Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 8302 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 8302 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/12/2023 del TRIB. LIBERTA’ di GENOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; Lette le conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020 conv. dalla I. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 dl. 228/21 conv. con modif. dalla 1.15/22 e successivamente ex art. 94, co. 2, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come sostituito prima dall’art. 5-duodecies della I. 30.12.2022, n. 199, di conversione in legge del d.l. n. 162/2022) e poi dall’art. 17 del D.L. 22 giugno 2023, conv con modif. dalla I. 10.8.2023 n. 112, del P.G., in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e del difensore del ricorrente AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del Gip del Tribunale di Genova del 28/8/2023, all’esito dell’udienza di convalida dell’arresto, veniva applicata nei confronti di NOME la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al suo concorso, con NOME, nella illecita detenzione di complessivi gr. 799,50 lordi di sostanza stupefacente di tipo cocaina crack della quale gr. 20 lordi suddivisi in cinquanta frammenti rinvenuti sulla sua persona e la restante parte, in parte suddivisa già in singole dosi predisposte per la successiva cessione, presso l’abitazione INDIRIZZO che condivideva con il coindagato. All’interno dell’abitazione venivano, poi, rinvenuti e sequestrati due bilancini di precisione, materiale da taglio e confezionamento e la complessiva somma, in denaro contante, di euro 2.285,00.
Nel corso dell’interrogatorio di garanzia l’odierno ricorrente, come il coindagato, negava gli addebiti con dichiarazioni ritenute non credibili dal G.I.P.
La misura cautelare veniva disposta nella ritenuta sussistenza di un pericolo di reiterazione di analoghi reati, desumibile dal quantitativo di stupefacente oggetto di rinvenimento, una considerevole parte del quale già suddiviso in dosi, e dal rinvenimento di materiale utile per il confezionamento delle dosi oltre che di una somma di denaro contante incompatibile con le condizioni di vita degli indagati, soggetti irregolari sul territorio e privi di alcuna lecita e documentata attivit lavorativa. Con specifico riferimento al NOME, poi, veniva in rilievo il fatto che egli è persona gravata da molteplici precedenti penali, ben cinque dei quali specifici.
In merito all’inidoneità degli arresti domiciliari, pur anche con l’adozione di particolari modalità di controllo, a fronteggiare il pericolo di recidiva osservava il G.I.P.. che «essa presuppone pur sempre (affinché ne sia garantita l’efficacia) l’attitudine di chi vi è sottoposto a dominare i propri impulsi criminali, cioè una capacità di autocontrollo che non appare propria degli indagati, i quali traggono di che vivere esclusivamente (o principalmente, quanto a NOME COGNOME) dalla loro attività di spaccio e vanno pertanto sradicati dal contesto criminale in cui finora hanno operato».
A seguito dell’emissione di decreto di giudizio immediato, NOME chiedeva di essere giudicato con le forme del rito abbreviato.
Il 15/11/2023 la difesa presentava una prima istanza di sostituzione della custodia carceraria con la misura degli arresti donniciliari presso l’abitazione sita in INDIRIZZO di residenza di tale COGNOME NOME, amico e connazionale dell’imputato, il quale dichiarava la propria disponibilità ad accoglierlo e a provvedere al suo mantenimento (a tal fine allegava documentazione sia relativa al titolo di disponibilità dell’alloggio che all’attività lavorativa svolta dall’ospitan
Ai fini della dedotta attenuazione delle esigenze cautelari la difesa allegava alla memoria dichiarazione manoscritta dall’imputato nel cui ambito ammetteva gli addebiti. Il GIP, acquisito il parere contrario del PM., con ordinanza del 22/11/2023, pur ritenendo che le pur sussistenti esigenze cautelari potevano essere adeguatamente fronteggiate con gli arresti domiciliari (alla luce dell’efficacia deterrente insita nel non breve periodo di carcerazione sofferto da NOME, dell’ammissione di responsabilità contenuta nel manoscritto, considerato che il carcere doveva ritenersi una extrema ratio e che l’imputato non poteva ritenersi inaffidabile poiché non aveva precedenti per evasione) evidenziava che, dal contratto di locazione depositato in atti, l’abitazione prospettata risultava condotta in locazione non solo da NOME ma anche da un altro soggetto, NOME COGNOME, sicché la difesa avrebbe dovuto dimostrare che il secondo conduttore non era più presente nell’alloggio. Rigettava pertanto l’istanza.
La difesa, il 24/11/2023 reiterava quindi l’istanza (presentata come “integrazione a precedente richiesta”) e allegava dichiarazione sottoscritta da NOME nella quale egli dichiarava che il secondo conduttore non abitava più nell’alloggio e, a riscontro, certificato di stato di famiglia e residenza di NOME.
Il GIP, acquisito nuovamente il parere contrario del PM, con ordinanza del 28/11/2023 accoglieva l’istanza e sostituiva la custodia carceraria con gli arresti domiciliari. Il giudice della cautela, ribadite le argomentazioni in punto di adeguatezza ed idoneità degli arresti donniciliari a fronteggiare il pericolo di recidiva, evi denziava che pure il domicilio prospettato doveva ritenersi idoneo in quanto COGNOME risultava avere abbandonato l’alloggio, né poteva ritenersi ostativa la presenza di una clausola nel contratto di locazione in ragione del quale l’alloggio doveva essere destinato ad abitazione dei soli conduttori, sul punto citando quanto affermato dalla recente sentenza 32385/2023 nella quale in parte motiva si argomenta che l’eventuale rilevanza meramente civilistica del conduttore «non può incidere sulla valutazione della idoneità della misura cautelare domiciliare la quale ( ) si pone come alternativa alla custodia in carcere e rappresenta strumento di contenimento del pericolo di recidivanza criminoso».
Il Procuratore della Repubblica di Genova proponeva appello censurando tale decisione sotto vari profili.
In primo luogo evidenziava l’inidoneità del domicilio, stante la mancata disponibilità ad accogliere l’imputato manifestata dal secondo conduttore che, in quanto tale, è soggetto ancora titolare del diritto di escludere a terzi l’accesso all’alloggio, e ribadendo che l’immobile è contrattualmente destinato a soddisfare le esigenze abitative dei locatari e dei familiari, sicché l’inserimento di terzi estranei avrebbe l’effetto di ledere «in modo autoritario il diritto del proprietario dell’u nità immobiliare a consentire a terzi di dimorarvi stabilmente».
In secondo luogo il PM argomentava in merito all’inidoneità, comunque, degli arresti donniciliari a fronteggiare il pericolo di recidiva considerato che l’imputato «svolge da anni l’attività di spacciatore di sostanze stupefacenti in modo professionale» come evincibile dai plurimi precedenti specifici elencati nel casellario giudiziale e che il reato per il quale è cautela è stato commesso proprio presso l’abitazione, fatto che dimostra come il reato in questione possa essere reiterato anche presso il domicilio. In ogni caso, evidenziava il PM, gli arresti domiciliari non consentiva di fronteggiare il pericolo di fuga, concreto alla luce della prossima condanna per i fatti in contestazione.
Nel corso della udienza camerale dinanzi al tribunale del riesame la difesa ha insistito per il rigetto del proposto appello producendo la dichiarazione confessoria sottoscritta da NOME e contratto di lavoro dell’ospitante.
Con provvedimento del 18/12/2023, ritenendo che l’appello proposto fosse fondato, il Tribunale del riesame di Genova ha applicato a NOME la misura cautelare della custodia cautelare in carcere, dichiarando l’esecuzione dell’ordinanza sospesa fino all’esecutività della stessa.
Ricorre NOME, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo lamenta violazione degli artt. 284 e 275, comma 3, cod. proc. pen. in quanto la custodia in carcere è configurata come extrema ratio quando ogni altra opzione risulti inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto.
Ricorda il ricorrente che il primo ordine di argomentazioni spese dal Collegio per applicare la custodia cautelare in carcere riguarda l’inadeguatezza degli arresti domiciliari, che, nel caso di specie, sarebbero «inidonei a fronteggiare il pericolo di recidiva, il quale deve ritenersi particolarmente elevato alla luce delle modalità del fatto e della personalità dell’imputato, quale risultante dal certificato del casellario». Segue la rassegna della «lunga storia criminale del COGNOME», ove pur si prende atto dell’«assenza di precedenti condanne per evasione» (pag. 4). E, in epilogo a tale “rassegna”, individua il Collegio pure «un concreto ed attuale pericolo di fuga, scaturente dalla necessità di sottrarsi non solo all’esecuzione della condanna in relazione al reato per cui è cautela, ma pure all’esecuzione del provvedimento di cumulo già emesso il 13/1/2021 per la pena complessiva di anni cinque e mesi due di reclusione»
Per il ricorrente, anzitutto, occorre sgombrare il campo da tale ultima congettura. In primo luogo, perché il provvedimento di cumulo citato è già stato interamente espiato (il ricorrente sul punto richiama l’ordinanza. N. 3393/23 emessa
dal Magistrato di Sorveglianza di Firenze in data 22/9/2022 – notificata il 23/09/2022, che allega, con la quale gli veniva concesso di scontare la residua pena nelle forme della detenzione domiciliare ex L. 199/2010).
