Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7472 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 7472  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CAGLIARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/06/2023 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; COGNOME
che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio in accoglimento del secondo motivo di ricorso, con declaratoria di inammissibilità nel resto;
lette le conclusioni dei difensori di parte civile e dell’imputato, rispettivamente ne senso del rigetto e dell’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
 Con sentenza del 5 giugno 2023 la Corte di appello di Cagliari, parzialmente riformando la sentenza pronunciata il 30 novembre 2021 dal Tribunale della stessa città, ha, per quanto qui rileva, confermato il giudizio di responsabilità, anche a fini civili ma previa revoca della provvisionale disposta all’esito del primo giudizio, di NOME COGNOME per il delitto di furto in abitazione aggravato ai sensi dell’art. 61 7 cod. pen., contestato come commesso in data antecedente e prossima al 23 ottobre 2013.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito l’imputato, che per un certo periodo aveva vissuto insieme alla propria famiglia nell’abitazione di Santino Cojana fino a che non ne era stato allontanato a seguito della nomina di un amministratore di sostegno, si era impadronito di beni di proprietà del Cojana, tra i quali svariati monili d’oro (catenine, anelli, medagliette, orecchini, bracciali orologio).
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 17 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione con riferimento al punto della decisione devoluto con il primo motivo di appello, in ordine al giudizio di responsabilità.
Nel mese di ottobre 2013 era avvenuto il rilascio coattivo dell’immobile nel quale l’imputato continuava a risiedere e, il giorno successivo all’esecuzione, egli era rientrato nella casa. Nondimeno, secondo l’osservazione dell’imputato, l’avvenuta introduzione in tale casa e il successivo ritrovamento, nella propria abitazione, dell’asserita refurtiva non sarebbero dimostrativi della responsabilità. Infatti, occorre considerare che al momento del rilascio dell’immobile non era stato redatto un inventario; che solo in un momento successivo la persona offesa si lamentò della sottrazione; che i rapporti tra i parenti coinvolti si erano incrinati che non può escludersi che i beni asseritamente sottratti fossero già, al momento dell’introduzione abusiva nella casa del Cojana, nella disponibilità dell’imputato.
A tali rilievi la Corte territoriale non avrebbe risposto; e sarebbe apodittica la risposta in ordine al requisito dell’altruità dei beni, che l’imputato contesta proprio in ragione della lunga convivenza di tutta la sua famiglia nell’abitazione della vittima.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla valutazione del danno e alla ritenuta sussistenza dell’aggravante prevista dall’art. 61 n. 7 cod. pen.: la motivazione sarebbe
assertiva e fondata sulla mera circostanza dell’essere alcuni dei beni sottratti d’oro.
2.3. Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione con riguardo al punto della decisione devoluto con il terzo motivo di appello, relativo al giudizio di comparazione tra le circostanze attenuanti generiche e l’aggravante contestata, che la Corte di appello ha confermato nei termini di mera equivalenza facendo mero richiamo di precedenti giurisprudenziali ma senza confrontarsi con gli elementi di valutazione offerti nel citato motivo di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile.
Occorre ribadire che il controllo della Corte di cassazione non può spingersi alla rivalutazione delle prove, ma deve arrestarsi, per espressa volontà del legislatore, al controllo circa l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074). Inoltre, va precisato, il vizio della “manifesta illogicità” della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica “rispetto a se stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica.
Ulteriore indispensabile premessa riguarda la generica deduzione con la quale si lamenta la mancata risposta della Corte di appello a doglianze avanzate nell’atto di appello: non è censurabile la sentenza che non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando ne risulti il rigetto dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (Sez. 4, n. 5396 del. 15/11/2022, dep. 2023, Lakrafy, Rv. 284096; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Currò, Rv. 275500).
Sulla base di queste premesse, non si ravvisano lacune motivazionali né manifeste illogicità nella risposta fornita dalla Corte territoriale alle doglianze punto responsabilità.
La Corte di appello, infatti, si è confrontata adeguatamente con tutti i rilievi mossi, diligentemente riepilogati nelle pagine da 8 a 13 della sentenza impugnata, ed ha motivato in modo non palesemente illogico circa la responsabilità dell’imputato.
Fermo restando che, come si è già precisato, la Corte di cassazione non può rivalutare le prove, il ragionamento esposto dai giudici dell’appello è lineare:
l’amministratore di sostegno, verificata l’introduzione abusiva del COGNOME nella casa del Cojana (nemmeno contestata dall’imputato), ha effettuato un inventario dei beni sottratti, sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa; in ogni caso, la persona offesa aveva già riferito ai carabinieri, nell’immediatezza, circa i beni di cui lamentava la sottrazione; si trattava di una persona affetta da deficit motorio e non da deficit mentale, sicché le sue dichiarazioni dovevano ritenersi attendibili; i beni asseritamente sottratti sono stati trovati nell’abitazione dell’imputato e tra essi vi erano beni che, per la loro natura, non potevano essere stati da lui ritenuti propri né legittimamente detenuti (la Corte di appello ha fatto riferimento, tra l’altro, ad estratti di conti correnti, referti medici, bollette di utenze della perso offesa). La Corte ha pure motivato in modo attendibile circa l’inutilità della perizia sollecitata dalla difesa, che mai avrebbe potuto sciogliere alcun dubbio, tenuto conto che comunque la versione difensiva, insuscettibile di essere provata a mezzo accertamento tecnico, era nel senso che i beni oggetto di furto fossero stati in realtà regalati all’imputato.
Del tutto logica e completa è dunque la complessiva risposta fornita dalla Corte di appello, che ha giustificato l’affermazione di responsabilità su un motivato giudizio di attendibilità della vittima e sull’inspiegabilità del ritrovamento a cas dell’imputato di documenti personali della vittima, circostanza che fornisce logico significato anche al possesso degli altri beni il cui furto è stato denunciato.
2. Il secondo motivo è fondato, laddove deduce vizio di motivazione.
Occorre premettere che la sentenza di primo grado non ha effettuato alcun riferimento all’entità del danno patrimoniale procurato alla persona offesa, e si è limitata a ritenere sussistente la contestata aggravante del danno di rilevante gravità (art. 61 n. 7 cod. pen.), bilanciandola con le riconosciute circostanze attenuanti generiche.
A fronte di tale omessa motivazione, è stata avanzata una specifica doglianza nell’atto di appello, laddove si è evidenziato che nessun elemento potesse suffragare il giudizio di particolare rilevanza del danno e che dei monili d’oro oggetto di furto vi era in atti solo qualche fotografia, da cui non si evidenziavano particolari caratteristiche se non l’usura dei beni stessi, di talché si poteva al pi valutare oggettivamente il valore dell’oro usato per realizzarli; ma, anche sotto questo profilo, l’istruttoria era stata carente e non vi erano indicazioni precise.
La Corte di appello, che pure ha correttamente riepilogato il motivo di impugnazione (pagg. 13-14), ha fornito una risposta apparente, limitandosi a dichiarare che «il valore dei soli oggetti d’oro sottratti… a tacere degli ulteriori b indicati nel verbale di perquisizione, attesta senza dubbio la sussistenza della contestata aggravante … integrando quella oggettiva rilevanza economica del
danno desumibile dal livello economico medio della comunità sociale nel momento in cui il reato viene commesso, indipendente dalla consistenza patrimoniale del danneggiato» (pag. 23).
Ora, la motivazione trascura di considerare che del valore dei monili in oro manca qualsivoglia indicazione: non vi è l’indicazione del peso né alcuna sommaria valutazione.
Ed allora si deve senz’altro convenire con la Corte di appello laddove sottolinea che, nel giudizio circa la sussistenza della circostanza aggravante contestata, assume preminente rilievo l’entità oggettiva del danno, mentre la capacità economica del danneggiato costituisce solo un parametro sussidiario di valutazione, cui ricorrere nei casi in cui il danno sia di entità tale da rendere dubbia la sua oggettiva rilevanza. Va però ricordato che affermazioni giurisprudenziali di tal genere, certamente da confermare, sono state fatte sulla premessa che, per l’appunto, «l’aggettivo “rilevante” impone di alzare la soglia della valutazione e di considerare sussistente l’aggravante quando l’entità del danno stesso è costituita da un importo tale da rendere immediatamente percepibile la rilevanza del danno stesso» (Sez. 4, n. 5908 del 08/01/2013, Spada, Rv. 255101). Nel caso giudicato dalla sentenza appena citata, i giudici di merito erano stati in grado di quantificare in circa 2000 euro il valore dei beni sottratti; e la Corte di cassazione, ritenuto tale importo non di per sé tale da rendere “immediatamente” percepibile la “rilevanza” del danno, ha fatto riferimento al criterio sussidiario della capacità economica della persona offesa (nel caso di specie escludendo la sussistenza dell’aggravante).
Il principio è stato di recente ribadito nel senso che «per la valutazione dell’applicabilità della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, è opportuno far riferimento alle condizioni economico-finanziarie della persona offesa solo qualora il danno sofferto, pur non essendo di entità oggettiva notevole, può essere qualificato tale in relazione alle particolari condizioni della vittima, che sono invece irrilevanti quando l’entità oggettiva del danno è tale da integrare di per sé un danno patrimoniale di rilevante gravità. La rilevanza economica del danno, nella sua dimensione oggettiva, deve essere parametrata al livello economico medio della comunità sociale nel momento storico in cui il reato viene commesso» (Sez. 5, n. 510 del 14/10/2022, dep. 2023, COGNOME, mm.).
Ebbene, nella motivazione della sentenza impugnata, nonostante la specificità del motivo di appello, manca ogni riferimento sia ad una qualsivoglia valutazione dei beni sottratti, sia – nell’ipotesi in cui assumano rilevanza secondo il criteri sussidiario sopra indicato – alle condizioni economiche della vittima.
Vi è soltanto un’affermazione assertiva, senza alcun riferimento fattuale dotato di univoco significato, tale non essendo la mera considerazione secondo la quale i monili erano fatti d’oro, in assenza di indicazioni circa il loro pregio o il l
peso; tantomeno sono sufficienti le indicazioni rinvenibili nel capo di imputazione (in assenza di specificazione nella motivazione della sentenza) con riferimento agli altri beni oggetto di furto.
L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento del terzo ed impone l’annullamento con rinvio, affinché la Corte di appello motivi sulla sussistenza o insussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’articolo 61 n. 7 c.p. con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Cagliari.
Inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 30/01/2024