Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3662 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 3662  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2023
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Latina il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Roma il 19/07/2023
visti gli atti ed esaminato il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore dell’imputato, che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale non aveva accolto la richiesta, ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., di declaratoria di inefficacia decorso del termine di durata – della misura cautelare della custodia in carcere disposta nei confronti di COGNOME NOME.
Nei confronti COGNOME è stata disposta ordinanza custodiale il 16.9.2021 ed eseguita il 26.10.2021 per i reati di cui agli artt. 416 bis cod. pen. – 74 D.P.R. 309 del 1990 p
altri numerosi reati; l’imputato è stato condannato il 25.1.2023 alla pena di 19 anni reclusione e 20.000 euro di multa.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato articolando due motivi.
2.1. Si premette che:
l’imputato, già in stato detentivo dal 31.8.2010, è stato attinto 1’1.12.2020 da una prima ordinanza custodiale emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma nell’ambito del proc. 24079/2019 RGNR, divenuto, a seguito di stralcio, il n. NUMERO_DOCUMENTO, e per il quale è stato emesso decreto di fissazione dell’udienza preliminare 1’11.3.2022 ed è stata pronunciata sentenza il 6.6.2022;
nei confronti del ricorrente è stata disposta una ulteriore ordinanza cautelare i 16.9.2021 – quella per cui si procede- nell’ambito dello stesso procedimento nel cui ambito era stata disposta la prima ordinanza (RG 24079/2019);
il procedimento per il quale è stato emesso il titolo custodiale 1’1.12.2020 e quello relativo ai fatti per cui si procede sarebbero “collegati” e gli atti di indagi provvedimenti posti a fondamento del primo titolo custodiale sarebbero stati depositati dal Pubblico Ministero nel presente procedimento;
tutti i reati oggetto del primo titolo cautelare sarebbero stati consumati tra settembre del 2019 e il giugno del 2020 mentre i reati oggetto della seconda ordinanza (quella per cui si procede) sarebbero stati commessi quanto ai reati-fine dell’associazione al più tardi nell’ottobre del 2019, e, quanto ai reati associat (associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti) “dal mese di settembre 2015 e tutt’ora permanenti” (cioè in prosecuzione della permanenza del reato associativo oggetto del primo titolo cautelare).
In tale contesto, si argomenta, si era evidenziato al Giudice per le indagini preliminar come, in assenza di elementi rivelatori di successivi contatti del ricorrente con altri sod e di dati probatori dimostrativi della permanenza del vincolo dopo l’emissione del primo titolo cautelare (1.12.2020), dovesse ritenersi superata la presunzione di permanenza del vincolo associativo nonostante la contestazione c.d. aperta oggetto del secondo titolo cautelare.
Il Giudice per le indagini preliminari, si evidenzia, aveva rigettato la richiest retrodatazione del decorso del termine di durata della misura cautelare e della conseguente domanda di scarcerazione dando per assodato i collegamento tra i procedimenti ma ritenendo che la contestazione aperta del reato associativo, oggetto della seconda ordinanza, non consentisse di retrodatare il termine di durata della misura cautelare al momento della emissione del primo titolo custodiale anche in ragione della presenza di elementi dimostrativi, tratti dalle dichiarazioni dei collaboratori di gius COGNOME e COGNOME, della prosecuzione del contributo da parte del ricorrente al sodalizio criminoso.
In tale contesto, si aggiunge, con l’appello si era sottolineato il principio affermat una sentenza della Prima Sezione della Corte di cassazione , emessa proprio nei riguardi di un altro coimputato del presente procedimento, che aveva appunto affermato come, in presenza di una contestazione aperta di un reato associativo, vi fosse solo una presunzione relativa di permanenza del vincolo e che lo stato detentivo, pur di per sé non rivelatore della cessazione della permanenza, imponesse comunque una verifica in concreto della persistente permanenza, non essendo necessaria la prova della dissociazione dal reato associativo.
Il Tribunale avrebbe rigettato l’appello, da una parte, evocando il giudicato cautelare formatosi in relazione alla precedente ordinanza del 13.4.2022, emessa nei riguardi del ricorrente e ritenuta immune da vizi dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 8531 del 19.10.2022 con la quale la Corte aveva affermato che, nel caso di specie, non fossero stati allegati elementi concreti per superare la permanenza del vincolo associativo anche dopo l’arresto e ciò in ragione degli elementi dimostrativi del fatt che COGNOME, anche durante la carcerazione subita in ragione del primo titolo custodiale, avesse continuato a “gestire” l’associazione, e, dall’altra, affermando che la presunzione di permanenza del vincolo potesse essere superata solo a seguito di un accertato recesso o della cessazione della consorteria.
2.2. In tale articolato contesto di riferimento, con il primo motivo si deduce violazio dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., e vizio di motivazione.
Si sostiene che COGNOME è detenuto ininterrottamente dal 31.8.2020 e che nel caso di specie non sarebbe stata fatta corretta applicazione del principio affermato dalla Prima Sezione della Corte, di cui si è detto, avendo il Tribunale fatto assertivamente riferimento alla necessità del recesso del singolo associato senza operare nessuna verifica in concerto finalizzata ad accertare se la condotta partecipativa si sia protra anche dopo l’arresto, tenuto peraltro conto che, dopo l’applicazione della misura, l’imputato non aveva avuto più contatti con altri presunti associati e che anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME si riferivano a condotte relative ruolo di coadiutore dell’attività di spaccio di sostanze stupefacente, mai contestata a ricorrente.
