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Danneggiamento seguito da incendio: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione conferma la condanna per tentato incendio, rigettando la tesi difensiva del mero danneggiamento seguito da incendio. La Corte chiarisce che l’intenzione di creare un fuoco incontrollabile, anche se a scopo intimidatorio, qualifica il reato come incendio, e non come semplice danneggiamento aggravato.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Incendio o Danneggiamento? La Cassazione chiarisce l’Elemento Psicologico

La distinzione tra il reato di incendio e quello di danneggiamento seguito da incendio rappresenta un tema cruciale nel diritto penale, con significative differenze in termini di pena e gravità. Una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale (Sent. n. 39251/2024) offre un’analisi dettagliata di questa linea di confine, concentrandosi sull’elemento psicologico dell’agente e sulla corretta qualificazione giuridica del fatto. Il caso esaminato riguarda un atto intimidatorio contro un’agenzia di servizi funebri, che ha portato la Suprema Corte a confermare la condanna per tentato incendio, rigettando le argomentazioni della difesa.

I Fatti del Processo

I fatti risalgono al 29 ottobre 2020, quando venne appiccato un fuoco all’esterno di un’agenzia di servizi funebri, situata in uno stabile residenziale. In primo grado, il Tribunale condannò l’imputato a 2 anni e 2 mesi di reclusione per il reato di incendio. Successivamente, la Corte d’Appello, in parziale riforma, riqualificò il fatto come tentato incendio, riducendo la pena a un anno e sei mesi.

L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, basandolo su tre motivi principali:
1. Errata qualificazione giuridica: secondo la difesa, il fatto doveva essere qualificato come danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.) e non come tentato incendio (art. 56 e 423 c.p.), data la limitata quantità di materiale infiammabile, la circoscritta area delle fiamme e l’intento puramente intimidatorio.
2. Inutilizzabilità delle dichiarazioni dei coimputati: la difesa contestava l’uso delle dichiarazioni accusatorie rese da altri soggetti coinvolti, sostenendo che non potessero essere usate contro l’imputato (contra alios) e che, in ogni caso, mancassero di riscontri esterni.
3. Mancato riconoscimento dell’attenuante del danno di lieve entità: si lamentava l’omessa motivazione della Corte d’Appello sulla richiesta di applicazione dell’attenuante, a fronte di un danno quantificato in poche centinaia di euro.

La distinzione tra incendio e danneggiamento seguito da incendio

Il cuore della pronuncia risiede nel primo motivo di ricorso. La Cassazione ribadisce un principio consolidato: il discrimine tra le due fattispecie di reato è l’elemento psicologico.
* Il reato di incendio (art. 423 c.p.) è sorretto da dolo generico: è sufficiente la coscienza e la volontà di cagionare una combustione di non lievi proporzioni, che tende a espandersi e non è facilmente controllabile.
* Il reato di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.) è invece caratterizzato da dolo specifico: l’agente utilizza il fuoco al solo scopo di danneggiare un bene, senza prevedere o volere che ne derivi un incendio con le caratteristiche di vastità e diffusività sopra descritte.

Nel caso specifico, lo scopo di “dare un segnale” al concorrente è irrilevante. Ciò che conta, secondo la Corte, è che l’agente avesse la consapevolezza e la volontà di provocare un fuoco potenzialmente incontrollabile. Questa consapevolezza è stata desunta da elementi oggettivi: l’uso di un combustibile altamente infiammabile, l’aver dato fuoco a materiali facilmente aggredibili, l’azione compiuta in orario notturno e la vicinanza di un alloggio privato al piano superiore. Tutti questi fattori denotano l’accettazione del rischio di un’espansione incontrollata delle fiamme.

La validità delle dichiarazioni e l’inammissibilità degli altri motivi

Anche gli altri due motivi di ricorso sono stati respinti dalla Corte.

Sul secondo punto, la Cassazione ha confermato che le dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria sono utilizzabili nel giudizio abbreviato anche nei confronti dei chiamati in correità. Inoltre, i giudici di merito avevano correttamente individuato i riscontri esterni necessari: i numerosi contatti telefonici tra gli imputati e le immagini delle telecamere che li ritraevano insieme il giorno prima del fatto, intenti a un sopralluogo.

Infine, il motivo relativo all’attenuante del danno di lieve entità è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha sottolineato che già in appello la richiesta era stata formulata in modo generico e assertivo (“qualche centinaio di euro”), senza alcun supporto probatorio. Un motivo di appello così formulato è inammissibile per difetto di specificità, e di conseguenza, il ricorso in Cassazione che lamenta la mancata risposta a un motivo inammissibile è a sua volta inammissibile per carenza di interesse.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso perché infondato in tutte le sue parti. La motivazione centrale si fonda sulla corretta applicazione dei principi giurisprudenziali che distinguono il dolo di incendio dal dolo di danneggiamento. La sentenza di appello aveva adeguatamente motivato la sussistenza della volontà di cagionare un incendio, basandosi su una serie di circostanze fattuali (orario notturno, materiale infiammabile, vicinanza di abitazioni) che rendevano evidente la consapevolezza della potenziale distruttività e difficile governabilità delle fiamme. Il ricorso dell’imputato è stato ritenuto inammissibile in quanto non si è confrontato specificamente con tale motivazione, limitandosi a riproporre una diversa interpretazione dei fatti. Anche gli altri motivi sono stati giudicati infondati o inammissibili, confermando la piena legittimità della decisione impugnata.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un importante principio: nell’analisi dei reati di incendio, l’intento ultimo dell’agente (es. intimidazione, vendetta) passa in secondo piano rispetto alla sua consapevolezza della natura del fuoco che sta innescando. Se l’azione è idonea a creare un pericolo diffuso e incontrollato, si configura il più grave reato di incendio, anche se solo tentato, e non il mero danneggiamento. La decisione sottolinea inoltre l’importanza della specificità dei motivi di impugnazione, la cui assenza porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, precludendo l’esame del merito della doglianza.

Qual è la differenza tra il reato di incendio (art. 423 c.p.) e quello di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.)?
La differenza risiede nell’elemento psicologico (dolo). Per il reato di incendio è sufficiente il dolo generico, cioè la volontà di cagionare una combustione di vaste proporzioni e difficilmente controllabile. Per il danneggiamento seguito da incendio, invece, è richiesto il dolo specifico di danneggiare, con l’incendio che si verifica come evento non voluto o previsto.

Le dichiarazioni spontanee rese da un co-imputato alla polizia sono utilizzabili contro un altro imputato in un processo con rito abbreviato?
Sì. La sentenza conferma l’orientamento consolidato secondo cui, nel sistema processuale del rito abbreviato, le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato alla polizia giudiziaria sono utilizzabili nei confronti dei chiamati in reità o in correità, a condizione che siano valutate secondo la regola di cui all’art. 192, comma 3, c.p.p. (valutazione unitamente ad altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità).

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità?
Perché il motivo di appello originario era a sua volta inammissibile per difetto di specificità. La difesa si era limitata ad affermare in modo generico e non provato che il danno ammontava a “qualche centinaio di euro”. Un ricorso in Cassazione che lamenta l’omessa risposta a un motivo di appello inammissibile è, a sua volta, inammissibile per carenza di interesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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