Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27177 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27177 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Chieti il 28/11/1986
avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila in data 07/01/2025 uditala relazione del consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni scritte dell’avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME COGNOME il quale ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 07/01/2025, la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Pescara del 24/03/2023, con la quale NOME COGNOME è stato condannato, in concorso con altri imputati non ricorrenti, alla pena ritenuta di giustizia in ordine al delitto di cui agli artt. 110, 635, comma 2, n. 1, in relazione all’art. 625, n. 7 cod. pen.
2.Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME
affidandolo ai seguenti motivi:
2.1.violazione di legge per l’omessa pronuncia di una sentenza di non doversi procedere per mancanza di querela, in relazione all’ipotesi danneggiamento di cui agli artt. 635, comma 2, n. 1, 625, n. 7 cod. pen., divenuto procedibile a querela a seguito della modifica introdotta dal d.lgs. 31/2024.
2.2.0messa motivazione in relazione ai rilievi difensivi con i quali era stata eccepita l’improcedibilità per difetto di querela, dovuta al mancato accertamento della categoria di appartenenza della res danneggiata. A tale riguardo il ricorrente osserva che l’intervento del giudice di appello, il quale ha ritenuto che il danneggiamento fosse connotato dal fatto di essere stato commesso su una res avente funzione commemorativa, avrebbe violato del principio di correlazione tra accusa e sentenza sancito dall’art. 521, comma 2, cod. proc. pen.
2.3. Violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. poiché, in presenza di un reato contro il patrimonio, la Corte ha escluso la sussistenza della particolare tenuità del fatto valorizzando la funzione simbolica della res.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è basato su motivi in parte infondati, in parte inammissibili e, pertanto, va rigettato.
2.1 primi due motivi che denunciano violazione di legge per l’omessa declaratoria di improcedibilità del reato per difetto di querela, l’omessa motivazione sulla questione relativa all’individuazione della categoria circostanziale cui ricondurre l’ipotesi contestata, la violazione del principio di cui all’art. 521 cod. proc. pen. e l’omessa motivazione sulla richiesta di improcedibilità, sono connessi e verranno trattati unitariamente.
Rileva il Collegio che la Corte di merito, a pag. 5 della sentenza impugnata, ha motivato non solo sulla gravità del fatto, ritenendo che lo stesso, valutato nel suo complesso ed avuto riguardo all’entità dell’offesa, non potesse giustificare l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., ma ha anche specificato le ragioni per le quali l’ipotesi di danneggiamento contestato, ex art. 625 n. 7 cod. pen., data la destinazione della res a pubblica reverenza, non fosse perseguibile a querela.
Pacifico che l’imputato ha danneggiato, rendendola inservibile, la corona di alloro
posta dal Comune di Pescara a commemorazione delle vittime delle Foibe, la Corte di appello ha precisato che si trattava di danneggiamento commesso su un bene avente un significato simbolico ed una funzione commemorativa e cioè su una cosa destinata a pubblica reverenza che, in quanto tale, non rientra tra le ipotesi di danneggiamento divenuto procedibile a querela.
3.0ccorre precisare che il legislatore è intervenuto a più riprese sul regime di procedibilità del delitto di danneggiamento di cui all’art. 635 cod. pen.
Dapprima, con l’introduzione del comma quinto (ex art. 2, comma 2, lett. n) d.lgs.150/2022) ha reso procedibile a querela l’ipotesi di danneggiamento prevista dal comma primo (fatto commesso su cose mobili o immobili altrui commesso con violenza alla persona o con minaccia) lasciando impregiudicata la procedibilità d’ufficio “se il fatto è commesso in occasione del delitto previsto dall’art. 331 cod. pen. ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità”.
Successivamente, con l’art. 1, comma 1, lettera b) d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31,), ha esteso la procedibilità a querela ai casi previsti dal secondo comma, numero 1) dell’art. 635 “limitatamente ai fatti commessi su cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, ai sensi dell’articolo 625, primo comma, numero 7)”.
