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Custodia cautelare ultrasettantenni: i limiti

La Procura ricorre contro la decisione di non aggravare la misura cautelare (da arresti domiciliari a carcere) per un indagato ultrasettantenne, anche a fronte di una condanna non definitiva per associazione mafiosa. La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, ribadendo che la custodia cautelare per ultrasettantenni è possibile solo in presenza di esigenze cautelari di ‘eccezionale rilevanza’, che richiedono una sostanziale certezza di recidiva e non possono basarsi su una sentenza non ancora passata in giudicato.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare per Ultrasettantenni: Quando la Tutela Prevale sulla Pericolosità

La questione della custodia cautelare per ultrasettantenni rappresenta un delicato punto di equilibrio tra l’esigenza di sicurezza collettiva e la tutela della salute di persone in età avanzata. Con la sentenza n. 27589/2025, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su questo tema, delineando con chiarezza i rigorosi presupposti che possono giustificare la detenzione in carcere per un indagato con più di settant’anni, anche di fronte a un’accusa molto grave come quella di associazione mafiosa.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica avverso un’ordinanza del Tribunale del Riesame. Quest’ultimo aveva confermato la decisione di non aggravare la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di un individuo ultrasettantenne. La Procura chiedeva invece l’applicazione della custodia in carcere, basando la sua richiesta su una sopravvenuta sentenza di condanna (non ancora definitiva) per il reato di cui all’art. 416-bis c.p. (associazione di tipo mafioso).

Secondo il ricorrente, tale condanna dimostrava un periculum libertatis di tale intensità da superare il divieto generale di detenzione in carcere per i soggetti di età superiore ai settant’anni, previsto dal codice di procedura penale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del Pubblico Ministero inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. La decisione si fonda su un’attenta interpretazione del rapporto tra le diverse norme che regolano le misure cautelari.

In particolare, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: la norma speciale che tutela gli ultrasettantenni (art. 275, comma 4, c.p.p.) prevale sulla presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere prevista per reati di particolare gravità (art. 275, comma 3, c.p.p.). Pertanto, il carcere per un settantenne non è la regola, ma un’eccezione che richiede una motivazione particolarmente rafforzata.

Le Motivazioni: la custodia cautelare per ultrasettantenni e l’eccezionale rilevanza delle esigenze

La Corte ha spiegato che il divieto di custodia in carcere per gli ultrasettantenni non è assoluto, ma può essere derogato solo in presenza di ‘esigenze cautelari di eccezionale rilevanza’. Questo concetto, secondo la giurisprudenza consolidata, impone al giudice un onere motivazionale molto più stringente rispetto ai casi ordinari.

Non è sufficiente, infatti, dimostrare la semplice concretezza del pericolo di reiterazione del reato. È necessaria la ‘sostanziale certezza’ che l’indagato, se sottoposto a una misura meno afflittiva del carcere come gli arresti domiciliari, continuerà a delinquere. Questo giudizio deve basarsi su elementi concreti e attuali, che nel caso di specie non sono stati adeguatamente forniti dal ricorrente.

La Corte ha inoltre sottolineato che una sentenza di condanna non ancora definitiva non può, da sola, integrare quel requisito di ‘eccezionale rilevanza’. L’esito del processo è ancora incerto e non si può prevedere l’evoluzione nei successivi gradi di giudizio. Pertanto, fondare una richiesta di aggravamento su un provvedimento non irrevocabile non soddisfa lo standard probatorio richiesto dalla legge per superare la tutela dell’età avanzata.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La pronuncia in esame consolida un importante principio di civiltà giuridica. La custodia cautelare per ultrasettantenni rimane una misura estrema, da applicare con estrema cautela. La decisione conferma che l’età avanzata, combinata con la restrizione carceraria, crea una presunzione di rischio per la salute psicofisica della persona che lo Stato ha il dovere di tutelare.

Per le Procure e i giudici, questo significa che la richiesta e l’applicazione del carcere per un ultrasettantenne devono essere supportate da una motivazione che vada oltre il titolo di reato, dimostrando in modo quasi certo l’assoluta insufficienza di ogni altra misura meno gravosa. Una condanna di primo grado, per quanto grave, non basta a raggiungere questa soglia di ‘sostanziale certezza’.

È possibile applicare la custodia in carcere a una persona con più di 70 anni?
Sì, ma solo in circostanze eccezionali. La legge richiede la presenza di ‘esigenze cautelari di eccezionale rilevanza’, che si configurano quando vi è la sostanziale certezza che la persona, se non detenuta in carcere, continuerà a commettere delitti di grave entità.

Una condanna non definitiva per un reato grave è sufficiente per giustificare il carcere per un ultrasettantenne?
No. Secondo questa sentenza, una condanna non ancora passata in giudicato non è di per sé sufficiente a dimostrare l’esistenza di quelle esigenze di eccezionale rilevanza richieste dalla legge per derogare al divieto di custodia in carcere per gli ultrasettantenni.

Quale norma prevale tra la tutela per gli ultrasettantenni e la presunzione di pericolosità per reati gravi?
La norma che tutela gli ultrasettantenni (art. 275, comma 4, c.p.p.) è considerata una disposizione speciale e, pertanto, prevale sulla regola generale che presume l’adeguatezza del carcere per determinati reati gravi (art. 275, comma 3, c.p.p.).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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