Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 34209 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 34209 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, nato il DATA_NASCITA a Palmi;
avverso l’ordinanza del 05/06/2025 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che chiede di dichiarare il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Reggio Calabria, in qualità di giudice dell’appello cautelare, confermava la custodia cautelare in carcere di NOME COGNOME, perché gravemente indiziato della partecipazione all’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nonché del concorso in reati-fine,
sussumibili nella fattispecie di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 cit. (capi 8, 10, 11, 14, 15 e 16).
Ha presentato ricorso l’AVV_NOTAIO, nell’interesse dell’indagato, deducendo, con un unico motivo, vizio di motivazione in punto di esigenze cautelari.
I Giudici dell’appello cautelare hanno ritenuto il pericolo di recidiva concreto ed attuale, sulla base di valutazioni congetturali ed astratte, nonostante l’ampio lasso di tempo decorso dalle condotte illecite accertate (5 anni) e dall’applicazione della misura (oltre 2 anni e 8 mesi) e nonostante le seguenti circostanze. L’indagato è stato allontanato dalle mansioni che esercitava in ambito portuale; è allo stato incensurato (addirittura titolare di porto d’armi); ha aderito al disegno criminoso per un breve periodo (soltanto due mesi) senza dare segni di deviazione durante i due anni trascorsi dal momento della presunta consumazione del fatto (dicembre 2020) all’applicazione della misura (ottobre 2022); durante il periodo di detenzione, ha non soltanto osservato una buona condotta – dato di per sé neutro -, ma fattivamente lavorato nella casa circondariale dove è stato regolarmente assunto come muratore specializzato (circostanza dimostrata davanti al Tribunale attraverso l’allegazione delle buste paga rilasciate dalla struttura penitenziaria dall’anno 2023 al marzo 2025).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Nessuno spazio residua al sindacato di legittimità in materia cautelare nel caso di specie, avendo i Giudici dell’ordinanza impugnata argomentato in modo compiuto e logico la mancata sopravvenienza di elementi di novità suscettibili di determinare la revoca o la sostituzione della misura cautelare applicata.
2.1. In particolare, i Giudici del provvedimento impugnato premettono che, a seguito della esclusione, a seguito di giudizio di primo grado, delle aggravanti di cui agli artt. 416-bis.1 e 61-bis cod. pen., nonché dell’interruzione del rapporto di lavoro con la società che gli permetteva l’accesso al porto di Gioia Tauro, l’indagato aveva già sollecitato la sostituzione della custodia cautelare con gli arresti domiciliari (art. 299 cod. proc. pen.).
Proseguono osservando che il Tribunale di Reggio Calabria aveva rigettato l’istanza, escludendo l’intervento di elementi nuovi tali da comportare la rivisitazione del trattamento cautelare in atti.
E precisano che gli elementi posti a sostegno dell’istanza di revoca/sostituzione sono sovrapponibili a quelli dedotti davanti al giudice dell’appello cautelare dove, in più, si è richiamata soltanto la indisponibilità, i capo all’imputato, di un criptofonino Sky ECC (che avrebbe dovuto indurre ad escluderne lo stabile inserimento contesto del narcotraffico internazionale), reputando, tuttavia, tale elemento irrilevante ai fini della attuazione delle esigenze cautela ri.
2.2. Quindi, ritenuto consolidatosi, a seguito dell’ordinanza di conferma della misura custodiale, un “giudicato cautelare” – richiamo in senso improprio, posto che, secondo l’insegnamento di questa Corte, preclusioni processuali si possono formare soltanto a seguito di pronunzie emesse, all’esito del procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte Suprema ovvero dal Tribunale in sede di riesame o di appello, avverso le ordinanze in tema di misure cautelari, coprendo le questioni dedotte, implicitamente o esplicitamente, nelle suddette impugnazioni (V. Sez. U, n. 11 del 08/07/1994, COGNOME, Rv. 198213; Sez. U, n. 29952 del 24/05/2004, COGNOME, Rv. 228117, in motivazione) – i Giudici di merito hanno escluso l’intervento di elementi nuovi suscettibili di superare la preclusione, tali non potendo ritenersi né il tempo trascorso dai fatti, né il tempo trascorso dalla esecuzione della misura, né il rispetto delle prescrizioni imposte.
2.3. Nell’ordinanza impugnata si trova, infatti, precisato che l’unico elemento nuovo sarebbe l’intervenuta condanna in primo grado (alla pena di 9 anni e 8 mesi di reclusione e 35.600 C di multa) la quale depone, semmai, in senso contrario.
E si nega – con argomentazione esente da vizi – che le esigenze cautelari escano attenuate dall’interruzione del rapporto di lavoro con la società (in virtù del quale l’indagato poteva accedere al porto dove erano consumate le condotte criminali), avendo NOME mostrato una non comune propensione a delinquere. La cessazione del rapporto lavorativo, infatti, fa solo venire meno un’occasione di recidivanza, ma non esclude – chiosano i Giudici, anche sul punto con valutazione individualizzata in fatto, non sindacabile in questa sede – il pericolo di commissione di nuovi delitti, posto che le condotte di trasporto e detenzione di stupefacenti si caratterizzano per la loro assoluta fungibilità, potendo essere realizzate anche in contesti spazio-temporali diversi.
2.4. Peraltro, nel concludere che la custodia cautelare in carcere è l’unica misura idonea ad escludere il rischio di reiterazione del reato, i Giudici dell’appello cautelare hanno pure rilevato come il preposto non avesse indicato una sistemazione adeguata ai fini degli arresti domiciliari.
E a tali osservazioni il ricorrente, in questa sede, non replica alcunché.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 01/10/2025