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Danneggiamento aggravato: quando assorbe le percosse?

Un uomo viene condannato per aver danneggiato la vetrina di un negozio e per aver commesso percosse e minacce. La Corte di Cassazione interviene, specificando che il reato di danneggiamento aggravato dalla violenza alla persona assorbe quello di percosse. Di conseguenza, la pena viene ricalcolata eliminando il cumulo per il reato minore, stabilendo un importante principio sull’assorbimento dei reati.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Danneggiamento aggravato: la Cassazione stabilisce quando assorbe le percosse

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36556/2025, affronta un’importante questione relativa al concorso di reati, chiarendo i confini tra il danneggiamento aggravato e i delitti di percosse e minaccia. La decisione offre spunti fondamentali sul principio di assorbimento, secondo cui il reato più grave ‘assorbe’ quello minore quando le condotte sono strettamente connesse. Questo principio è cruciale per garantire una corretta applicazione della legge penale ed evitare duplicazioni di pena.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una sentenza della Corte di Appello di Roma, che aveva parzialmente riformato una decisione di primo grado. L’imputato era stato condannato per aver danneggiato la vetrina di un esercizio commerciale e, contestualmente, per i reati di percosse (art. 581 c.p.) e minaccia (art. 612 c.p.) ai danni del proprietario.

La difesa ha proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni. In particolare, ha sostenuto che la Corte di Appello avesse errato nel non considerare assorbite le condotte di minaccia e percosse nel più grave delitto di danneggiamento. Secondo la tesi difensiva, la violenza fisica e verbale era stata contestuale e funzionale al danneggiamento, costituendone un unico elemento e non reati separati. Inoltre, la difesa ha lamentato vizi di motivazione riguardo al mancato riconoscimento della legittima difesa e delle attenuanti come la provocazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto parzialmente il ricorso, concentrandosi sul primo motivo, ritenuto fondato. I giudici di legittimità hanno annullato la sentenza impugnata limitatamente al concorso tra i reati, riqualificando il fatto e rideterminando la pena. Hanno invece rigettato gli altri motivi, considerandoli una mera riproposizione delle argomentazioni già respinte in appello e un tentativo inammissibile di ottenere una nuova valutazione del merito dei fatti, preclusa in sede di legittimità.

Le motivazioni: il principio di assorbimento nel Danneggiamento aggravato

Il fulcro della decisione risiede nell’applicazione del principio di assorbimento. La Corte ha ribadito che il delitto di danneggiamento aggravato con violenza alla persona, come riformulato dal D.Lgs. n. 7 del 2016, assorbe il reato di percosse (art. 581 c.p.).

La logica è la seguente: le percosse, definite come atti di violenza che non causano effetti morbosi ma solo sensazioni dolorifiche, rappresentano un elemento costitutivo del danneggiamento aggravato. Esse non sono un reato autonomo, ma la modalità con cui si realizza la condotta tipica del danneggiamento più grave. In questo caso, la violenza fisica contro la persona non era un’azione separata, ma parte integrante dell’unico evento delittuoso finalizzato a danneggiare la proprietà altrui. Pertanto, punire l’imputato sia per il danneggiamento sia per le percosse equivarrebbe a violare il principio del ne bis in idem, ovvero il divieto di essere giudicati due volte per lo stesso fatto.

La Corte ha inoltre specificato che tale errore di diritto poteva essere rilevato d’ufficio, anche se non oggetto di uno specifico motivo d’appello, poiché emergeva chiaramente dalla ricostruzione dei fatti e non richiedeva ulteriori accertamenti. Di conseguenza, la pena è stata ricalcolata escludendo l’aumento previsto per il reato di percosse.

Per quanto riguarda gli altri motivi, la Cassazione li ha dichiarati inammissibili. La difesa si era limitata a reiterare le stesse censure già adeguatamente e logicamente respinte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata. Tentare di dimostrare la legittima difesa o la provocazione attraverso una diversa lettura delle testimonianze costituisce un’istanza di riesame del merito, non consentita davanti alla Corte di Cassazione.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa sentenza consolida un importante orientamento giurisprudenziale con rilevanti implicazioni pratiche. Stabilisce chiaramente che, in caso di contestualità tra il danneggiamento di un bene e la violenza fisica non lesiva su una persona, si deve configurare unicamente il reato di danneggiamento aggravato. Ciò impedisce un ingiustificato aggravamento della sanzione penale attraverso il cumulo di reati.

Per gli operatori del diritto, la decisione sottolinea l’importanza di analizzare attentamente il nesso tra le diverse condotte per verificare se una possa essere considerata elemento costitutivo o modalità esecutiva dell’altra. Per i cittadini, la sentenza riafferma il principio di proporzionalità della pena, assicurando che una persona non venga punita due volte per un’azione che, pur manifestandosi in più atti, costituisce un’unica offesa giuridica.

Quando il reato di danneggiamento aggravato assorbe quello di percosse?
Quando le percosse, intese come atti di violenza che causano solo dolore e non malattia, costituiscono un elemento integrante del delitto di danneggiamento, rappresentando la modalità con cui la condotta tipica viene realizzata. In tal caso, non si configura un reato autonomo.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove o la credibilità dei testimoni?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Non può effettuare una nuova valutazione delle prove o contrapporre una diversa ricostruzione dei fatti a quella logica e motivata del giudice di merito. Un ricorso fondato su tali basi è inammissibile.

Un errore di diritto può essere rilevato dalla Cassazione anche se non era stato sollevato in appello?
Sì, la Corte di Cassazione può rilevare d’ufficio un vizio di violazione di legge, anche se non dedotto con l’atto d’appello, a condizione che tale vizio emerga chiaramente dalla ricostruzione dei fatti non contestata e non richieda nuovi accertamenti fattuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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