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Danno da contraffazione: liquidazione equitativa

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imprenditrice condannata per ricettazione e vendita di borse contraffatte. La sentenza conferma la legittimità della liquidazione equitativa del danno da contraffazione basata su parametri logici, come il valore unitario per prodotto, e ribadisce che le attenuanti generiche possono essere ridotte in presenza di un intenso dolo di profitto. La Corte ha inoltre sottolineato che la richiesta di riduzione della pena pecuniaria per difficoltà economiche deve essere supportata da prove concrete, assenti in questo caso.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Danno da contraffazione: quando la liquidazione equitativa è legittima?

La determinazione del danno da contraffazione rappresenta una delle sfide più complesse per i tribunali, specialmente quando è difficile quantificare con precisione il pregiudizio economico subito da un marchio. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui criteri che legittimano la liquidazione equitativa del danno, confermando la decisione dei giudici di merito che avevano condannato un’imprenditrice per la vendita di prodotti con marchi falsificati. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda la titolare di una società, condannata in primo e secondo grado per i reati di ricettazione e detenzione per la vendita di 233 borse con marchi contraffatti di note case di moda. La Corte di Appello, pur riconoscendo le attenuanti generiche, aveva rideterminato la pena e confermato la condanna al risarcimento dei danni in favore della società titolare di uno dei marchi, liquidando la somma in via equitativa.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Mancata concessione della sospensione condizionale della pena senza condizioni, lamentando una valutazione insufficiente della sua incensuratezza e del suo comportamento processuale.
2. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella massima estensione, contestando la motivazione basata sull’ ‘elevata intensità del dolo di profitto’.
3. Vizio di motivazione sulla quantificazione del danno, sostenendo che la liquidazione equitativa fosse avvenuta senza parametri oggettivi e in assenza di prove concrete sul danno subito dalla parte civile.
4. Omessa valutazione delle condizioni economiche dell’imputata nella determinazione della pena pecuniaria, in violazione dell’art. 133 bis del codice penale.

Analisi del danno da contraffazione e degli altri motivi di ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure sollevate. Per quanto riguarda il punto cruciale del danno da contraffazione, i giudici hanno stabilito che la valutazione operata dalla Corte di Appello era immune da vizi. La liquidazione, sebbene equitativa, non era arbitraria, ma ancorata a un parametro di riferimento logico e concreto: un importo di 100 euro per ciascuna delle borse contraffatte appartenenti al marchio costituito parte civile. Questo criterio è stato ritenuto congruo sulla base delle relazioni tecniche agli atti, che attestavano l’alta qualità della falsificazione, capace di ingannare il consumatore e di ledere l’immagine del brand.

Anche gli altri motivi sono stati giudicati infondati. La questione della sospensione condizionale era già stata decisa e non correttamente impugnata. Sulle attenuanti, la Corte ha specificato che la riduzione, di poco inferiore al massimo, era stata adeguatamente giustificata non dall’entità del profitto (mai quantificato), ma dall’intensità del dolo, ovvero dalla ‘pervicace volontà’ di trarre profitto illecito, dimostrata dal notevole numero di articoli detenuti.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su principi consolidati. In primo luogo, ha ribadito che la liquidazione equitativa del danno è un potere discrezionale del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se la motivazione è logica e non contraddittoria, come nel caso di specie. Il giudice non ha operato al buio, ma ha utilizzato le risultanze processuali per ancorare la sua valutazione a un criterio ragionevole.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che la valutazione del dolo ai fini della commisurazione della pena (art. 133 c.p.) è un elemento centrale. La Corte territoriale ha correttamente valorizzato non il profitto realizzato, ma l’intento criminale, ritenendolo un indice della gravità del reato tale da giustificare una riduzione non massima per le attenuanti generiche. Infine, per quanto riguarda l’applicazione dell’art. 133 bis c.p., la Cassazione ha ricordato che la riduzione della pena pecuniaria per condizioni economiche disagiate non è automatica, ma richiede che la sanzione appaia di ‘eccessiva gravosità’ e che l’imputato fornisca prove concrete a sostegno della sua richiesta, cosa non avvenuta.

Conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento secondo cui la quantificazione del danno da contraffazione può avvenire in via equitativa quando sia ancorata a parametri logici desumibili dagli atti processuali. La decisione riafferma l’importanza del ‘dolo di profitto’ come indice per calibrare la sanzione penale e chiarisce che le difficoltà economiche, per avere rilevanza sulla pena pecuniaria, devono essere concretamente documentate. Si tratta di un monito importante sulla necessità di strutturare i motivi di ricorso con argomentazioni solide e prove adeguate, pena la declaratoria di inammissibilità.

Quando un giudice può liquidare il danno da contraffazione in via equitativa?
Un giudice può procedere con una liquidazione equitativa del danno quando è impossibile o particolarmente difficile calcolarne l’esatto ammontare. Tuttavia, tale valutazione non può essere arbitraria, ma deve basarsi su criteri logici e aderenti alle risultanze processuali, come, nel caso di specie, un valore unitario per ogni prodotto contraffatto di alta qualità.

Perché non è stata ridotta la pena pecuniaria nonostante le lamentele sulle condizioni economiche?
La Corte ha ritenuto infondato questo motivo perché la riduzione della pena pecuniaria ai sensi dell’art. 133 bis c.p. presuppone una ‘eccessiva gravosità’ della sanzione che comporti una quasi impossibilità di pagamento. L’imputata non ha fornito alcuna documentazione a supporto delle sue modeste condizioni economiche e, inoltre, la sanzione finale di 300 euro è stata considerata non gravosa per chi esercita un’attività commerciale.

Il riconoscimento delle attenuanti generiche obbliga il giudice a concederle nella massima estensione?
No. La Corte ha chiarito che il giudice ha discrezionalità nel graduare la riduzione della pena. In questo caso, la riduzione, sebbene significativa, non è stata massima a causa del ‘marcato intento di profitto’ dimostrato dall’imputata, che deteneva un ingente numero di prodotti contraffatti pronti per la vendita. L’intensità del dolo è un fattore legittimo per limitare l’entità della diminuzione di pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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