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Danneggiamento con minaccia: quando si configura?

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per danneggiamento con minaccia a carico di un uomo che, dopo aver minacciato di morte il proprietario di un negozio, ne aveva immediatamente danneggiato la vetrina. La Corte ha stabilito che per integrare tale reato non è necessario un nesso strumentale tra la minaccia e il danneggiamento, essendo sufficiente che i due atti siano commessi in un unico contesto temporale, esprimendo una maggiore pericolosità dell’agente.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Danneggiamento con Minaccia: Legame Strumentale o Occasionale?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22834/2025, offre un importante chiarimento sulla configurabilità del reato di danneggiamento con minaccia, previsto dall’art. 635 del codice penale. La decisione affronta la questione cruciale del tipo di legame che deve esistere tra la condotta minacciosa e l’atto di danneggiamento, stabilendo che non è necessaria una relazione strumentale, ma è sufficiente un nesso di mera occasionalità e contestualità.

I fatti del caso: Dalla minaccia al calcio sulla vetrina

Il caso trae origine da un episodio in cui un individuo, al culmine di un alterco con il titolare di un’attività commerciale, prima lo minacciava di morte e, subito dopo, sferrava un violento calcio alla vetrina del negozio, danneggiandola. In primo grado, l’imputato era stato condannato per minaccia grave e per danneggiamento di cose esposte alla pubblica fede. La Corte d’Appello, tuttavia, riformava parzialmente la sentenza: assorbiva il reato di minaccia in quello di danneggiamento, riqualificando quest’ultimo come danneggiamento con minaccia e rideterminava la pena.

I motivi del ricorso in Cassazione

L’imputato ricorreva in Cassazione basando la sua difesa su tre motivi principali:

1. Violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza: Sosteneva di essere stato condannato per un fatto diverso da quello contestato, poiché l’accusa originaria era di danneggiamento di beni esposti a pubblica fede e non di danneggiamento commesso con minaccia.
2. Erronea applicazione della legge penale: Affermava che la minaccia era stata una condotta autonoma e già conclusa al momento del danneggiamento, priva di quel nesso strumentale necessario, a suo dire, per integrare la fattispecie più grave.
3. Violazione del divieto di reformatio in peius: Riteneva che la riqualificazione operata dalla Corte d’Appello avesse portato a una condanna per un reato più grave, peggiorando la sua posizione in un giudizio avviato solo su suo appello.

Le motivazioni della Suprema Corte sul danneggiamento con minaccia

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi del ricorso, fornendo un’analisi dettagliata e coerente.

In primo luogo, ha escluso la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Gli Ermellini hanno osservato che il capo d’imputazione originario descriveva chiaramente la sequenza dei fatti, specificando che il danneggiamento era avvenuto “dopo avere minacciato di morte il titolare”. L’elemento della minaccia era quindi già presente nella contestazione fattuale, consentendo alla Corte d’Appello di procedere a una diversa qualificazione giuridica senza ledere il diritto di difesa.

Il punto centrale della sentenza riguarda il secondo motivo. La Corte ha chiarito l’interpretazione del “nuovo” art. 635 c.p., come modificato nel 2016. La norma, che eleva il danneggiamento commesso “con violenza alla persona o con minaccia” a fattispecie autonoma di reato, non richiede un nesso di strumentalità. In altre parole, non è necessario che la minaccia sia il mezzo per realizzare il danneggiamento. È invece sufficiente che la minaccia sia commessa in occasione del danneggiamento (immediatamente prima, durante o subito dopo), in un contesto unitario che dimostri la maggiore pericolosità dell’agente. Nel caso di specie, la stretta successione tra la minaccia (“ti ammazzo”) e il calcio alla vetrina integrava pienamente questo requisito.

Infine, è stato respinto anche il motivo sul divieto di reformatio in peius. Poiché la riqualificazione in danneggiamento con minaccia si basava su fatti già contestati, la Corte d’Appello ha legittimamente esercitato i suoi poteri di cognizione, senza introdurre elementi nuovi e peggiorativi non presenti nel giudizio di primo grado.

Le conclusioni: cosa impariamo da questa sentenza

La decisione della Cassazione consolida un orientamento interpretativo di grande importanza pratica. Stabilisce che la gravità del reato di danneggiamento è accentuata non solo quando la minaccia è funzionale a vincere la resistenza della vittima, ma anche quando è semplicemente contestuale all’azione dannosa. Questo approccio riconosce che la combinazione di minaccia e danneggiamento, anche se solo occasionale, rivela una pericolosità sociale dell’autore che giustifica una risposta sanzionatoria più severa. La sentenza ribadisce, inoltre, i limiti e i poteri del giudice d’appello nella riqualificazione del fatto, sempre nel rispetto del principio di correlazione tra l’accusa e la decisione finale.

Per configurare il reato di danneggiamento con minaccia, è necessario che la minaccia sia lo strumento per compiere il danno?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è necessario un nesso strumentale. È sufficiente che la minaccia e il danneggiamento avvengano in un unico contesto temporale (immediatamente prima, durante o subito dopo), poiché ciò esprime una maggiore pericolosità dell’agente.

Una corte d’appello può qualificare un reato in modo più grave rispetto al primo grado se a ricorrere è solo l’imputato?
Sì, ma solo se la nuova e più grave qualificazione giuridica si basa sugli stessi fatti già contestati nel capo d’imputazione originario. Non si viola il divieto di reformatio in peius se la corte si limita a una diversa valutazione giuridica di elementi fattuali già noti e contestati all’imputato.

Cosa si intende per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza?
Si ha una violazione di tale principio quando un imputato viene condannato per un fatto storico diverso da quello descritto nel capo d’imputazione. Nel caso esaminato, la Corte ha escluso la violazione perché la circostanza della minaccia era già esplicitamente menzionata nella descrizione del fatto contestato, anche se il primo giudice l’aveva qualificata diversamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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