Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4925 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 4925 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Cosenza il 02/01/1995
avverso l’ordinanza emessa il 4 giugno 2024 dal Tribunale di Catanzaro visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il RAGIONE_SOCIALE di Catanzaro ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere applicata a NOME COGNOME in relazione ai delitti di cui ai capi 1 (art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990), 54 e 55 (art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990) della imputazione provvisoria.
NOME COGNOME ricorre per cassazione chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata sulla base di due motivi di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione relativa alla valutazione delle chiamate in correità da parte dei collaboratori NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; manifesta illogicità della motivazione relativa alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al ruolo di organizzatore del sodalizio criminoso attribuito al ricorrente.
Rileva il ricorrente che l’ordinanza impugnata si è limitata a ricostruire le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia senza vagliarne l’attendibilità intrinseca ed estrinseca, né, tantomeno, valutare l’esistenza di riscontri esterni. Tali collaboratori, peraltro, hanno fornito informazioni divergenti e dissonanti rispetto alla sussistenza del vincolo di fedeltà, che costituisce il postulato inderogabile per desumere la partecipazione al c.d. sistema Cosenza finalizzato al narcotraffico.
Si rileva, in particolare, che COGNOME ha riferito di insanabili contrasti tra i ricorrente e NOME COGNOME, fondatore del gruppo di cui viene ritenuto partecipe. Da tale dichiarazioni emerge, infatti, che COGNOME spacciava autonomamente, cercando di lucrare il prezzo più favorevole.
Ad ulteriore riscontro di tale tesi, si richiama anche un brano relativo a una conversazione intercorsa tra la moglie e il figlio di COGNOME in cui si commentavano le intemperanze del COGNOME e la sua volontà di lavorare con altri, tanto che nella conversazione si faceva riferimento anche alla possibile reazione di COGNOME una volta uscito dal carcere.
2.2. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativa alla valutazione di attualità delle esigenze cautelari a fronte di un non trascurabile tempo silente dalla commissione dei fatti, di un lungo periodo ininterrotto di sottoposizione a custodia cautelare dell’indagato (da dicembre 2019), dell’assenza di successivi contatti con soggetti partecipi del sodalizio, nonché del suo breve periodo di collaborazione con l’autorità inquirente (poi venuta meno).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.1. Dall’esame complessivo della motivazione emerge, infatti, che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono state attentamente vagliate dal Tribunale, coerentemente con il criterio di valutazione “trifasico” individuato dalla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, Spennato, Rv. 234598).
Si è, infatti, affermato che, in tema di valutazione della chiamata in reità o correità in sede cautelare, le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato, integrano i gravi indizi di colpevolezza soltanto se esse, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci individualizzanti, tali, cioè, da attribuire, nei termini qualificata ed elevata probabilità propri della delibazione cautelare, capacità dimostrativa e persuasiva probatoria in ordine all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario (cfr. da ultimo Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, Rv. 269683).
Come anticipato, l’ordinanza in esame si è strettamente attenuta a tali coordinate ermeneutiche, valutando, in primo luogo, la credibilità ed attendibilità del contributo dichiarativo dei collaboratori di giustizia sia in relazione al c.d. sistema Cosenza che alla posizione dell’indagato ed al suo ruolo di organizzatore. In particolare, l’intraneità del ricorrente nel gruppo “Porcaro” è stata desunta, con motivazione non manifestamente illogica, dalle convergenti dichiarazioni rese non solo dai collaboratori di giustizia menzionati nel motivo in esame ma anche dal collaboratore COGNOME
A riscontro di tali dichiarazioni sono state, inoltre, considerate le conversazioni intercettate, non censurate dal ricorrente, dalle quali, sulla base della ricostruzione offerta dal Tribunale, anche questa non censurata dal ricorrente e, comunque, non manifestamente illogica, è emerso che COGNOME aveva assunto la gestione operativa di un’articolazione del sodalizio in cui operavano gli spacciatori COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME. In particolare, il Tribunale ha valorizzato le u.4,6,0,1,’ seguenti conversazioni, in quanto indici del ruolo sovraordinato di 1=3:11i e dei suoi rapporti diretti con Porcaro: i) le conversazioni con i componenti della sua squadra di spacciatori, cui impartiva strategie operative, pianificando anche futuri rifornimenti e riferendo di trattative in corso con ì “fornitori” (cfr. le pagine 16 e 17 dell’ordinanza); ii) le conversazioni in carcere tra Turboli (attinto da altra misura cautelare nel processo “Testa di Serpente”) e la fidanzata, in cui il primo impartiva direttive sulla riscossione dei proventi o sul pagamento delle spese legali agli associati (cfr. le pagine 17 e 18 dell’ordinanza); la conversazione tra il ricorrente e tal COGNOME, debitore di Porcaro (all’epoca dei fatti era ristretto in carcere), nel corso della quale COGNOME si giustificava del ritardo nel saldo del proprio debito (cfr. le pagine 14 e 15 dell’ordinanza).
