Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24950 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24950 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CAGLIARI il 28/11/1951
avverso la sentenza del 01/10/2024 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30 novembre 2021 il Tribunale di Cagliari ha riconosciuto NOME COGNOME colpevole del delitto di furto in abitazione, aggravato ai sensi dell’art. 61 n. 7 cod. pen., contestato come commesso ai danni del suocero NOME COGNOME in data antecedente e prossima al 23 ottobre 2013.
La Corte di appello di Cagliari, con sentenza del 5 giugno 2023, ha confermato il giudizio di responsabilità anche ai fini civili, revocando la provvisionale disposta all’esito del primo giudizio.
La sezione quinta della Corte di cassazione, adita dall’imputato, ha annullato, con decisione del 30 gennaio 2024, la sentenza della Corte di appello
limitatamente all’aggravante del danno di rilevante gravità, disponendo un nuovo giudizio sul punto dinnanzi ad un’ altra sezione della Corte di appello di Cagliari.
Con la sentenza indicata nel preambolo, la Corte di appello, in esito al giudizio di rinvio, ha confermato la decisione del Tribunale di Cagliari.
Secondo la Corte distrettuale, il danno patrimoniale patito dalla persona offesa nelle more deceduto, NOME COGNOME era stato di rilevante gravità: a prescindere dalla stima oggettiva dei beni trafugati attraverso l’azione furtiva, è rimasto accertato che l’appartamento in cui viveva il COGNOME era stato sostanzialmente svuotato e che i preziosi e gli altri oggetti rinvenuti durante la perquisizione presso l’abitazione dell’imputato rappresentavano gran parte del patrimonio del derubato.
Ricorre per Cassazione veglio per il tramite del difensore di fiducia articolando tre motivi
2.1. Con il primo deduce mancanza della motivazione in ordine alla valutazione oggettiva o soggettiva del danno
La Corte di appello, investita nuovamente della questione relativa alla sussistenza degli estremi dell’aggravante, non solo ha omesso di valutare il valore oggettivo dei beni, che costituisce l’elemento da prendere preminentemente in considerazione per la configurabilità della circostanza, ma non ha nemmeno apprezzato la capacità economica del danneggiato, che costituisce il parametro sussidiario cui è possibile ricorrere allorquando il danno sia di entità tale da rendere dubbia la sua oggettiva rilevanza.
La gravità del danno è stata desunta esclusivamente dal contesto in cui si è verificato il fatto senza alcun riferimento al valore oggettivo dei beni indicati nel capo di imputazione.
Le affermazioni utilizzate sono prive di riferimenti fattuali dotati di univoco significato e prendono, comunque, in considerazione anche beni diversi rispetto a quelli individuati nel capo di imputazione, la cui sottrazione non è stata mai contestata
Anche il riferimento al rateo di pensione percepito mensilmente dalla persona offesa, pari a 1.300 euro, è generico e non spiega l’incidenza che il furto degli oggetti indicati nel capo di imputazione ha avuto sulla sua situazione economica. Non risulta, in definitiva, spiegato perché il danno sofferto, pur non essendo oggettivamente notevole, possa essere qualificato grave in relazione a particolari condizioni socio – economiche della vittima.
Con il secondo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 61 n. 7 cod. pen.
La sentenza impugnata, nel valutare gli elementi costitutivi dell’aggravante, non ha preso in considerazione né il dato oggettivo del valore dei beni sottratti né
il profilo delle condizioni socio, economiche e finanziarie della persona offesa. Anziché seguire il corretto criterio giuridico per valutare la sussistenza della circostanza aggravante, ha stimato il complessivo danno patrimoniale sulla scorta del contesto generale, valorizzando la sottrazione di beni diversi ed ulteriori rispetto a quelli oggetto di contestazione.
Con il terzo motivo eccepisce prescrizione del reato di quell’articolo 624bis cod. pen.
Una volta esclusa l’aggravante contestata deve essere dichiarata la prescrizione del reato perché dalla della sua consumazione sono decorsi 7 anni e sei mesi.
Non osta alla declaratoria di estinzione del reato l’annullamento parziale riferito soltanto alla circostanza aggravante.
Infatti, l’annullamento parziale della sentenza di condanna non determina l’automatico passaggio in giudicato di tutti i punti contenuti nelle parti confermate della decisione ma solo di quelli in connessione essenziale a quello interessato all’annullamento. Rappresentando la circostanza aggravante del danno di rilevante gravità un presupposto necessario della pronuncia finale sull ‘ affermazione di colpevolezza relativa al reato contestato, il giudizio su tale reato può considerarsi esaurito soltanto quando è stato deciso anche quest’ultimo punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei tre motivi di ricorso supera il vaglio di ammissibilità per le ragioni esposte nel prosieguo.
La sezione quinta di questa Corte ha dato mandato al Giudice del rinvio di colmare le lacune presenti nel percorso motivazionale seguito dalla sentenza della Corte di appello di Cagliari, in data 5 giugno 2023, per affermare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell ‘ aggravante del danno di rilevante gravità di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen. in risposta alle doglianze sviluppate nell’ atto di appello.
La sentenza annullata, infatti, si era limitata ad affermare che «il valore dei soli oggetti d’oro sottratti… a tacere degli ulteriori beni indicati nel verbale di perquisizione, attesta senza dubbio la sussistenza della contestata aggravante … integrando quella oggettiva rilevanza economica del danno desumibile dal livello economico medio della comunità sociale nel momento in cui il reato viene commesso, indipendente dalla consistenza patrimoniale del danneggiato».
Sul piano del diritto, il giudice di legittimità ha ribadito la validità dei principi enunciati in dalla giurisprudenza più recente, ricordando che «per la valutazione
dell’applicabilità della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, è opportuno far riferimento alle condizioni economico-finanziarie della persona offesa solo qualora il danno sofferto, pur non essendo di entità oggettiva notevole, può essere qualificato tale in relazione alle particolari condizioni della vittima, che sono invece irrilevanti quando l’entità oggettiva del danno è tale da integrare di per sé un danno patrimoniale di rilevante gravità. La rilevanza economica del danno, nella sua dimensione oggettiva, deve essere parametrata al livello economico medio della comunità sociale nel momento storico in cui il reato viene commesso» (Sez. 5, n. 510 del 14/10/2022, dep. 2023, COGNOME, mm.).
Infine, il Giudice rescindente ha evidenziato la mancanza di riferimenti dotati di univoco significato «sia ad una qualsivoglia valutazione dei beni sottratti, sia nell’ipotesi in cui assumano rilevanza secondo il criterio sussidiario sopra indicato – alle condizioni economiche della vittima».
Le critiche dedotte dal ricorrente nei primi due motivi di ricorso o sollecitano apprezzamenti in fatto estranei al giudizio di legittimità oppure si sostanziano in censure generiche, del tutto prive di confronto con il reale contenuto della sentenza impugnata, che, contrariamente a quanto lamentato, ha correttamente adempiuto al mandato conferitole dalla sentenza di annullamento.
In coerente applicazione del principio di diritto in forza del quale assume valore preminente per la configurabilità del danno patrimoniale di rilevante gravità la sua entità oggettiva del danno e che, invece, la capacità economica del danneggiato rappresenta un parametro sussidiario di valutazione, cui è possibile ricorrere soltanto nei casi in cui il danno sia di entità tale da rendere dubbia la sua oggettiva rilevanza, la Corte distrettuale ha osservato che nella specie deve necessariamente essere applicato il criterio sussidiario, in mancanza di elementi certi sul valore oggettivo dei beni derubati, e che sulla scorta di tale ultimo criterio depongono univocamente per la rilevante gravità del danno le modeste condizioni economiche dalla persona offesa (pensionato che percepiva mensilmente un emolumento pari a 1.330,00 euro), la natura dei beni depredati (oro, preziosi, quadri mobili) e, soprattutto la loro quantità, pari a buona parte del patrimonio di Cojiana.
A quest ‘ ultimo proposito, ha evidenziato che l ‘ odierno imputato, una volta occupato insieme coi figli l ‘ appartamento abbandonato dal suocero per non subire ulteriori condotte maltrattanti da parte dei predetti familiari, vi era rimasto, per molti mesi (dal 13 gennaio al 23 ottobre 2013), periodo nel quale era riuscito ad impossessarsi di tutti gli oggetti dotati di valore economico, anche minimo, che erano custoditi in tutti i locali compresa la cantina (oro, preziosi, piatti, quadri, posate, indumenti, la somma di denaro di 400,00 euro, carnet di assegni).
A tali osservazioni, la difesa ha opposto critiche generiche, per di più, sollecitando apprezzamenti di merito estranei al giudizio di legittimità.
Il riconoscimento dell ‘ aggravante, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, è di ostacolo alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione trovando applicazione i termini di cui agli artt. 157 e seg. cod. pen. parametrati alla pena edittale massima non di sette ma di dieci anni di reclusione.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
L’imputato deve essere, altresì, condannato alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio di legittimità dalla parte civile NOME in proprio e quale erede di NOME COGNOME che, tenuto conto dell’attività professionale prestata, delle tariffe professionali e delle somme richieste con la domanda, vanno liquidate in euro 1.300,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME in proprio e quale erede di NOME COGNOME che liquida in complessivi euro 1.300,00 oltre accessori di legge.
Così deciso, in Roma 15 maggio 2025.