Anche il richiamo alla sentenza n. 8531 del 2023 (ud 19.10.2022) valorizzata per evocare il giudicato cautelare, sarebbe errato, atteso che in quel caso non erano stati indicati gli stessi elementi portati alla cognizione del Giudice con l’istanza per cu procede e cioè l’assenza di contatti con gli altri associati o con familiari rivelatori non persistenza del vincolo.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione; il tema attiene alla valutazione delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Praclissitto in ordine
permanenza del vincolo associativo da parte del ricorrente e alla mancata motivazione sulla valenza delle dichiarazioni di COGNOME.
Si evidenzia innanzitutto come il Tribunale non abbia fatto nessun riferimento alle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME, valorizzate invece dal Giudice per le indagini preliminari e nei cui riguardi pure erano stati devoluti motivi di appello co quali si era segnalato che COGNOME non aveva mai indicato NOME COGNOME come partecipe dell’associazione nel corso della detenzione e avesse circoscritto l’ambito delle sue conoscenze sino al 2017, dunque ben tre anni prima rispetto all’arresto dell’imputato.
Dunque un elemento contrario alla presunzione di permanenza del vincolo associativo dopo l’arresto.
Quanto invece alle dichiarazioni di COGNOME, si era invece spiegato come anche questi non avesse mai indicato l’imputato come partecipe del sodalizio durante lo stato detentivo e che il collaboratore aveva avuto contatti con COGNOME fino all’agosto d 2020, data dalla quale non aveva più usufruito di licenze o permessi premio.
 E’ pervenuta una memoria con cui si reiterano gli stessi argomenti oggetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, ai limiti della inammissibilità.
E’ necessario fare riferimento alla sentenza n. 8531 del 19.10.2022- dep. 2023, con cui la Corte di cassazione ha ritenuto immune da vizi la decisione del Tribunale dell’appello di Roma del 13/04/2022 con cui era stata confermata la precedente decisione del Giudice per le indagini preliminari che aveva respinto l’istanza d declaratoria di decorrenza dei termini della custodia cautelare applicata nei confronti de ricorrente per i medesimi fatti oggetto del presente procedimento.
Nella occasione, la Corte di cassazione:
ha ribadito il condivisibile principio per cui la retrodatazione della decorrenza termine di custodia cautelare prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza coercitiva, precisando tuttavia che tale condizione non sussiste nell’ipotesi in cu l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con formula “aperta”, che indichi la permanenza del reato anche dopo l’emissione del primo provvedimento cautelare, a meno che gli elementi acquisiti non consentano di ritenere l’intervenuta cessazione della permanenza quanto meno alla data
di emissione della prima ordinanza (Sez. 2, n. 16595 del 06/05/2020, Genidoni, Rv. 279222 – 01);
ha chiarito come, al fine di evitare lo svuotamento delle esigenze sottese all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., sia necessario operare una valutazione della situazione concreta, senza fermarsi al mero dato formale dell’assenza di forme espresse di dissociazione e che pertanto, il provvedimento coercitivo che limita la libertà personale dell’indagato per il primo fatto di reato determina una mera presunzione relativa di non interruzione della condotta partecipativa, la protrazione della quale, in presenza di concrete allegazioni difensive, deve tuttavia essere desunta da concreti elementi dimostrativi (Sez. 6, n.13568 del 29.11.2019, dep.2020, Alfano, F’,v 278840; Sez. 1, n. 20135 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281283).
Occorre, dunque, che ricorrano elementi specifici e concreti dai quali dedurre lo scioglimento del legame dall’associazione, quale può essere, ad esempio, un lungo periodo di detenzione senza che siano stati mantenuti i contatti, una contrapposizione interna all’associazione cui sia conseguito l’allontanamento di uno dei sodali, nonché fatti oggettivi quali il trasferimento in luogo distanze da quello in cui opera la consorter sempre che non vi siano elementi dai quali desumere la continuità della partecipazione.
Sulla base di tale quadro di riferimento la Corte di cassazione ritenne che nel caso in esame la “presunzione di non interruzione” della condotta criminosa del COGNOME non fosse stata superata, non avendo la difesa allegato elementi concreti e specifici per smentirla ed essendosi limitata a richiamare circostanze solo formali non dimostrative dell’interruzione dei rapporti del ricorrente con il sodalizio criminoso “anche alla luce d dato emerso dalle indagini che avevano evidenziato come pur durante la carcerazione il COGNOME aveva continuato gestire l’associazione mafiosa” (così testualmente la Corte di cassazione).
Dunque una motivazione con cui la Corte, oltre a fare riferimento alla mancanza di allegazioni specifiche, aveva chiaramente escluso il superamento della presunzione di non interruzione del vincolo associativo in ragione delle risultanze di indagini che avevano fatto emergere la continuità dal carcere dell’attività criminosa dell’odierno ricorrente nell’ambito del sodalizio.
Una motivazione che aveva riempito il tempo di detenzione di significato penalmente rilevante; una condotta, quella tenuta durante la detenzione dal ricorrente, che, secondo la Corte di cassazione, non solo non consentiva di ritenere superata la presunzione relativa di cui si è detto, ma che di fatto confermava il persistente legame criminale con l’associazione.
Rispetto alle affermazioni della Corte il motivo rivela la sua infondatezza non essendo stato indicato nessun elemento concreto nuovo idoneo a superare il giudicato cautelare relativo alla circostanza dimostrativa, evidenziata anche dal Tribunale
dell’appello, del perdurante vincolo associativo derivante dall’aver COGNOME continuato gestire dal carcere l’associazione mafiosa, non potendo certo essere superata tale affermazione, da una parte, dalla generica affermazione della insussistenza di contatti con altri sodali o familiari rivelatori della persistente partecipazione associativa dall’altra, dalla sollecitazione da parte dello stesso ricorrente a rivalutare, senza ness fatto sopravvenuto, il peso e la portata probatoria delle dichiarazioni del collaboratore già in precedenza valutati.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese dl procedimento
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2023.