Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26365 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26365 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 29/10/1977 in Tunisia
NOMECOGNOME nato il 24/10/1991 in Tunisia
avverso la sentenza del 12/12/2024 dalla Corte d’appello di L’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato di danneggiamento perché l’azione penale non può essere proseguita per difetto della condizione di procedibilità.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di L’Aquila confermava la condanna in primo grado di NOME COGNOME per il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341-bis cod. pen.), per aver offeso la reputazione di un sovrintendente di polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Teramo, recatosi e verificare lo stato di salute di alcuni detenuti tra cui l’imputato stesso (capo a).
Confermava anche la condanna in primo grado del medesimo COGNOME e di Hassen Bel Ami per i delitti di resistenza a pubblico ufficiale e di danneggiamento aggravato (artt. 337 e 635, comma 2, cod. pen.) perché, con minacce consistite nel porre in essere gravi atti vandalici all’interno della loro cella in modo da mettere a repentaglio l’incolumità di un agente di vigilanza sopraggiunto per accertare le cause dello stato di agitazione segnalato nella loro sezione, danneggiavano irrimediabilmente un televisore, spezzavano le gambe di un tavolo, che brandivano contro il suddetto agente di polizia penitenziaria, e davano fuoco a stracci ed indumenti per tenere l’agente lontano, così opponendosi al compimento di atti del suo ufficio.
Avverso la sentenza hanno presentato ricorso i due imputati.
Nell’unico motivo in cui si articola il ricorso di NOME COGNOME è dedotta violazione di legge penale e vizio di motivazione in rapporto alla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen, in relazione al danneggiamento.
Sebbene, nel caso di specie, il danno fosse stato esiguo, la Corte di appello ha fatto esclusivo riferimento al dato generico del numero di beni distrutti, appartenenti all’amministrazione penitenziaria, senza operare quella valutazione complessa e congiunta delle peculiarità del caso concreto, alla luce dei parametri di cui all’art 133 cod. pen., che è invece richiesta dalla giurisprudenza di legittimità.
Il ricorso di NOME COGNOME consta di due motivi.
4.1. Violazione di legge penale vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del delitto di oltraggio.
Difetta il requisito della pluralità di persone, dal momento che ai fatti contestati assistettero soltanto pubblici ufficiali.
Infatti, la Corte d’appello: per un verso, ha tenuto conto della presenza dell’infermiere nella sua veste professionale, considerandolo un “estraneo”, laddove, invece, nel contesto in cui fu chiamato ad operare, egli intervenne
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nell’esercizio delle proprie funzioni e, quindi, come pubblico ufficiale; per altro verso, ha attribuito rilievo alla percezione delle offese da parte di altri detenut come solo possibile. Ha cioè svolto un giudizio ipotetico, trascurando la brevissima durata complessiva del fatto e non adducendo a sostegno della congettura circostanze concrete.
4.2. Violazione della legge penale sostanziale e processuale in relazione alla fattispecie di danneggiamento quanto al difetto della condizione di procedibilità.
L’art. 1, comma 1, lett. b) d. Igs. 19 marzo 2024, n. 31, entrato in vigore in data 4 aprile dello stesso anno, ha disposto la procedibilità a querela del reato di danneggiamento delle cose indicate all’art. 625, n. 7), cod. pen.
Il d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31, ha disposto (art. 9, comma 1) che «per il delitto di cui all’articolo 635 del codice penale, commesso prima della data di entrata in vigore del presente decreto, quando il fatto è commesso su cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, si osservano le disposizioni dell’articolo 85 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, con legge 30 dicembre 2022, n. 199, ma i termini ivi previsti decorrono dalla data di entrata in vigore del presente decreto».
Nel caso di specie, la persona offesa, Casa circondariale di Teramo, non sembra aver presentato querela. Di conseguenza, la Corte d’appello avrebbe dovuto pronunciare sentenza di non doversi procedere per difetto della condizione di procedibilità.
NOME COGNOME ha presentato conclusioni scritte in cui insiste per la non perseguibilità del delitto di danneggiamento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
1.1. Ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilit per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizi sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’ar 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevant (tra le altre, Sez. 7, Ord. n. 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044; Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, COGNOME Rv. 274647).
