Furto e Danno di Particolare Tenuità: Quando Conta la Restituzione?
La recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto penale, relativo all’applicazione dell’attenuante del danno di particolare tenuità nel reato di furto. La domanda al centro del caso è semplice ma fondamentale: la restituzione dei beni rubati dopo il fatto può ridurre la gravità del danno al punto da giustificare uno sconto di pena? La Suprema Corte ha fornito una risposta chiara, consolidando un principio giuridico di notevole importanza pratica.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato per furto in Corte d’Appello, ha presentato ricorso in Cassazione. Il valore dei beni sottratti superava i duemila euro. L’elemento chiave su cui si basava il ricorso era l’avvenuta restituzione della refurtiva alla persona offesa. Secondo la difesa, questo comportamento successivo al reato avrebbe dovuto portare al riconoscimento della circostanza attenuante del danno di lieve entità, con conseguente riduzione della pena.
La Questione Giuridica sul Danno di Particolare Tenuità
L’attenuante del danno di particolare tenuità è prevista dal codice penale per i reati contro il patrimonio e mira a mitigare la sanzione quando il pregiudizio economico causato alla vittima è minimo. Il quesito sottoposto alla Corte era se, nel calcolare tale pregiudizio, si dovesse tenere conto anche di eventi successivi alla consumazione del reato, come la restituzione del maltolto. In altre parole, la restituzione annulla o riduce il danno originario ai fini dell’applicazione di questa specifica attenuante?
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Con questa decisione, i giudici hanno confermato l’orientamento già consolidato della giurisprudenza di legittimità, rigettando la tesi difensiva. L’imputato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni
Il cuore della motivazione risiede nell’individuazione del corretto momento in cui l’entità del danno deve essere valutata. La Corte ha stabilito, in conformità con precedenti pronunce (come la sentenza n. 19728/2019), che l’analisi deve essere ancorata al momento esatto in cui il reato si è consumato. In quel preciso istante, la persona offesa ha subito un danno patrimoniale pari al valore dei beni sottratti, che nel caso di specie era superiore a duemila euro.
La successiva restituzione della refurtiva, sebbene sia un gesto apprezzabile, costituisce un “post factum”, ovvero un evento accaduto dopo il fatto. Tale evento non può modificare la valutazione della gravità del danno al momento del reato. La condotta riparatoria può avere rilevanza per altre circostanze attenuanti, ma non per quella del danno di particolare tenuità, la cui configurabilità dipende esclusivamente dal pregiudizio iniziale.
Le Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la valutazione per l’attenuante del danno lieve deve essere effettuata con una fotografia scattata al momento del crimine. Le azioni successive dell’imputato, come la restituzione, non possono alterare retroattivamente la gravità del fatto già commesso ai fini di questa specifica circostanza. Questa decisione rafforza la certezza del diritto, offrendo un criterio chiaro e univoco per distinguere tra la gravità intrinseca di un reato patrimoniale e le eventuali condotte riparatorie successive, che trovano la loro rilevanza giuridica in altri istituti.
La restituzione della refurtiva è rilevante per l’attenuante del danno di particolare tenuità?
No, secondo la Corte di Cassazione, la restituzione è un ‘post factum’ e non è valutabile ai fini della concessione di questa specifica attenuante.
In quale momento si deve valutare l’entità del danno per questa attenuante?
L’entità del danno deve essere verificata e valutata esclusivamente al momento della consumazione del reato.
Qual è stata la decisione finale della Corte nel caso esaminato?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29900 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29900 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME CODICE_FISCALE nato a PESCIA il 22/07/1997
avverso la sentenza del 23/09/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
e
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME ricorre avverso la sentenza della
Corte di Appello di Firenze, che ha confermato la sentenza di primo grado;
Considerato che l’unico motivo di ricorso – con il quale il ricorrente si duole del vizio di motivazione e della violazione di legge in
relazione alla mancata concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità – oltre ad essere inammissibile in quanto
riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati, è
manifestamente infondato in quanto asserisce un vizio di motivazione non emergente dal provvedimento impugnato, atteso che la Corte ha
ritenuto irrilevante la successiva restituzione della refurtiva, dal valore di più di duemila euro, ai fini della concessione dell’invocata attenuante, in conformità con la consolidata giurisprudenza di legittimità, ai sensi della quale in tema di furto, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità, l’entità del danno cagionato alla persona offesa deve essere verificata al momento della consumazione del reato costituendo la restituzione della refurtiva solo un “post factum” non valutabile a tale fine (Sez. 5, n. 19728 del 11/04/2019, Ingenito, Rv. 275922);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 2 luglio 2025