Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30194 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30194 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 04/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Barcellona Pozzo di Gotto 1’8/5/1980
avverso l’ordinanza del 3/2/2025 del Tribunale di Messina
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 febbraio 2025 il Tribunale di Messina ha confermato il provvedimento emesso il 19 dicembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città, con cui ad NOME COGNOME è stata
applicata la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di estorsione, peculato e associazione a delinquere di tipo mafioso.
Avverso l’ordinanza anzidetta ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’ndagato, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione di legge e vizi della motivazione del provvedimento impugnato in relazione alle estorsioni di cui ai capi 1) e 2), difettando l’autonoma valutazione del Giudice per le indagini preliminari rispetto alla richiesta del Pubblico ministero.
2.2. Violazione di legge e vizi della motivazione dell’ordinanza impugnata, per avere il Tribunale trascurato che la lettera di dimissione, firmata da NOME COGNOME, dipendente della ditta Bellinvia, era giustificata dal fatto che egli si era appropriato illecitamente di otto batterie, prelevate dalle autovetture condotte presso l’anzidetta ditta per la demolizione, come dallo stesso ammesso nel verbale di sommarie informazioni del 12 dicembre 2020. La coazione morale sarebbe stata esercitata, quindi, in presenza di un fatto illecito, realizzato dal dipendente, e per un risultato pratico e giusto, ossia l’allontanamento dall’azienda in ragione della ineluttabilità della risoluzione del contratto di lavoro stante l’incontestata e obiettiva gravità dei fatti, oggetto di immediata contestazione. Quanto all’estorsione di cui al capo 2), il Tribunale, nell’affermare che il danno può consistere nella perdita della possibilità di conseguire un vantaggio economico, avrebbe trascurato che NOME COGNOME non aveva diritto al rinnovo o alla proroga del contratto di lavoro.
2.3. Violazione di legge e vizi della motivazione, perché il Giudice della cautela non avrebbe spiegato in forza di quale atto, fatto o comportamento più o meno concludente l’odierno ricorrente avrebbe concorso nelle condotte distrattive, realizzate dai componenti della famiglia COGNOME.
2.4. Violazione di legge e vizi della motivazione in ordine alla ritenuta esistenza dell’associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416-bis cod. pen. Il Tribunale ha enucleato dalle complessive emergenze indiziarie le condotte ritenute espressive della persistente operatività di una consorteria criminale, sussumibile nella previsione normativa dell’art. 416-bis cit., senza spiegare, però, le ragioni per le quali proprio tali comportamenti non costituisssero, invece, la cartina al tornasole di attività illecite realizzate su base esclusivamente familiare, non collegate con la famiglia mafiosa denominata clan dei Barcellonesi, alla quale, fino al 16 giugno 2011, risultava aver partecipato NOME COGNOME. Nel caso in esame, difetterebbero la forza intimidatrice del vincolo associativo, con la condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, nonché l’affectio societatis, ossia l’apporto di ogni singolo socio per l’associazione. I reati
ipotizzati, qualora provati, non sarebbero altro che il frutto di accord estemporanei tra i soggetti agenti, senza che vi fosse alla base un legame associativo e che trapelasse quella forza intimidatrice ed assoggettante propria dell’associazione mafiosa. Anche il collaboratore di giustizia NOME COGNOME non avrebbe riferito un solo episodio delittuoso, realizzato dagli odierni indagati al di fuori delle dinamiche connesse alla gestione dell’azienda confiscata, in un contesto procedimentale in cui l’elemento aggregante, nella valutazione delle complessive emergenze indiziarie, è stato individuato nell’esistenza irrilevante di un legame funzionale tra l’impresa confiscata e il ruolo che nell’associazione mafiosa barcellonese era rivestito da NOME COGNOME Non sarebbe stato accertato alcun contatto diretto o indiretto tra gli appartenenti all’associazione, descritta nell’imputazione provvisoria, e altri soggetti diversi dagli stret familiari, ritenuti, a torto o a ragione, inseriti in un circuito delinquenziale.
2.5. Violazione di legge e vizi della motivazione, non avendo il Tribunale spiegato le ragioni per cui fosse possibile sostenere che il ricorrente avesse favorito il mantenimento degli Ofria e dei loro parenti detenuti, nella consapevolezza che il suo contributo si proiettasse in chiave associativa di tipo mafioso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini e limiti di seguito indicati.
Il primo motivo, con cui è stata dedotta la mancata autonoma valutazione da parte del Giudice per le indagini preliminari rispetto alla richiesta del Pubblico ministero, è privo di specificità.
Va osservato, innanzitutto, che questa Corte ha già avuto modo di precisare (ex multis: Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Firozpoor, Rv. 277496 – 01; Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, COGNOME, Rv. 274760 – 01) che, in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti “de libertate”, il ricorrente per cassazione, che denunci la nullità dell’ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, ha l’onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario, di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate.
Nel caso in esame, siffatto onere non è stato assolto dal ricorrente, che si è limitato a dedurre che il Giudice per le indagini preliminari non aveva effettuato valutazioni autonome rispetto alla richiesta di applicazione della misura cautelare.
Può aggiungersi, poi, che non risulta che il ricorrente abbia eccepito tale nullità dinanzi al Tribunale del riesame, atteso che di essa non dà conto l’ordinanza impugnata, laddove ha esposto le censure sollevate dall’indagato; esposizione non contestata da quest’ultimo, che, del resto, non ha neppure indicato di avere già denunciato la nullità in sede di riesame.
Il che comporta la non deducibilità dell’eccezione in questa sede, condividendosi l’orientamento secondo cui la nullità dell’ordinanza genetica per mancanza di autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, di cui all’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., va qualificata come nullità generale a regime intermedio, dovendo, pertanto, essere dedotta, a pena di decadenza, con la richiesta di riesame (Sez. 3, n. 41786 del 26/10/2021, COGNOME, Rv. 282460 – 01).
Il secondo motivo è fondato limitatamente all’episodio di cui al capo 2) della provvisoria imputazione.
Il Tribunale ha evidenziato che dalle intercettazioni era emerso che la cessazione del rapporto contrattuale, che per oltre tre lustri aveva legato NOME COGNOME, autista di mezzi pesanti, alla ditta NOME COGNOME, non aveva rinvenuto la sua causa in una libera determinazione assunta dal dipendente, ma era stata imposta da NOME COGNOME che, non soddisfatto dall’aver ottenuto la sottoscrizione delle dimissioni volontarie e il conseguente allontanamento dalla ditta, era riuscito, attraverso l’estrinsecazione del suo carisma delinquenziale, a colpire COGNOME, colpevole di aver sottratto beni e, soprattutto, averlo fatto ai danni di un autorevolissimo componente del gruppo malavitoso barcellonese, facendolo licenziare anche da altri imprenditori che, dopo la cessazione del rapporto con la ditta RAGIONE_SOCIALE, lo avevano assunto.
NOME COGNOME aveva costituito la longa manus di cui si era servito Ofria per portare ad attuazione il proposito criminoso, perseguito ai danni di NOME COGNOME.
Secondo il Tribunale, tale vicenda era sussumibile nell’ambito della fattispecie di reato di cui all’art. 629 cod. pen. COGNOME, infatti, era sta costretto a sottoscrivere un’artificiosa lettera di dimissioni, solo perché ciò gli er stato imposto da un soggetto di indiscussa caratura criminale, capace in quanto tale di esercitare ex se un profondo metus nell’animo del suo contraddittore.
Evidenti il pregiudizio patrimoniale, che COGNOME aveva sofferto / e il corrispondente profitto ingiusto di Ofria. Il primo, infatti, era stato costretto rinunciare al trattamento stipendiale e, ancor di più, alla corresponsione della liquidazione di cui aveva diritto; il secondo aveva conseguito con immediatezza il risultato di liberarsi di un dipendente, dimostratosi poco affidabile, al quale non
avrebbe potuto aspirare se non attivandosi presso il compiacente amministratore che, comunque, avrebbe dovuto mettere in moto una procedura, anche in sede giudiziaria, dall’esito tutt’altro che scontato. NOME aveva, quindi, beneficiato di u importante utile economico per la cassa della ditta, di fatto nella sua disponibilità.
Siffatta motivazione, con cui il Tribunale ha indicato tutti gli elementi costitutivi del delitto di estorsione, sfugge ai rilievi censori del ricorrente, che, sottolineare che la coazione morale era stata esercitata in presenza di un fatto illecito del dipendente e per conseguire un risultato giusto, ha trascurato di considerare che, come sottolineato dal Tribunale, l’allontanamento della persona offesa dall’azienda non poteva avvenire con l’uso della minaccia, ma attraverso un accertamento giudiziale, il cui esito, peraltro, non era certo.
3.1. A diverse conclusioni deve pervenirsi con riferimento all’episodio di cui al capo 2).
Al riguardo, sulla base degli elementi indiziari acquisiti, è risultato che NOME COGNOME aveva fatto contattare dal ricorrente l’imprenditore COGNOME che aveva assunto NOME COGNOME, facendogli capire, con linguaggio allusivo, che doveva porre fine a tale rapporto di lavoro. È risultato, inoltre, che, dopo qualche resistenza, COGNOME aveva aderito alla richiesta e, sentito a sommarie informazioni, pur non chiarendo le ragioni per cui non aveva rinnovato il contratto a COGNOME, aveva ammesso di essere stato contattato e di essere a conoscenza che NOME non vedeva “di buon occhio” l’anzidetto rapporto di lavoro, la cui prosecuzione poteva essere fonte di problemi.
Alla luce di quanto presede non appaiono sussistere gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di estorsione, difettandone gli elementi del danno e profitto ingiusti.
Il Tribunale, con motivazione sintetica, si è limitato a fare riferimento al danno ingiusto patrimoniale, correlato alla perdita, per COGNOME, della chance di rinnovare il contratto di lavoro, senza, però, nulla aggiungere sulla seria possibilità per la persona offesa di raggiungere tale risultato.
L’affermazione del Tribunale risulta, quindi, meramente apodittica e distonica rispetto al principio di diritto enunciato da questa Corte, secondo cui nella nozione di danno patrimoniale, rilevante ai fini della configurabilità del delitto di estorsione, rientra anche la perdita di una seria e consistente possibilità di conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile, la cui sussistenza deve essere provata sulla base della nozione di causalità propria del diritto penale (Sez. U, n. 30016 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286656 – 01). In particolare, le Sezioni Unite hanno chiarito che, nel rispetto dei principi d tassatività e prevedibilità della norma incriminatrice, la nozione di chance, sulla
scia di quanto già affermato dalla giurisprudenza civile, va circoscritta alle sole ipotesi in cui vi sia una “seria e consistente possibilità di ottenere il risult sperato”. Da tale nozione va esclusa, quindi, ogni situazione che appaia in astratto, o solo genericamente, idonea ad incidere in termini negativi sulla sfera degli interessi economici di una persona (quali, ad esempio, la frustrazione di mere aspettative di fatto, o la perdita di scarse, se non addirittura nulle, possibilità di arricchimento o consolidamento dell’assetto economico-patrimoniale dell’interessato). Si è, pertanto, affermato che, ai fini della configurazione della fattispecie penale, occorre dimostrare in termini di certezza l’esistenza di un nesso causale tra la condotta colpevole e l’evento di danno, inteso quale possibilità perduta di ottenere un risultato migliore o più favorevole, distinguendo i profili della seria ed apprezzabile possibilità dalla mera speranza o dalla generica aspettativa del conseguimento di un risultato positivo.
I residui motivi del ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro stretta connessione, sono infondati.
Contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, il Tribunale ha illustrato le ragioni per cui ha ritenuto che NOME COGNOME era partecipe dell’associazione, tuttora capeggiata da NOME COGNOME e avesse compiuto anche attività distrattive nell’interesse del clan. In particolare, il Collegio della cautela affermato che «NOME COGNOME – soggetto che le acquisizioni investigative di cui al procedimento n. 1008/18 RGNR restituivano come uomo legato da saldissimo vincolo fiduciario a NOME NOME, colui che è stato qualificato con caratteri di attualità, uomo d’onore del gruppo mafioso – aveva prestato un fattivo contributo per garantire all’impresa RAGIONE_SOCIALE di mantenere e consolidare quella posizione di monopolio sul mercato, che, ben lungi dall’aver costituito la risultante di una peculiare capacità imprenditoriale denotata da colui che l’aveva in precedenza gestita, aveva piuttosto rappresentato la patologica attestazione del pervasivo potere della consorteria mafiosa sul territorio barcellonese». Il successo della ditta RAGIONE_SOCIALE, così come gli esorbitanti guadagni che nel tempo era riuscita a conseguire, erano quindi legati a doppio filo alla caratura criminale di colui che ne era stato l’effettivo titolare, cioè NOME COGNOME sino al momento in cui non era stato ristretto in carcere. In sua assenza (per quanto lo stesso, sebbene detenuto, avesse continuato ad incidere sulle più significative scelte gestionali), la sua opera era stata pervicacemente portata avanti dai suoi familiari anche grazie alla collaborazione prestata da COGNOME «Il ricorrente, così come i congiunti di Ofria, con l’assidua presenza all’interno dell’azienda, con la concreta gestione della ditta, con il sistema illecito delle vendite non contabilizzate che aveva orchestrato, con tutti i comportamenti sinteticamente
compendiati alle pagine 142 e seguenti dell’ordinanza custodiale hanno fornito un contributo essenziale ed imprescindibile all’ulteriore sviluppo di un’impresa che ha presentato nel passato connotati mafiosi e che detti tratti ha continuato a mantenere, nonostante i provvedimenti ablativi subiti. Detto apporto si è di riflesso tradotto in un contributo stabilmente assicurato alla stessa struttura malavitosa. COGNOME, con le condotte sopra descritte, ha innanzitutto permesso che rilevanti risorse economiche venissero indebitamente drenate dalle casse statali per assicurare il mantenimento agli Ofria nonché ad una pletora di associati di primo piano del consorzio in stato di detenzione. In tal modo, egli ha stabilmente assicurato ciò che rappresenta a tutti gli effetti un contributo decisivo per l’operatività della consorteria, specie in un contesto nel quale divenuta più difficile la raccolta del denaro attraverso i tradizionali canali (s tutte, le attività estorsiva, un tempo privilegiato strumento per rimpinguare la cassa sociale e in seguito divenuto a mezzo difficile da portare ad attuazione, stante la gravissima crisi economica che ha colpito il territorio, oltre che oltremodo pericoloso). Tantissimi sono gli associati raggiunti da provvedimenti di rigore e finiti in vincoli ai quali la congrega deve necessariamente provvedere, pena, in caso contrario, la sua rapida estinzione».
Al cospetto di tali riassuntive considerazioni va rilevato che il Tribunale sulla base degli elementi raccolti, rappresentati dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, oltre che dalle risultanze di a procedimenti – ha esposto le ragioni per cui ha ritenuto che il ricorrente fosse partecipe del sodalizio mafioso facente capo a NOME COGNOME e avesse consapevolmente compiuto attività, anche distrattive, nell’interesse del clan. Il menzionato Tribunale – con le già indicate argomentazioni – ha anche escluso, come invece prospettato dal ricorrente, che le attività illecite fossero da inserire in ambiti strettamente familiari, non collegati al sodalizio capeggiato da NOME COGNOME, di cui ha sottolineato, invece, la persistente permanenza nel clan e l’egemonia sul territorio esercitata attraverso la ditta mafiosa Bellinvia, riconducibile al medesimo e ai suoi familiari.
Ne discende che la motivazione dell’ordinanza impugnata, immune da illogicità ed errori di diritto, resiste a ogni rilievo censorio.
Alla luce di quanto sopra esposto, il provvedimento impugnato va annullato, limitatamente al reato di cui al capo 2), con rinvio per nuovo giudizio sulla gravità indiziaria al Tribunale di Messina, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Il ricorso deve essere rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’imputazione di cui al capo
2) e rinvia per nuovo giudizio su tale capo al Tribunale di Messina competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, cod. proc. pen. Rigetta il ricorso nel resto. Manda alla
disp. att. cod.
Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, proc. pen.
Così deciso il 4 luglio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente