Custodia Cautelare: Applicabile Anche a Chi è Già Detenuto?
La custodia cautelare rappresenta una delle misure più afflittive che il nostro ordinamento prevede prima di una condanna definitiva. Ma cosa accade se il destinatario di tale misura si trova già in carcere per scontare un’altra pena? Questa situazione, apparentemente paradossale, è stata al centro di una recente pronuncia della Corte di Cassazione, che ha confermato la validità del provvedimento restrittivo anche in costanza di detenzione.
I Fatti del Caso
Un individuo, già detenuto con una pena da scontare fino al 2027, è stato raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere. Il nuovo provvedimento era relativo a un’imputazione provvisoria per spaccio di sostanze stupefacenti, reato previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/1990.
Il Tribunale della Libertà di Palermo aveva precedentemente confermato la misura, ritenendo sussistenti le esigenze cautelari. La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, non contestando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma sostenendo che la detenzione in corso rendesse le esigenze cautelari prive di concretezza e attualità. Secondo il ricorrente, essendo già recluso, non avrebbe potuto commettere altri reati, e si sarebbero potute applicare misure alternative meno afflittive.
La questione della custodia cautelare in stato di detenzione
Il punto centrale del ricorso verteva sulla presunta inutilità di una misura cautelare per un soggetto già privato della libertà. La difesa ha argomentato che, con un fine pena fissato a diversi anni di distanza, mancasse il pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato, presupposto fondamentale per l’applicazione di qualsiasi misura cautelare secondo l’art. 274 cod. proc. pen.
Inoltre, il ricorso lamentava una motivazione generica da parte del Tribunale sull’inidoneità di misure meno gravose, come gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, a salvaguardare le esigenze di prevenzione.
Le motivazioni della Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, rigettando completamente le argomentazioni difensive. I giudici hanno chiarito un principio fondamentale: lo stato di detenzione per altra causa non è di per sé incompatibile con la configurabilità di nuove esigenze cautelari.
La Corte ha spiegato che l’ordinamento penitenziario attuale non esclude in modo assoluto la possibilità per un detenuto di riacquistare, anche per brevi periodi, la libertà (ad esempio, tramite permessi premio). Proprio in questo caso, è emerso che l’indagato aveva sfruttato un permesso concessogli per procurarsi droga da spacciare poi all’interno del carcere. Questo comportamento ha dimostrato non solo la sua spiccata propensione a delinquere, ma anche la concretezza del rischio di reiterazione.
La motivazione della Corte si è fondata su due pilastri:
1. Concretezza del pericolo: Il rischio che l’indagato commetta altri reati non era astratto, ma basato su elementi concreti come i numerosi precedenti penali specifici e, soprattutto, la commissione del nuovo fatto proprio mentre era già sottoposto a misura cautelare. Questo ha reso evidente che nemmeno lo stato di detenzione era sufficiente a contenerne la pericolosità.
2. Inidoneità delle altre misure: Di conseguenza, nessuna misura meno afflittiva della custodia cautelare in carcere è stata ritenuta idonea. Gli arresti domiciliari, anche con braccialetto elettronico, sono stati giudicati inadeguati perché il dispositivo si limita a segnalare l’allontanamento dal domicilio, ma non può impedire la commissione di reati all’interno dello stesso.
Conclusioni
La sentenza ribadisce con forza che la valutazione delle esigenze cautelari deve essere condotta in concreto, analizzando la specifica condotta e la personalità dell’indagato. Lo stato di detenzione non costituisce una “garanzia” automatica contro la commissione di nuovi reati. Al contrario, come dimostra il caso in esame, la capacità di delinquere può manifestarsi anche approfittando delle opportunità offerte dal regime penitenziario stesso. Per la Cassazione, quando la pericolosità sociale è così radicata e dimostrata dai fatti, la custodia cautelare in carcere rimane l’unico strumento efficace per tutelare la collettività, anche se il soggetto è già dietro le sbarre per un’altra causa.
Lo stato di detenzione per un’altra causa esclude l’applicazione di una nuova misura di custodia cautelare?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che lo stato di detenzione non è di per sé in contrasto con la configurabilità di esigenze cautelari, in particolare il pericolo di reiterazione del reato, poiché l’ordinamento penitenziario prevede possibilità, anche brevi, di riacquistare la libertà.
Perché gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico sono stati ritenuti inadeguati in questo caso?
Sono stati ritenuti inadeguati perché il dispositivo elettronico è idoneo solo a segnalare l’allontanamento dal luogo degli arresti, ma non può impedire la commissione di reati all’interno dello stesso luogo, rischio ritenuto concreto nel caso di specie.
Quali elementi hanno dimostrato la concretezza del pericolo di reiterazione del reato?
La concretezza del rischio è stata desunta dagli innumerevoli precedenti penali specifici dell’indagato e, soprattutto, dal fatto che avesse commesso il nuovo reato sfruttando un permesso-premio per procurarsi droga da vendere poi all’interno del carcere, dimostrando una spiccata tendenza a delinquere.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2242 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2242 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato il 02/12/1988 a Pantelleria avverso l’ordinanza del 7/06/2024 del Tribunale della libertà di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Palermo ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere applicata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani in relazione al reato ex artt. 73, commi 1 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 descritto nella imputazione provvisoria.
Nel ricorso presentato dal difensore di Augugliaro, al quale si sono aggiunte le conclusioni scritte, non si contesta la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, ma si chiede l’annullamento dell’ordinanza per violazione dell’art. 274, comma 1, lett. c, cod. proc pen., argomentando che – poiché il ricorrente è detenuto per altra causa con fine-pena 11/05/2027 – manca la necessaria concretezza e attualità delle esigenze cautelar, perché può escludersi, la possibilità che a Augugliaro siano applicate misure alternative alla detenzione. Inoltre, si osserva
che il Tribunale ha solo genericamente motivato l’esclusione della idoneità degli arresti donniciliari, pur con l’applicazione di un dispositivo di controllo, salvaguardare le esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Deve, anzitutto, ribadirsi che lo stato di detenzione per altra causa del destinatario di una misura coercitiva custodiale non è di per sé in contrasto con la configurabilità di esigenze cautelari, e in particolare di quella rappresentata dal pericolo di reiterazione della condotta criminosa, perché nel vigente ordinamento penitenziario non vi sono titoli o condizioni detentive assolutamente ostativi alla possibilità di riacquistare, anche per brevi periodi, la condizione di libertà (Sez. 4, n. 484 del 12/11/2021, dep. 2022 Rv. 282416).
Posto questo, con congrua motivazione’ Tribunale ha fondato il suo giudizio sulla concretezza del rischio che COGNOME commetta altri reati della stessa specie di quello per il quale si procede dagli «innumerevoli precedenti penali, anche specifici, nonchè dalla commissione del fatto mentre si trovava sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere». Ha considerato, inoltre, che il ricorrente ha sfruttato il permesso-premio concessogli per procurarsi droga da vendere all’interno del carcere, sicché nessuna misura cautelare meno restrittiva della custodia in carcere risulta idonea a salvaguardare le esigenze del caso; neanche gli arresti domiciliari con la applicazione di un dispositivo elettronico di controllo, perché questo è idoneo a segnale l’allontanamento dal luogo degli arresti, ma non la commissione di reati nello stesso luogo.
Dalla inammissibilità del ricorso deriva, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli *adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 23/10/2024