In secondo luogo, proprio perché, già sottoposto alla detenzione domiciliare, non ci sono mai state «condanne per evasione»
Mancherebbe, poi, un vaglio puntuale e congruo sull’attualità e concretezza del periculum libertatis laddove, per pacifica affermazione giurisprudenziale, la valutazione dell’attualità non può prescindere dallo scrutinio degli unici elementi, contesto e personalità, che consentono un giudizio specializzante e non astratto circa la futura, probabile, commissione di nuovi delitti.
Tanto premesso, per il ricorrente nella valutazione dell’attualità del pericolo di reiterazione, diventa rilevante non solo il giudizio sulla permanenza del periculum libertatis, dal momento della consumazione del fatto per cui si procede a quello in cui viene effettuato il giudizio cautelare, ma anche la proiezione ditale stato soggettivo nel futuro prossimo, attraverso la effettuazione di un giudizio di tipo probabilistico (tipico della cognizione cautelare) fondato sulla valutazione delle concrete condizioni di vita dell’indagato. E in tale ottica, si valorizza, nella giur sprudenza di legittimità, la necessità di individuare condizioni “esterne” all’accusato, non riconducibili alla sua personalità, che possono favorire la ricaduta nel delitto e che giustificano un giudizio prognostico infausto in ordine alla possibilità di “prossime”, ovvero “imminenti” devianze. Nel riconoscimento dell’attualità si deve, cioè, valorizzare la presenza di elementi che lascino prevedere la concretizzazione del rischio di recidiva. Il giudice della cautela deve, cioè, valorizzare eventuali condizioni oggettive o di contesto in grado di attivare la latente pericolosità dell’accusato e rendere attuale il pericolo cautelare.
Nel caso di specie, il ricorrente lamenta che sia stata del tutto ignorata proprio la considerazione della presenza di attivatori del pericolo “oggettivi” ricavabili da dati ambientali o di contesto.
Difatti, proprio il “contesto” del luogo di esecuzione degli arresti domiciliari certificherebbe l’assenza di condizioni esterne idonee a favorire la recidiva.
Ragionando dunque in concreto, quanto all’adeguatezza della misura meno afflittiva, ma pur sempre custodiale, se, come evidenzia il Collegio, il reato è stato consumato anche in ambiente “domestico”, è altrettanto vero che tutti i reati di cui al certificato del casellario sono caratterizzate da un chiaro radicamento nel territorio del Comune di Genova, nel quale si sono consumate tutte le violazioni della legge in materia di sostanza stupefacente.
La lamentata «esistenza di solidi legami con coloro che operano in ambito delinquenziale fornendo l’approvvigionamento della sostanza», perderebbe, perciò, ogni connotazione di attualità e concretezza se parametrata ai «dati ambientali e di contesto».
In tale ultima ottica, il domicilio di riferimento non solo risulterebbe totalmente estraneo alle condotte criminose contestate, ma si collocherebbe, peraltro, territorialmente molto distante da quell’ambiente criminale nel quale è maturata la scelta deviante. Il mutato contesto “ambientale” -si sostiene- è certamente sufficiente ad interrompere i legami dell’indagato con l’ambiente territoriale di procacciamento/ rivendita degli stupefacenti, ove sono maturate le condizioni che hanno occasionato la commissione dei reati rimproverati.
Del resto, in ipotesi accusatoria, NOME COGNOME, sarebbe stato tratto in arresto sulla pubblica via proprio perché colto in procinto di cedere sostanza stupefacente.
Apparirebbe in concreto fantasioso -secondo la tesi propugnata in ricorsoche il piccolo Comune di Baldissero d’Alba, che conta appena 1000 abitanti, per lo più allevatori/agricoltori, dove peraltro sarebbero più facili i controlli di polizia, terreno “fertile”, non già per la coltivazione di vigna o di nocciola, ma piuttosto per l’approvvigionamento e la rivendita “diretta” al consumatore di sostanze stupefacenti.
Apparirebbe, in definitiva, puramente congetturale, oltreché illogico, che sussista «concreto ed attuale pericolo» che NOME COGNOME reiteri l’attività di spaccio nel regime di arresti domiciliari attualmente in vigore nell’abitazione di Baldissero d’Aba.
A sostegno di tale tesi vengono proposti gli arresti giurisprudenziali costituiti da Sez. 4 n. 32385/2023, che richiama Sez.1, n.31769/2020
Il secondo nucleo di obiezioni, prettamente di natura “civilistica” sulla titolarità dello ius excludendi, in buona sintesi si dirige sulla ritenuta inidoneità “contrattuale” del domicilio alla luce delle obbligazioni scaturenti dal contratto di locazione.
In effetti, l’imputato ha reperito ospitalità presso l’amico NOME, nato in Senegal, il DATA_NASCITA, soggetto regolare sul territorio nazionale e con stabile attività lavorativa, che si è reso disponibile ad ospitarlo presso la propria abitazione di residenza sita in Baldissero d’Alba (CN), INDIRIZZO, resosi pure disponibile a provvedere alle spese del suo mantenimento, come da documentazione allegata all’istanza.
Con una prima ordinanza der20.11.2023, il Giudice per le Indagini Preliminari, rigettava, allo stato, chiedendo integrazione alla difesa alla luce del fatto che nel contratto di locazione l’appartamento di INDIRIZZO risultava essere locato
anche ad altro soggetto, tale NOME COGNOME, del quale, tuttavia, non era pervenuta alcuna dichiarazione di disponibilità. Alla luce di ciò NOME COGNOME faceva pervenire al difensore nuova dichiarazione di disponibilità ove dichiarava che NOME COGNOME, pur figurando nel contratto di locazione, non risiedeva più nell’abitazione di INDIRIZZO, allegando, a riscontro, il certificato di stato di famiglia e residenza, ove in effetti, il conduttore NOME, non figurava come residente. Vi figurava, invece, COGNOME NOME, nato in Senegal, il DATA_NASCITA, non contraente, che coabitava con l’ospitante. Dunque, giusta la documentazione allegata, di fatto, l’unico titolare-conduttore nel rapporto dì locazione è il dichiarante NOME COGNOME, il quale ha rinnovato la propria disponibilità ad ospitare l’amico COGNOME NOME.
Una volta chiarito, sostanzialmente, che il conduttore COGNOME NOME non è residente – e, di fatto, non abita – nell’immobile locato, ogni “formalistica” obiezione o congettura (sulla possibilità che il COGNOME possa rientrare a suo piacimento nell’abitazione ed escludere che ivi possa essere stabilmente ospitato l’attuale imputato cesserebbe di avere qualsiasi valenza.
Del resto, ogni “formale” obiezione sarebbe soccombente alla constatazione che NOME, ottemperando all’ordine impostogli dal GIP, ha accompagnato NOME dalla Casa Circondariale di Genova-Marassi al piccolo comune di destinazione, Baldissero d’Alba. E a tutt’oggi, quest’ultimo si trova ivi collocato agli arresti domiciliari senza che le autorità di PS preposte ai controlli abbiano segnalato criticità di sorta all’atto dell’esecuzione! prosecuzione della misura cautelare.
Priva di pregio sarebbe pure l’altra obiezione, per la quale sarebbe vietato ospitare persone terze estranee al nucleo familiare del conduttore.
Al riguardo, quanto alla pretesa inidoneità del domicilio per la vigenza della clausola ostativa all’ospitalità (al punto 12 del contratto di locazione è fatto divieto al conduttore di ospitare persone che siano «estranee alla famiglia»), viene ricordato l’insegnamento “pacifico” della giurisprudenza civilistica in materia, e specificamente che la Corte di Cassazione, con la sentenza 9931 dei 18/6/2012, ha stabilito che deve ritenersi nulla «la clausola di un contratto di locazione nel quale, oltre alla previsione del divieto di sublocazione, fosse contenuto il riferimento al divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo famigliare anagrafico, siccome confliggente proprio con l’adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l’ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia all’interno della famiglia fonda sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto formazione sociale o con l’esplicazione di rapporti di amicizia»’. Pertanto, la clausola indicata, deve essere intesa solo nel senso che, fermi i divieti di sublocazione e di comodato, sia totale che parziale, il conduttore può concedere ospitalità – anche non temporanea e protratta nel tempo – a persone con lui attualmente non conviventi.
