LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Custodia cautelare stupefacenti: perché non è lieve

La Corte di Cassazione ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per detenzione di stupefacenti, rigettando il ricorso di un indagato. La Corte ha stabilito che il ruolo di custode e confezionatore di droga per conto terzi è incompatibile con l’ipotesi del ‘fatto di lieve entità’, giustificando la misura detentiva più grave a causa dell’inserimento dell’indagato in un contesto di narcotraffico e del rischio di reiterazione del reato, non contenibile con gli arresti domiciliari.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare Stupefacenti: Quando il Ruolo di ‘Custode’ Esclude il Fatto di Lieve Entità

Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sulla custodia cautelare stupefacenti, delineando i confini tra il reato comune e l’ipotesi attenuata del ‘fatto di lieve entità’. La pronuncia analizza il caso di due fratelli indagati per detenzione e spaccio, la cui condotta è stata ritenuta troppo grave per beneficiare di un trattamento sanzionatorio più mite o di misure cautelari meno afflittive degli arresti in carcere. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Il procedimento nasce da un’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti di un uomo, indagato insieme al fratello per detenzione a fini di spaccio di cocaina/crack e marijuana. Secondo l’accusa, i due fratelli non erano semplici spacciatori, ma svolgevano il ruolo cruciale di custodire e confezionare la sostanza stupefacente per conto di terzi, che poi si occupavano della vendita finale. La difesa dell’indagato ha proposto ricorso al Tribunale del Riesame, che ha però confermato la misura detentiva, spingendo il caso fino alla Corte di Cassazione.

I Motivi del Ricorso

La difesa ha basato il proprio ricorso su tre motivi principali:
1. Errata qualificazione giuridica: Si sosteneva che la condotta dovesse rientrare nel ‘fatto di lieve entità’ (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90), evidenziando che una piccola quantità di marijuana era per uso personale e che i giudici non avevano considerato adeguatamente tutti i parametri (mezzi, modalità, circostanze).
2. Violazione di legge sulla scelta della misura: La difesa lamentava che la detenzione in carcere fosse sproporzionata, chiedendo gli arresti domiciliari. Si sottolineava che gli indagati erano incensurati e che non era stata provata l’esistenza di una vasta rete di fornitori e acquirenti.
3. Questione di legittimità costituzionale: Si sollevava un dubbio sulla costituzionalità dell’art. 275, comma 2-bis, del codice di procedura penale, ritenendo che i limiti di pena per l’applicazione di determinate misure andassero aggiornati alla luce delle nuove pene sostitutive.

La Decisione della Cassazione sulla custodia cautelare stupefacenti

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando in toto la decisione del Tribunale del Riesame. I giudici hanno ritenuto la motivazione dell’ordinanza impugnata logica, coerente e priva di vizi di legge.

L’Esclusione del Fatto di Lieve Entità

Il punto centrale della decisione riguarda la qualificazione del reato. La Cassazione ha ribadito che l’ipotesi del fatto di lieve entità richiede una ‘minima offensività penale’ della condotta, valutata su più fronti. Nel caso specifico, il ruolo degli indagati andava ben oltre la semplice detenzione. Essi agivano come ‘custodi’ e ‘confezionatori’, inserendosi in una filiera criminale più ampia e dimostrando una professionalità nell’agire che è incompatibile con la ridotta offensività richiesta dalla norma. La condotta rientrava in un ambito più ampio, rilevando una professionalità che esclude a priori la lieve entità.

La Scelta della Misura Cautelare

In merito alla scelta della custodia cautelare stupefacenti, la Corte ha ricordato che il suo compito non è quello di riconsiderare nel merito le esigenze cautelari, ma di verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione del giudice precedente. Il Tribunale aveva correttamente evidenziato il pericolo concreto di reiterazione del reato, desunto dalla professionalità e dall’inserimento degli indagati in un ambiente dedito al narcotraffico. Gli arresti domiciliari sono stati ritenuti inadeguati perché l’abitazione era la base logistica dell’attività criminale, il luogo dove si custodiva la droga e si mantenevano i contatti con la rete di spaccio. Una misura meno afflittiva non avrebbe garantito la necessaria interruzione dei legami con l’ambiente criminale.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su principi consolidati. Per qualificare un fatto come di ‘lieve entità’, non basta guardare solo al dato quantitativo della droga, ma occorre una valutazione globale che includa modalità, mezzi e circostanze dell’azione. Se anche uno solo di questi elementi risulta ‘negativamente assorbente’, come la professionalità nel confezionamento per conto terzi, ogni altra considerazione perde di rilevanza. La Corte ha inoltre precisato che il suo controllo sulla scelta delle misure cautelari è un controllo di legittimità e non di merito: non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice che ha applicato la misura, ma solo verificare che la decisione sia supportata da una motivazione logica e giuridicamente corretta. In questo caso, il ragionamento del Tribunale, basato sull’inidoneità del domicilio a prevenire la reiterazione del reato, è stato considerato immune da censure.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di custodia cautelare stupefacenti: il ruolo svolto all’interno di un’organizzazione criminale ha un peso determinante nella valutazione della gravità della condotta. Essere il ‘custode’ o il ‘confezionatore’ della droga per conto di una rete di spaccio denota un livello di coinvolgimento e professionalità che impedisce di qualificare il reato come di lieve entità e può giustificare l’applicazione della più severa misura cautelare della detenzione in carcere, specialmente quando l’attività illecita viene svolta presso la propria abitazione.

Perché la detenzione di stupefacenti non è stata considerata un ‘fatto di lieve entità’?
La Corte ha stabilito che il ruolo degli indagati, quali custodi e confezionatori dello stupefacente per conto di terzi, dimostrava una professionalità e un inserimento in un contesto criminale più ampio. Questa modalità operativa è stata ritenuta incompatibile con la ‘minima offensività’ richiesta per qualificare il reato come di lieve entità.

Per quale motivo è stata respinta la richiesta di arresti domiciliari in favore del carcere?
Gli arresti domiciliari sono stati ritenuti inadeguati perché l’abitazione dell’indagato era la base logistica dell’attività di spaccio, il luogo dove la droga veniva custodita, preparata e dove si intrattenevano i rapporti con la rete criminale. Secondo i giudici, tale misura non avrebbe potuto interrompere i contatti con fornitori e acquirenti, né prevenire il pericolo concreto di reiterazione del reato.

Qual è il limite del controllo della Corte di Cassazione sulle misure cautelari?
La Corte di Cassazione non ha il potere di riconsiderare nel merito la scelta della misura cautelare più adeguata. Il suo controllo è limitato a un esame di legittimità, ovvero a verificare che la decisione del giudice precedente sia basata su una motivazione giuridicamente corretta, logica e priva di contraddizioni evidenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati