Danno da Diffamazione: Quando il Risarcimento è Dovuto Anche Senza Prova del Pregiudizio
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in tema di danno da diffamazione nel contesto di un processo penale. La Suprema Corte ha chiarito che, per ottenere una condanna al risarcimento, non è indispensabile che la vittima dimostri di aver subito un danno concreto e quantificabile. È sufficiente che il giudice accerti la potenziale offensività delle espressioni utilizzate. Analizziamo insieme questa importante decisione.
Il Caso in Esame: Dalla Condanna al Ricorso in Cassazione
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di diffamazione, ai sensi dell’art. 595 del codice penale. La sentenza, emessa dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello, riteneva l’imputato responsabile di aver leso la reputazione di un’altra persona. Nonostante le due sentenze conformi, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, sperando di ottenere l’annullamento della condanna.
I Motivi del Ricorso: Responsabilità e Prova del Danno da Diffamazione
Il ricorrente basava la sua difesa su due argomenti principali:
1. Errata valutazione delle prove: Sosteneva che i giudici di merito avessero commesso un errore nel valutare gli elementi probatori, giungendo a un’ingiusta affermazione della sua responsabilità penale.
2. Mancanza di prova del danno: Contestava la condanna al risarcimento del danno, affermando che nel corso del processo non era emersa alcuna prova di un effettivo pregiudizio patito dalla persona offesa. Secondo questa tesi, in assenza di un danno dimostrato, non poteva esserci alcun risarcimento.
È proprio questo secondo punto a rappresentare l’aspetto di maggiore interesse giuridico della pronuncia.
La Decisione della Corte e il Principio sul Danno da Diffamazione
La Corte di Cassazione ha respinto entrambe le argomentazioni, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile.
Sul primo motivo, la Corte ha osservato che la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito era puntuale e basata su elementi di prova certi e idonei a fondare la responsabilità dell’imputato.
Sul secondo motivo, quello relativo al risarcimento, la Corte ha enunciato un principio consolidato e di grande rilevanza pratica.
Il Principio di Diritto: La Sufficienza della Capacità Lesiva
La Suprema Corte ha chiarito che, ai fini della condanna al risarcimento del danno in sede penale (ex art. 185 c.p.), non è necessario che il giudice svolga un’indagine approfondita sulla concreta esistenza del danno subito dalla vittima. Ciò che rileva è l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto illecito. In altre parole, se il comportamento dell’imputato è di per sé idoneo a offendere e a causare un pregiudizio, questo è sufficiente per giustificare una condanna al risarcimento del danno. Il danno è, in un certo senso, implicito nella stessa azione diffamatoria.
Le motivazioni
La motivazione della Corte si fonda su una chiara distinzione tra l’accertamento del reato in sede penale e la precisa quantificazione del danno, che è tipica del giudizio civile. Il giudice penale, una volta accertata la sussistenza del reato di diffamazione, riconosce che da tale reato deriva un danno risarcibile. La sua valutazione si concentra sulla natura offensiva della condotta e sulla sua attitudine a ledere un bene giuridico protetto, quale la reputazione. Non gli è richiesto di entrare nel dettaglio del pregiudizio specifico (economico, morale, esistenziale), essendo sufficiente riconoscere che un’offesa alla reputazione genera in re ipsa (nella cosa stessa) un danno meritevole di ristoro. Questa impostazione permette di non appesantire il processo penale con complesse indagini di natura civilistica, garantendo comunque una prima forma di tutela alla persona offesa.
Le conclusioni
L’ordinanza in commento consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. Per chi è vittima di diffamazione, significa che la strada per ottenere un risarcimento in sede penale è meno onerosa: non dovrà fornire prove complesse su come e quanto la sua reputazione sia stata danneggiata. Sarà sufficiente dimostrare la natura diffamatoria delle affermazioni subite. Per chi, invece, viene accusato di diffamazione, questa decisione chiarisce che difendersi sostenendo la mancanza di prova di un danno effettivo è una strategia destinata all’insuccesso. Il focus del giudizio rimane sulla condotta e sulla sua intrinseca capacità di ledere, un principio che rafforza la tutela della reputazione personale.
Per ottenere un risarcimento per diffamazione in un processo penale, è necessario dimostrare di aver subito un danno concreto?
No. Secondo la Corte di Cassazione, è sufficiente che il giudice accerti la potenziale capacità lesiva del fatto diffamatorio, non essendo richiesta un’indagine sulla concreta esistenza del pregiudizio subito dalla persona offesa.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero valutato correttamente le prove sulla responsabilità penale e che la richiesta di annullare il risarcimento del danno fosse basata su un’errata interpretazione della legge (art. 185 c.p.).
Cosa significa che un fatto ha “potenziale capacità lesiva”?
Significa che l’atto, per sua stessa natura, è idoneo e sufficiente a offendere la reputazione di una persona. La valutazione si concentra sulla potenzialità del danno insita nell’azione, a prescindere dalla dimostrazione di un suo effetto negativo specifico e misurabile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20521 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20521 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NOME il 21/01/1967
avverso la sentenza del 18/11/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Bari, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Trani, con la quale l’imputato era stato ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 595, commi primo e secondo, cod. pen.;
letta la memoria pervenuta in cancelleria via PEC in data 11 aprile 2025 a firma dell’avv. NOME COGNOME Difensore dell’imputato;
rilevato che, con il primo motivo, il ricorso deduce vizi di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità, lamentando un’erronea valutazione del quadro probatorio operata dai Giudici di merito;
ritenuto che esso sia manifestamente infondato, atteso che – come correttamente ed esaustivamente chiarito dalla Corte di appello – dai fatti e dagli accadimenti oggetto di giudizio emergevano elementi di prova certi e idonei a ritenere sussistente la responsabilità penale dell’imputato, senza alcun rinvio, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, a periodi storici indeterminati, atteso che i Giudici di merito hanno ricostruito in modo puntuale la vicenda diffamatoria contestata all’imputato;
rilevato che, con il secondo motivo, il ricorso denunzia la violazione dell’art. 185 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla valutazione della sussistenza di un danno risarcibile, lamentando che non vi fosse prova di un pregiudizio subito dalla persona offesa e che, quindi, non dovesse esservi alcun risarcimento in favore di quest’ultima;
ritenuto che esso sia manifestamente infondato, perché – come chiarito dalla Corte di merito a pag. 12 del provvedimento impugnato – non occorre, ai fini della condanna al risarcimento del danno, che il giudice penale indaghi sulla concreta esistenza del danno risarcibile, risultando in tal caso sufficiente l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso, come avvenuto nel caso di specie;
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso 23 aprile 2025