – per come definito dalla più autorevole giurisprudenza di questa Suprema Corte, da ultimo ampiamente richiamata nella sentenza a Sezioni Unite Aiello del 2016 (n. 6093 del 27/05/2016, Rv. 268966) ha evidenziato che già la pronuncia COGNOME (Sez. U, n. 1 del 28/06/2000, Rv. 216329) aveva chiarito che il giudicato parziale possa formarsi soltanto con riguardo ai “capi” e non con riguardo ai “punti” della decisione. Per “capo” della sentenza deve intendersi «ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all’imputato» e tale nozione ha rilievo innanzitutto per la sentenza plurima o cumulativa, caratterizzata dalla confluenza nell’unico processo dell’esercizio di più azioni penali e dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali
inerisce ad una singola imputazione, «tale da poter costituire da solo, anche separatamente, il contenuto di una sentenza». Il concetto di “punto della decisione”, cui fa espresso riferimento l’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., ha invece una portata più ristretta, riguardando «tutte le statuizioni – ma non le relative argomentazioni svolte a sostegno – suscettibili di autonoma considerazione e necessarie per ottenere una decisione completa su un capo». I punti della decisione, in particolare, vengono a coincidere con le parti della sentenza relative alle «statuizioni indispensabili per il giudizio su ciascun reato» e, nell’ambito di ogni capo, segnano un “passaggio obbligato” per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato. Le Sezioni Unite COGNOME, dunque, avevano definito il capo come «un atto giuridico completo, tanto che la sentenza che conclude una fase o un grado del processo può assumere struttura monolitica o composita, a seconda che l’imputato sia stato chiamato a rispondere di un solo reato o di più reati, nel senso che, nel primo caso, nel processo è dedotta un’unica regiudicanda, mentre, nel secondo, la regiudicanda è scomponibile in tante autonome parti quanti sono i reati per i quali è stata esercitata l’azione penale. Nell’ipotesi di processo cumulativo o complesso, la cosa giudicata può coprire uno o più capi e il rapporto processuale può proseguire per gli altri, investiti dall’impugnazione, onde, in una simile situazione, è corretto utilizzare la nozione di giudicato parziale».
1.2. Nel caso di specie correttamente il giudice del rinvio nell’ambito dei suoi poteri ha argomentato con riferimento alla natura transazionale, condizione per l’applicazione della confisca per equivalente, del reato associativo di cui al capo 1 attribuito al Parise, sulla cui responsabilità si è formato il giudicato parziale, (cfr fol36 sentenza impugnata in cui si legge al paragr. 5″ il ricorso del PARISI è fondato limitatamente alle censure relative alla disposta confisca, mentre i motivi di ricorso volti a censurare la conferma dell’affermazione di penale responsabilità, che possono essere trattati congiuntamente, sono infondati”).
Ha affermato con argomentazioni logiche e coerenti che trattasi di reato punito con pena edittale massima superiore a quattro anni di reclusione che ha visto coinvolto un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno stato e commesso in più di uno stato quanto meno in Italia e in Germania( fol 35) e che la stessa sentenza rescindente, trattando la posizione dei coimputato COGNOME, pag 21 par. 4.6, ha rilevato che “la Corte d’Appello ha espresso, sia pure in sintesi (pag.44), piena condivisione del percorso argomentativo del Tribunale, il quale ha diffusamente motivato in ordine alla
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configurabilità delle connotazioni del reato transazionale di cui all’art. 3 della I. n. 146, del 2006 (tenute distinte dall’aggravante di cui all’art.4 della stessa legge, non contestata nel capo di accusa)”. In particolare, il giudice di primo grado (pag. 96) si è dapprima soffermato sulla costituzione nel 2013 della società di diritto tedesco RAGIONE_SOCIALE, riconducibile a RAGIONE_SOCIALE e utilizzata nelle operazioni di esportazione con le società estere, quale canale apparente di passaggio della merce al fine di rendere ancora più macchinoso l’intero processo economico finanziario e far perdere le tracce del contrabbando posto in essere dalla RAGIONE_SOCIALE; è stata quindi richiamato il ruolo svolto da NOME (amministratore della società, citato in alcune conversazioni delle impiegate della RAGIONE_SOCIALE), NOME (collaboratori del MILACH), COGNOME NOME e COGNOME NOME (incaricati di fungere da “scorta” ai carichi di tabacco in partenza dall’Italia); si è fatto poi riferimento al ruolo atti anche in chiave corruttiva dei funzionari doganali, documentato dalla già citata mail ricevuta da COGNOME NOME e da questi inoltrata agli “amici russi” (cfr. supra, § 3.3), svolto da NOME NOMECOGNOME che è risultato titolare di una delle società (costituita nel Regno Unito) cui la RAGIONE_SOCIALE aveva fatturato forniture apparentemente destinate ad una società turca. Sul completo asservimento della RAGIONE_SOCIALE tedesca all’attività di contrabbando, e sui continui contatti tenuti a tale scopo dal COGNOME con i soggetti in precedenza richiamati, cfr. anche pag. 59 della sentenza di primo grado, in cui vengono tra l’altro richiamate le numerosissime conversazioni in lingua russa tra il MESSINA e il MILACH (o il DEMENTIEV), con le quali venivano concordate le modalità operative delle singole esportazioni.
La Corte distrettuale ha pertanto ritenuto con argomentazioni logiche coerenti e basate sul compendio probatorio che la valutazione di transnazionalità del sodalizio ai sensi delle lett. a) e c) dell’art. 3 della I. n. 146, espressa dal Tribunal sulla scorta di tali emergenze, sia corretta e si sottragga ai rilievi difensivi (fol 3 sentenza impugnata).
Con riferimento poi all’altro punto dell’annullamento con rinvio attinente alla quantificazione del profitto confiscabile la Corte di appello ha con giudizio insindacabile in questa sede, in quanto rigoroso e argomentato, individuato il profitto conseguito dal sodalizio nella sistematica evasione delle accise ottenuta anche grazie alla predisposizione di un corredo contabile artefatto e ha escluso l’accertamento del mancato pagamento dell’Iva solo in considerazione del fatto che nel presente processo non risultano contestati reati fiscali e che nello scopo dell’associazione a delinquere, così come configurata nel capo di imputazione, ci sono unicamente i delitti di contrabbando di cui all’art. 73 L 17 luglio 1942 n.907
in relazione agli artt 6 comma 1 lett a e 7; 7 comma 1 lett. a)c)d) del TU delle Accise e di falso documentale.
Sulla base del presupposto accertato irrevocabilmente che le esportazioni verso paese extra Ue ( Ucraina Turchia Moldavia e Serbia e Kosovo e quindi in sospensione di imposta) fossero fittizie e che la merce era immessa nel mercato europeo al cui interno erano commercializzate con rotte ed itinerari verso destinazioni non individuate ha affermato che ciò non ha incidenza in ordine alla confisca del profitto derivante dai reati doganali commessi, in quanto in forza degli art 4 e 7 lett c) del TUA se l’irregolarità o l’infrazione è accertata nel territor dello stato italiano e non è possibile determinare il luogo in cui si è effettivamente verificata si presume che l’irregolarità o l’infrazione si sia verificata nel territor dello Stato e nel momento in cui è stata accertata e si procede alla riscossione dei diritti di accisa con l’aliquota in vigore alla data della spedizione dei prodotti salvo che entro quattro mesi dalla data in cui ha avuto inizio la circolazione venga fornita la prova ritenuta soddisfacente dall’Amministrazione finanziaria della regolarità dell’operazione ovvero che l’irregolarità o l’infrazione si siano effettivamente verificate fuori del territorio dello stato fol 38 sentenza impugnata.