Sulla base di tale ricostruzione del quadro indiziario, appare, infine, immune da vizi logici o giuridici la motivazione relativa al ruolo attribuito al ricorrente, dovendosi, al riguardo, ribadire il principio di diritto, correttamente
applicato dal Tribunale, secondo il quale la qualifica di organizzatore in un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti spetta a chi, come nel caso in esame, assume poteri di gestione, quand’anche non pienamente autonomi, in uno specifico e rilevante settore operativo del gruppo (Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Buono, Rv. 279476 – 02; Sez. 4, n. 52137 del 17/10/2017, Talbi, Rv. 271256).
1.2. Quanto all’ulteriore rilievo contenuto nel motivo in esame, relativo alla incompatibilità del giudizio di gravità indiziaria con il contenuto sia delle dichiarazioni rese dal collaboratore COGNOME che della conversazione intercorsa tra la moglie e il figlio di COGNOME, osserva il Collegio che siffatto argomento, oltre a prospettare una non consentita diversa ricostruzione del contributo dichiarativo di COGNOME, non appare, comunque, di valenza disarticolante rispetto alla tenuta logica della motivazione dell’ordinanza impugnata, non essendovi alcuna inconciliabilità tra eventuali situazioni di contrasto tra i sodali e la partecipazione al sodalizio (si veda, ad esempio, Sez. 6, n. 51500 del 11/10/2018, COGNOME, Rv. 275719 in tema di configurabilità della partecipazione ad associazione finalizzata al n a rcotraffico in caso di approvvigionamento continuativo di sostanze stupefacenti).
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato e generico.
Va, infatti, premesso che nella fattispecie in esame trova applicazione la presunzione relativa di pericolosità cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Ciò nondimeno, il Tribunale ha adeguatamente argomentato in merito alla concretezza ed attualità del pericolo, considerando assorbenti, da un lato, la negativa personalità del ricorrente – gravato da precedenti specifici, nonché attualmente sottoposto ad altro procedimento penale per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. – e, dall’altro, la pervicacia dimostrata dal ricorrente allorché, pur essendo sottoposto a misura custodiale in altro procedimento, ha continuato a coordinare a gestire il gruppo attraverso i colloqui in carcere con la fidanzata (elemento, questo, ritenuto determinate anche ai fini dell’adeguatezza esclusiva della misura applicata).
A fronte di tale motivazione, completamente trascurata dal motivo in esame, il ricorrente si limita ad insistere sulla rilevanza del tempo decorso dai fatti o, quantomeno dall’applicazione della misura cautelare, omettendo di considerare i sopra indicati elementi di attualizzazione delle esigenze cautelari, rispetto ai quali il fattore tempo assume una valenza neutra, stante, soprattutto, i comportamenti tenuti in carcere dall’indagato.
E’, infine, privo di pregio, oltre che aspecifico, il rilievo relativo alla possibil
rilevanza del breve periodo di collaborazione del ricorrente.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 21 novembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente