Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13948 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13948 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/06/2023 della CORTE APPELLO di TRENTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le richieste del PG NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
sentite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Trento, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 23 settembre 2021 dal Gup del Tribunale di Trento, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, ha condannato NOME COGNOME, per il reato di cui all’art. 635 cod. pen.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, articolando quattro motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., dal momento che la condotta di danneggiamento emergerebbe dagli atti da un’unica fonte dichiarativa (la relazione dell’agente COGNOME), che si paleserebbe in più punti incoerente con altre emergenze procedimentali (in particolare, le immagini della videosicurezza), di modo che sarebbe stato necessario procedere all’escussione del suddetto operante.
2.2. Con il secondo motivo, la difesa censura – sempre sotto il profilo della violazione di legge – la mancata rinnovazione istruttoria, anche mediante nuova visione del filmato in contraddittorio.
2.3. Il terzo motivo è diretto a contestare la sussistenza del dolo di legge, dal momento che dalla particolare severità dell’intervento della Polizia penitenziaria sarebbe disceso un gesto inconsulto di stizza, privo dell’intenzione di danneggiare i beni dell’Amministrazione.
2.4. Con il quarto motivo, la difesa si duole del mancato riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 131-bis cod. pen., avuto riguardo alla presentazione di scuse e alla proposta di risarcimento.
All’odierna udienza pubblica, le parti hanno concluso come da epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo, innanzitutto, non si confronta in concreto con l’apparato argonnentativo della sentenza impugnata, ove, per quanto qui rileva, si ricostruisce l’intera vicenda, anche per quello che riguarda le dinamiche del foro interno, sulla sola base del filmato che riprende l’intera condotta contestata all’imputato, prescindendo da ogni altro elemento probatorio e procedendo poi a corrette valutazioni in punto di diritto. Una volta, infatti, desunta dalla dire interpretazione dei fotogrammi, nella pienezza della giurisdizione di merito, la totale volontarietà del gesto (pugno contro la cassetta di custodia dell’estintore), le conclusioni in iure sono conformi all’insegnamento di questa Corte regolatrice, come meglio specificato in fra.
Le censure in questione risultano dunque insuperabilmente generiche e comunque manifestamente infondate, non potendosi riconoscere a un atto amministrativo la natura di «prova dichiarativa» e non di documento.
La Corte tridentina ha dato ampiamente conto, commentando l’intera sequenza registrata dalle telecamere dell’Istituto penitenziario, di avere visionato con attenzione il video contenuto nel fascicolo del dibattimento.
Il chiaro disposto dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., prevede, conformemente a una risalente esegesi giurisprudenziale, la rinnovazione dell’istruttoria «nei soli casi di prove dichiarative». L’estensione del precetto anche
alle prove documentali, auspicata dal ricorrente, confligge con l’insuperabile dato testuale, con la ratio della legge (che tiene conto delle peculiarità delle fonti orali e dell’assoluta opportunità di una loro audizione diretta ai fini del decidere, in particolare in caso di overtuming sfavorevole), nonché con il principio di economia dei mezzi processuali, quale corollario della ragionevole durata del processo.
Il secondo motivo risulta quindi connotato da manifesta infondatezza.
Correttamente, la Corte territoriale afferma la sufficienza della sola coscienza e volontà dell’azione di danneggiamento, dal momento che la norma incriminatrice prevede il solo dolo generico, se del caso declinato anche nella forma eventuale, senza essere qualificato da alcun fine specifico (Sez. 2, n. 20793 del 15/04/2016, COGNOME, Rv. 267038; Sez. 6, n. 35898 del 18/09/2012 Adragna, Rv. 253350; Sez. 2, n. 15102 del 14/03/2007, S., Rv. 236461).
Ferma restando l’intangibilità in questa sede della ricostruzione della vicenda operata dai giudici di merito (anche per quanto attiene ai momenti immediatamente precedenti alla commissione del reato), restano altresì irrilevanti, ex art. 90 cod. pen., al fine di escludere l’elemento soggettivo, gli stati emotivi non inseriti in un quadro più ampio di infermità, che possono essere apprezzati, se del caso, unicamente sul piano della dosimetria della pena (Sez. 6, n. 39457 del 07/07/2023, P., Rv. 285643; Sez. 5, n. 9843 del 16/01/2013, COGNOME, Rv. 255226. Cfr. anche Sez. 5, n. 25936 del 13/02/2017, S., Rv. 270345, e Sez. 3, n. 14742 del 11/02/2016, P., Rv. 266634, secondo cui lo stato di nervosismo e di risentimento non esclude l’elemento psicologico del reato, costituendo, al contrario, solo uno dei possibili moventi dell’ipotesi delittuosa).
Quanto al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, occorre rilevare come l’applicazione di tale causa di esclusione della punibilità non sia stata invocata in appello. Nonostante, invero, l’impossibilità di dedurre la questione con l’atto di impugnazione, data la pronuncia assolutoria di primo grado, sarebbe stato onere della parte, quantomeno nell’ambito della discussione finale, sollecitare in tal senso la Corte tridentina, anche mediante conclusioni presentate in via meramente subordinata (cfr. anche, in tema di sospensione condizionale della pena, ma con principio di diritto esportabile anche al caso di specie, Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376, secondo cui, fermo l’obbligo del giudice di appello di motivare circa il mancato esercizio del poteredovere di applicazione del beneficio, in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito).
Nel caso di specie, nel verbale dell’udienza camerale partecipata del 7 giugno 2023, si dà atto che il difensore presente si è limitato a insistere per la conferma
della sentenza di primo grado. Nessuna lacuna motivazionale può dunque essere rimproverata ai giudici di appello, i quali anzi hanno correttamente tenuto conto dell’avvenuto risarcimento del danno, riconoscendo l’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen. (in regime di equivalenza rispetto alla recidiva specifica infraquinquennale contestata e ritenuta, in considerazione del breve lasso cronologico intercorso rispetto all’ultima delle numerose condanne precedenti, a cui aveva fatto seguito un’ulteriore condanna per resistenza a pubblico ufficiale). In tal modo, è stata in ogni caso serenamente esaminata ex officio la concreta offensività del fatto di reato, altresì implicitamente lumeggiando l’abitualità de comportamenti eteroaggressivi (ostativa ex art. 131-bis cod. pen.).
Il motivo di ricorso, che involge valutazioni schiettamente di merito (quali, ad esempio, l’apprezzamento della presentazione di scuse da parte dell’imputato), non può dunque essere sottoposto per la prima volta alla Corte di legittimità e risulterebbe comunque manifestamente infondato.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 6 marzo 2024