1.2. La Corte di appello si è conformata a tale insegnamento di legittimità, avendo argomentato il difetto dell’esiguità del danno dal numero di beni
kr irreparabilmente distrutti e, dunque, svolgendo un apprezzamento discrezionale, che, in quanto correttamente motivato, sfugge al sindacato di questa Corte.
Del pari inammissibili sono i due motivi di cui consta il ricorso di NOME COGNOME i.
2.1. Quanto al primo, è opportuno preliminarmente ricordare che, in tema di oltraggio, l’offesa all’onore ed al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di almeno due persone, tra le quali non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall’offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni, essendo integrato il requisito della pluralità d persone unicamente da persone estranee alla pubblica amministrazione (ossia dai “civili”), ovvero da persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spazio-temporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente (Sez. 6, n. 6604 del 18/01/2022, COGNOME, Rv. 282999; in senso analogo, Sez. 6, n. 30136 del 09/06/2021, COGNOME, Rv. 281838).
E’ altresì utile precisare che, sempre ai fini della configurabilità del reato, ritiene necessaria la prova della presenza di più persone, sicché solo ove risulti accertata tale circostanza sarà sufficiente a far ritenere integrato il reato l mera possibilità della percezione dell’offesa da parte dei presenti (Sez. 6, n. 29406 del 06/06/2018, COGNOME, Rv. 273466): affermazione che sottende quella speculare sulla configurabilità del reato in base alla tacita quanto solida massima di esperienza secondo cui, se sono presenti più persone, nel senso poc’anzi precisato, esse odano le parole proferite (veppiù se a voce molto alta) al loro cospetto.
Alla luce di tali principi di diritto, deve allora convenirsi con il ricorr quando afferma che, ai fini dell’integrazione della pluralità di persone, requisito costitutivo della fattispecie di cui all’art. 341-bis cod. pen., non avrebbe dovuto essere considerata la presenza dell’infermiere. Di questi la sentenza impugnata espressamente dice che era «intervenuto sul posto», lasciando quindi intendere che lo avesse fatto per ragioni di servizio.
Non altrettanto può invece dirsi della deduzione difensiva sul carattere meramente ipotetico della motivazione, là dove postula la percezione delle offese da parte degli altri detenuti: la cui assenza non risulta dimostrata nel ricorso ed appare, anzi, altamente inverosimile, i fatti essendo stati realizzati nel contesto di una sommossa in carcere.
2.2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, sulla dedotta perseguibilità a querela del danneggiamento.
Premesso che, l’art. 635, comma 2, cod. pen. prevede il fatto di chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili, tra le al
cose, «edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all’esercizio di un culto o immobili compresi nel perimetro dei centri storici, ovvero immobili i cui lavori di costruzione,
di ristrutturazione, di recupero o di risanamento sono in corso o risultano ultimati o altre delle cose indicate nel numero 7) dell’articolo 625» e ricordato altresì che
l’art. 625, n. 7, cod. pen. fa riferimento al fatto «commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o esposte
per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza», va precisato come, ai
sensi dell’art. 635, ult. comma, cod. pen: «Nei casi previsti dal primo comma, nonché dal secondo comma, numero 1), limitatamente ai fatti commessi su cose
esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, ai sensi dell’articolo 625, primo comma, numero 7), il delitto è punibile a querela
della persona offesa» (con le eccezioni del fatto commesso in occasione del delitto previsto dall’art. 331 cod. pen. e dell’incapacità della persona offesa).
Dal combinato delle disposizioni in oggetto si evince che il legislatore ha inteso riservare la procedibilità a querela al danneggiamento di cose esposte per necessità etc. alla pubblica fede, ma non anche – in modo peraltro coerente – a quelle «esistenti in uffici o stabilimenti pubblici»: quali sono i beni che si trovavano nella cella e che, come pure specificato nel capo di imputazione b), erano senza dubbio «di proprietà dell’amministrazione penitenziaria».
Entrambi i ricorsi devono essere, dunque, dichiarati inammissibili.
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
spese processuali e al versamento della somma di tremi euro alla Cassa delle ammende. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
Così deciso il 11/06/2025