Dal confronto letterale delle due norme (artt. 635 comma quinto e 625, comma primo, n. 7 cod. pen.) risulta quindi che la procedibilità a querela riguarda solo una parte dei casi previsti dall’art. 625 n.7 cod. pen., e cioè i fatti commessi su cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede; esulano dal regime di procedibilità a querela di parte, le ulteriori ipotesi previste dall’art. 625 n.7 cod. pen., e cioè i fatti commessi su cose destinate a pubblico servizio, o a pubblica utilità e difesa o reverenza rispetto alle quali viene in rilievo non già la dimensione patrimoniale o privatistica dell’offesa (come nelle ipotesi contemplate dal primo comma dell’art. 635: danneggiamento su cose altrui, commesso con violenza alla persona o con minaccia) ovvero la condizione in cui si trova la cosa (come nelle ipotesi di cui al secondo comma n. 1 dell’art. 635: danneggiamento su cosa esposta per necessità, consuetudine o per destinazione alla pubblica fede), ma la funzione pubblicistica, in sé, della cosa la cui offesa si riverbera in un contesto pubblicistico.
Osserva il Collegio, infatti, che le cose destinate a pubblica reverenza sono quelle cui la generalità dei cittadini guarda con un senso di rispetto, timore e compunzione, in quanto collegate al mondo religioso, al culto dei defunti, alle più alte idealità civili. La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che
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l’aggravante in parola prevista dall’art. 625, n. 7, ultima parte cod. pen., sussiste quando le cose abbiano una funzione di culto o di devozione, in quanto rispettate dalla generalità dei consociati per essere espressione del sentimento religioso o di elevati valori civili (Sez. 6, n. 29820 del 24/04/2012, Rv.253174; Sez. 5, Sentenza n. 22558 del 17/04/2024 Rv. 286505Ud).
Nella specie, il giudice di appello con motivazione logica e giuridicamente conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità ha ritenuto integrata l’ipotesi circostanziale di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen. che rende il reato procedibile d’ufficio, avuto riguardo alla funzione commemorativa e simbolica della res. Tale modus procedendi non ha dato luogo alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, come asserito nel ricorso, poiché il capo di imputazione, che fa espresso riferimento alla corona d’alloro posta dal Comune di Pescara in occasione della ricorrenza della commemorazione delle vittime delle Foibe, descrive negli stessi termini la condotta attribuita all’imputato al quale è stato consentito di difendersi ab origine sull’oggetto dell’addebito (Sez. 5, n.37434 del 19/05/2023, Rv. 285336).
Le Sezioni Unite di questa Corte – chiamate a pronunciarsi sulla ritualità della contestazione, con riferimento al delitto falso in atto pubblico, dell’ipotesi aggravata prevista dall’art. 476, comma 2, cod. pen. hanno chiarito, in generale, che “l’ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi delle stesse. Questo aspetto, infatti, determina inevitabilmente il livello di precisione e determinatezza che rende l’indicazione di tali elementi, nell’imputazione contestata, sufficiente a garantire la puntuale comprensione del contenuto dell’accusa da parte dell’imputato” (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Rv. 275436, Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Rv. 248051).
In effetti, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, la giurisprudenza ha chiarito che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in
ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551/2010, cit.); con la conseguenza che “il principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta
violato quando nei fatti, rispettivamente descritti e ritenuti, non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro,
in rapporto di eterogeneità ed incompatibilità, rendendo impossibile per l’imputato difendersi” (Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Rv. 281477; Sez. 4, n.
4497 del 16/12/2015, Rv. 265946; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, Rv.
254888).
Nel caso di specie, gli elementi fattuali propri della circostanza aggravante e cioè
la funzione commemorativa della cosa, nei termini predetti, sono stati ritualmente contestati; in relazione ad essi la Corte di merito ha qualificato il
fatto circostanziato; l’imputato ben ha potuto esercitare il diritto di difesa, tanto che nell’atto di appello ha anche rassegnato che il fatto non avrebbe dovuto
qualificarsi come aggravato dalla funzione di culto o di devozione della res.
Pertanto, alla luce di quanto complessivamente esposto, le doglianze difensive riportate nei primi due motivi di ricorso vanno rigettate.
4.11 terzo motivo è inammissibile perché aspecifico.
La difesa non si confronta con l’argomentata valutazione sulla gravità del fatto che ha portato la Corte di merito ad escludere l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. ( cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). Deve quindi concludersi per il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
p.q.m.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 15/05/2025