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Danneggiamento beni culturali: continuità normativa

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di danneggiamento beni culturali, stabilendo un importante principio di continuità normativa. Un individuo, condannato per aver danneggiato siti archeologici, ha sostenuto che la nuova legge (art. 518-duodecies c.p.) avesse abrogato il reato precedente. La Corte ha respinto questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile. Ha chiarito che non vi è stata alcuna abolizione del reato, ma solo una sua ricollocazione all’interno del codice penale con pene più severe. Pertanto, le condotte illecite commesse prima della riforma restano punibili secondo la vecchia normativa, garantendo una tutela ininterrotta del patrimonio culturale.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Danneggiamento Beni Culturali: la Cassazione Conferma la Continuità Normativa

Il tema del danneggiamento beni culturali è al centro di una recente e significativa pronuncia della Corte di Cassazione, che ha chiarito un punto cruciale riguardante le modifiche legislative in materia. La sentenza n. 39603/2024 affronta la questione della successione di leggi nel tempo, stabilendo che la nuova normativa sui reati contro il patrimonio culturale non ha creato alcuna “zona franca” per i reati commessi in passato, ma ha anzi rafforzato la tutela esistente.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’appello di Napoli nei confronti di un individuo per reati legati al danneggiamento di siti archeologici, commessi tra il 2014 e il 2017. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su un’argomentazione principale: l’abrogazione della norma originariamente contestata e l’introduzione del nuovo articolo 518-duodecies del codice penale avrebbero, a suo dire, cancellato il reato (c.d. abolitio criminis). In sostanza, sosteneva che la sua condotta, pur essendo illecita al momento dei fatti, non fosse più punibile a causa del cambiamento legislativo.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando completamente la tesi difensiva. I giudici hanno affermato con chiarezza che non vi è stata alcuna interruzione nella punibilità delle condotte di danneggiamento di beni di interesse storico o artistico. La riforma legislativa non ha decriminalizzato i fatti, ma li ha semplicemente ricollocati in una nuova sezione del codice penale dedicata ai delitti contro il patrimonio culturale, prevedendo peraltro un trattamento sanzionatorio più severo.

Le Motivazioni: Continuità Normativa nel Danneggiamento Beni Culturali

Il cuore della decisione risiede nel principio di continuità normativa. La Corte ha ricostruito l’evoluzione legislativa della fattispecie.

Inizialmente, il danneggiamento di cose di interesse storico o artistico era previsto come una circostanza aggravante del reato di danneggiamento comune (art. 635 c.p.). Successivamente, con la riforma del 2016, questa aggravante è stata trasformata in un reato autonomo, pur rimanendo all’interno dello stesso articolo 635 c.p.

Infine, la legge n. 22 del 2022 ha introdotto un nuovo titolo nel codice penale (VIII-bis), dedicato specificamente ai “Delitti contro il patrimonio culturale”, e ha inserito l’articolo 518-duodecies, che ora punisce la “Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici”. Contestualmente, ha soppresso il riferimento a tali beni dall’articolo 635.

Secondo la Cassazione, questa operazione non è un’abrogazione, ma un fenomeno di “abrogatio sine abolitione“, ovvero una successione di leggi che mantiene intatto il disvalore penale della condotta. Il delitto di danneggiamento di beni culturali non è stato cancellato, ma semplicemente spostato in una sede più appropriata del codice, riconoscendone una specifica autonomia e gravità. Tra la vecchia e la nuova norma esiste un rapporto di specialità, dove la nuova fattispecie è del tutto sovrapponibile a quella precedente per quanto riguarda le condotte di distruzione e deterioramento. L’unico vero elemento di novità è l’incriminazione della condotta di “rendere non fruibili” i beni culturali, che non rileva nel caso di specie.

Di conseguenza, ciò che cambia è solo il trattamento sanzionatorio. La nuova norma prevede pene più aspre (reclusione da due a cinque anni e multa), ma per il principio del favor rei, queste non possono essere applicate retroattivamente a fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Tali fatti restano quindi punibili secondo la legge vigente all’epoca, che prevedeva una pena da sei mesi a tre anni di reclusione.

Le Conclusioni

La sentenza della Cassazione consolida un principio fondamentale: le riforme legislative volte a riorganizzare e rafforzare la tutela del patrimonio culturale non devono essere interpretate come un’occasione per vanificare la responsabilità penale per i reati pregressi. La continuità normativa assicura che il passaggio da una legge all’altra non crei vuoti di tutela, ma segni un percorso di progressivo inasprimento della risposta sanzionatoria dello Stato di fronte a condotte che offendono l’identità culturale della nazione. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, il messaggio è chiaro: l’attacco al patrimonio storico e artistico è e rimane un reato grave, la cui repressione è garantita senza soluzione di continuità.

La nuova legge sul danneggiamento di beni culturali (art. 518-duodecies c.p.) ha cancellato i reati commessi in precedenza?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non vi è stata alcuna cancellazione del reato (abolitio criminis). La nuova legge ha solo ricollocato la fattispecie in una nuova sezione del codice penale, mantenendo la punibilità delle condotte commesse prima della sua entrata in vigore.

Cosa si intende per “continuità normativa” in questo contesto?
Significa che, nonostante la modifica formale delle norme, la condotta di danneggiare beni di interesse storico o artistico è rimasta ininterrottamente prevista come reato. La nuova norma è in continuità con la precedente, e tra le due esiste un rapporto di specialità.

Qual è la conseguenza della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la conferma della condanna. Inoltre, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali, al versamento di una somma alla cassa delle ammende e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile (Ministero della Cultura).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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