Per quanto concerne il citato D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 7, (nel testo modificato dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 59) la giurisprudenza di questa Corte ha già precisato ( Sez. 3 n 31951 del 23.06.2015)che esso disciplina le ipotesi di irregolarità nella circolazione di prodotti soggetti all’accisa e stabilisce l regole che si applicano nel caso di irregolarità o infrazione, per la quale non sia previsto un abbuono d’imposta ai sensi dell’art. 4, commessa nel corso della circolazione di prodotti in regime sospensivo “salvo quanto previsto per l’esercizio dell’azione penale se i fatti addebitati costituiscono reato”. Le regole dettate riguardano il soggetto tenuto al pagamento dell’accisa, la sua riscossione in Italia, il luogo in cui si presume commessa l’infrazione, l’aliquota da applicare, i rapporti tra i diversi Stati membri. Quindi, la disposizione non prevede alcuna presunzione ne’ quanto all’obbligo di pagamento, ne’ quanto alla sussistenza del reato, e sancisce espressamente che tale presunzione “non riguarda comunque l’esercizio dell’azione penale e che quindi non riguarda la sussistenza o la configurabilità di eventuali reati” (cfr. Sez. 3, 5 febbraio 2006, n. 13704, parte motiva). D’altra parte va condivisa la natura di presunzione relativa o iuris tantum, la quale deve ritenersi superata qualora sussista la prova che in realtà la merce ha avuto una concreta destinazione estera e che quindi non vi era nessuna accisa da pagare (e che, conseguentemente, non vi è stata nessuna sottrazione al suo pagamento).” Ma nel caso di specie, la Corte distrettuale a fol 38 ha evidenziato che sussistono elementi più che concreti che la merce non aveva affatto avuto destinazione estera fuori dell’Unione europea. Ha affermato che si versa in ipotesi di infrazioni
accertate in Italia; nel capo 2 di imputazione in particolare è stato contestato ai prevenuti di aver sottratto tabacchi al pagamento di accise avendo simulato in esportazione da parte della RAGIONE_SOCIALE plurime cessioni( dal gennaio 2011 al novembre 2014) di svariati chilogrammi convenzionali di sigarette in regime di sospensione cessioni irregolari tali da determinare in capo alla RAGIONE_SOCIALE, con sede in Settimo Torinese, il sorgere del relativo pagamento di imposta mai corrisposto. D’altro canto le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur non costituendo prova “ex se” della commissione dell’illecito, assumono il valore di dati liberamente valutabili dal giudice penale unitamente a elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa ( tra le altre Sez. 3 – , n. 42916 del 21/09/2022 Ud. (dep. 11/11/2022) Rv. 283705 – 01).
1.3. La Corte territoriale, contrariamente a quanto dedotto nei motivi di ricorso, ha proceduto alla puntuale quantificazione del profitto conseguito dal sodalizio per effetto della sistematica evasione delle accise, ottenuta anche tramite il corredato contabile artefatto e in relazione alla sommatoria dei profitti conseguiti dall’associazione per effetto della consumazione dei singoli reati fine.
Ha seguito un metodo di calcolo oggettivo e analitico derivante dall’annotazione di PG a firma del Capitano della GDF Sette COGNOME, acquisita all’udienza dell’11.11.2016 con il consenso di tutte le parti e che non è stato oggetto di contestazione ( fol 39 sentenza impugnata), ha tenuto conto del fatto che l’affiliazione del COGNOME rimontava al febbraio 2012 e che le somme dovute a titolo di accisa in relazione alla bolletta doganale 9827W del 21.08.2012 erano appartenenti alla Germania in quanto la merce era stata sequestrata in Germania. Ha così rideterminato correttamente e quantificato la somma confiscabile in euro 97.581.952,00.
1.4. Deve ritenersi pertanto la mancanza di specificità dei motivi di ricorso non solo per la indeterminatezza, ma anche per la mancata correlazione tra le ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato. Pertanto, è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivata ‘ mente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione o la pretesa violazione del principio di diritto peraltro non individuato.
1.5. Il ricorso di COGNOME NOME va dichiarato pertanto inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
2.Con riferimento alla posizione delle ricorrenti Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli va ricordato che la sentenza di annullamento ha affermato che “la Corte territoriale si è sottratta, con locuzioni generiche e apodittiche(“titolarità delle imposte evase”, danno individuato nelle “imposte evase”), alle censure sviluppate dai ricorrenti, sia con riferimento alla stessa possibilità di considerare l’evasione dell’IVA quale conseguenza immediata e diretta di condotte ritenute penalmente rilevanti sotto profili tutt’affatto divers (l’evasione dell’IVA non solo non è stata contestata ai sensi dell’art. 10-ter d.lgs.n. 74 del 2000, ma neppure è stata menzionata nelle imputazioni di contrabbando doganale, né risulta annoverata indicata tra gli scopi del sodalizio di cui al capo1), sia con riferimento alla quantificazione dell’omesso versamento (compiuta senza alcun riferimento alle modalità di calcolo delle accise evase, con specifico riferimento alla individuazione del momento consumativo del reato e alla conseguente possibilità di considerare effettivamente l’evasione un danno subito dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Dai difetti motivazionali evidenziati è derivato l’annullamento della sentenza impugnata, in parte qua, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Torino per nuovo giudizio sul punto, “nel quale dovrà anche tenersi adeguato conto – onde evitare indebite duplicazioni (arg. ex Sez. 6, n. 15847 del 05/02/2019, Mauro, Rv. 27554301)- della già disposta confisca per equivalente del profitto del reato associativo, quantificata in termini identici”.
2.1. Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è infondato in quanto come correttamente affermato dal Giudice del rinvio al paragrafo 8.5, che peraltro ha riportato anche i principi affermati sul punto dalla sentenza di annullamento di questa Corte di Cassazione, se la fittizietà delle esportazioni di sigarette da parte di RAGIONE_SOCIALE ne comporta la imponibilità ai fini Iva, cionondimeno l’Agenzia delle Entrate per ottenere l’adempimento dell’obbligazione tributaria ha disposizione gli strumenti sostanziali, processuali e cautelari che l’ordinamento prevede per la riscossione coattiva del credito non potendo perseguire gli interessi civili nel processo penale in quanto non figurano tra gli addebiti elevati ai prevenuti contestazioni tributarie e pertanto l’Agenzia delle entrate non può considerarsi nemmeno soggetto danneggiato.
2.2. Quanto alla posizione dell’ Agenzia delle dogane e monopoli il ricorso è fondato. Va preliminarmente ricordato che il giudice del rinvio è tenuto ad uniformarsi non solo al principio di diritto, ma anche alle premesse logicogiuridiche poste a base dell’annullamento, non potendo nuovamente valutare questioni che, anche se non esaminate nel giudizio rescindente, costituiscono i presupposti della pronuncia sui quali si è formato il giudicato implicito interno (cfr.Sez. 6, n. 11641 del 20/02/2018 Ud. (“dep. 14/03/2018) Rv. 272641 – 01)
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Dalla sentenza di annullamento al paragrafo 8.4, si trae l’incontestabile principio secondo cui il mancato pagamento delle accise non esaurisce il tema delle pretese restitutorie o risarcitorie delle Agenzia delle dogane potendo configurarsi un danno ulteriore di natura civilistica.
Per questa parte la pronuncia del giudice del rinvio rivela l’inosservanza del principio di diritto laddove afferma ” che l’Amministrazione finanziaria oltre ad aver esercitato l’azione civile nel presente processo ha già da tempo attivato” ( senza alcuna specificazione dell’esito) “la procedura di riscossione coattiva delle accise evase” ( di cui peraltro non vi è alcun specifico riferimento nelle sentenze di merito) “il che dimostra per tabulas che la commissione dei reati di cui ai capi da 2 a 5 non ha causato l’inesigibilità del credito tributario e non ha provocato alcun pregiudizio ulteriore o diverso da quello ristoratore degli interessi di mora ( fol 47)”.
Il COGNOME Giudice di rinvio COGNOME afferma che COGNOME il danno dell’erario non deriva automaticamente dalla commissione del reato in sè ma dal mancato pagamento dell’imposta, richiamando sul punto il principio di diritto affermato dalle Sez. unite civili civili n 29862/2022 rv 665940 secondo cui “il danno causato dall’evasione fiscale, allorché questa integri gli estremi di un reato commesso dal contribuente o da persona che del fatto di quest’ultimo debba rispondere direttamente nei confronti dell’erario, non può farsi coincidere automaticamente con il tributo evaso, ma deve necessariamente consistere in un pregiudizio “ulteriore e diverso”, ricorrente qualora l’evasore abbia con la propria condotta provocato l’impossibilità di riscuotere il credito erariale,” ma non trae le logiche conseguenze giuridiche che derivano dai suddetti principi nel caso di specie e in ogni caso non ne dà adeguata argomentazione.
Nel caso di concreto il contribuente è la società RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita e deve pertanto applicarsi il diverso principio pure affermato dalle richiamate Sez. Unite civili (Rv. 665940 – 05) che “Il danno causato dall’evasione fiscale, allorché questa integri gli estremi di un reato commesso da persona diversa dal contribuente e non altrimenti obbligata nei confronti dell’erario, può coincidere sia con il tributo evaso, sia con ulteriori pregiudizi, nella prima di tali ipotesi risarcimento sarà dovuto a condizione che l’erario alleghi e dimostri la perdita del credito o la ragionevole probabilità della sua infruttuosa esazione; ne consegue che, nel giudizio di danno promosso dall’erario nei confronti di persona diversa dal contribuente, cui venga ascritto di avere concausato la perdita del credito erariale, spetta all’amministrazione provare l’esistenza del credito, la perdita di esso ed il nesso causale tra la lesione del credito e la condotta del convenuto, mentre spetta al convenuto dimostrare che la perdita del credito sia avvenuta per negligenza
dell’amministrazione, negligenza che rientra nella previsione di cui all’art. 1227, comma 1, c.c.”
Le Sezioni unite civili richiamate dal Giudice di rinvio affermano chiaramente che nei rapporti tra l’erario ed il contribuente che abbia commesso un reato tributario, il capitale dovuto da quest’ultimo a titolo d’imposta costituisce l’oggetto dell’obbligazione tributaria, non un “danno” che a quella vada ad aggiungersi ai sensi dell’art. 1218 c.c.. e che solo nei casi in cui l’amministrazione non abbia perduto il diritto di agire esecutivamente nei confronti del debitore, e questi abbia un patrimonio capiente, il danno causato dal reato non può ravvisarsi nell’importo del tributo evaso.
Va precisato inoltre che trattandosi di fatto illecito del terzo non vi è alcun rischio nel caso di specie della duplicazione della pretesa nei confronti del medesimo soggetto e del medesimo patrimonio e grava sul terzo interessato a non subire le pretese risarcitorie erariali l’onere di dimostrare che l’Amministrazione finanziaria non abbia agito o comunque sia stata negligente dati anche gli stretti rapporti con le contribuenti e gli imputati che ricoprivano ruoli apicali.
Che un reato doganale possa nuocere all’immagine della p.a. è stato del resto già ammesso dalla giurisprudenza penale di questa Corte (Sez. 5 pen., n. 12777 del 22.3.2019, in motivazione, § 8.3; Sez. 3 pen., n. 35457 del 1/10/2010, Rv. 248632 – 01), così come in ripetute occasioni si è ammesso che il reato commesso dall’extraneus alla p.a. possa recare nocumento all’immagine di questa, suscitando nei cittadini la sensazione dell’inefficienza o della collusione di essa col reo (così Sez. 3, n. 11752 del 17/03/2008, Rv. 239464; Sez. 3, n. n.35868 del 1.10.2002, Rv. 222512; nonché Sez. 2 pen., n. 150 del 4/01/2013, Rv. 254675, e Sez. 1 pen., n. 10371 del 18/10/1995, Rv. 202736, ambedue con riferimento al danno all’immagine causato da una associazione criminale all’amministrazione comunale nel cui territorio si era insediata ed aveva operato).
2.3. Va quindi disposto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla revoca per i “restanti imputati “( ad eccezione cioè di NOME NOME COGNOME assolta per non aver commesso il fatto rispetto ai capi 2 e 5 riguardanti i reati scopo) delle statuizioni civili nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Torino, cui è demandata anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità tra le parti.
2.4. Al rigetto del ricorso dell’Agenzia delle Entrate segue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
cassa delle ammende. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e rinvia per
nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Torino cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità
tra le parti. Rigetta il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18.02.2025