Pure privo di pregio è l’altro argomento, per il quale, «non sussiste alcuna apprezzabile relazione tra ospitante ed ospitato», laddove Sez. 1 n. 31769/2020, ha chiarito che « da un punto di vista testuale, nessun concreto elemento consente di ritenere che la misura possa essere concessa soltanto ove presso il luogo stabilito soggiornino, insieme al sottoposto agli arresti, altre persone».
In ultimo, per il ricorrente, non può nemmeno condividersi l’assunto sviluppato dal Tribunale genovese secondo cui la possibilità di fruire degli arresti domiciliari presso la dimora di un soggetto che non appartenga alla cerchia familiare dell’imputato equivalga a una sorta di «lasciapassare per uscire dal carcere».
Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, con tutte le conseguenze di legge.
Nei termini di legge hanno rassegnato le conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020) riportate in epigrafe il P.G. e il difensore del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sopra illustrati appaiono infondati.
Per contro, il provvedimento impugnato appare contrassegnato da motivazione che, secondo il perimetro di cognizione del giudice di legittimità in sede cautelare, contiene l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (anche con riferimento alla puntuale analisi delle specifiche doglianze difensive), oltre ad essere corretto in diritto. Ne deriva il proposto ricorso va rigettato.
In premessa, va rilevato che in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca l’inattualità e l’assenza delle esigenze cautelari ovvero l’adeguatezza di misura meno afflittiva è ammissibile soltanto se venga denunciata la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando le censure si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito. E tale ultima evenienza è quella che vizia il presente ricorso con il quale, in realtà, il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica – unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. pro pen. – ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla idoneità esclusiva della misura cautelare della custodia in carcere, in uno alla ritenuta inidoneità della misura meno afflittiva degli
arresti domiciliari. Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra tivazione e decisione, sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte.
3. Il provvedimento impugnato si rileva del tutto logico e coerente in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari, dovendosi ricordare che, nel sistema processualpenalistico vigente, così come non è conferita a questa Corte di legittimità alcuna possibilità di revisione degli elementi materiali e fattuali dell vicende indagate, né dello spessore degli indizi, non è dato nemmeno alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate. Si tratta, infatti, di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché, in sede di gravame della stessa, del tribunale del riesame.
Dopo l’intervento riformatore del 2015, questa Corte di legittimità, in più pronunce sul punto, ha condivisibilmente chiarito (vedasi, soprattutto, Sez. 4 n. 43880 del 4/7/2017 El Mouttaqi Raquid, non mass.) che il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, richiede una valutazione prognostica circa la probabile ricaduta nel delitto, fondata sia sulla permanenza dello stato di pericolosità personale dell’indagato dal momento di consumazione del fatto sino a quello in cui si effettua il giudizio cautelare, desumibile dall’anali soggettiva della sua personalità, sia sulla presenza di condizioni oggettive ed “esterne” all’accusato, ricavabili da dati ambientali o di contesto – quali le sue concrete condizioni di vita in assenza di cautele – che possano attivarne la latente pericolosità, favorendo la recidiva, conseguendone che il pericolo di reiterazione è attuale ogni volta in cui sussista un pericolo di recidiva prossimo all’epoca in cui viene applicata la misura, seppur non imminente (cfr. Sez. 2, n. 53645 del 8/9/2016, COGNOME, Rv. 268977 nella cui motivazione, la Corte ha precisato che la valutazione prognostica non può estendersi alla previsione di una “specifica occasione” per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice; Sez. 2, n. 47619 del 19/10/2016, COGNOME, Rv. 268508; Sez. 2, ‘n. 11511 del 14/12/2016 dep. il 2017, COGNOME, Rv. 269684).
Orbene, nel caso che ci occupa il tribunale genovese, con motivazione logica e congrua, ritiene che, contrariamente a quanto sostenuto dal GIP, gli arresti
domiciliari siano nel caso di specie inidonei a fronteggiare il pericolo di recidiva, i quale deve ritenersi particolarmente elevato, alla luce delle modalità del fatto (considerato il quantitativo di stupefacente sequestrato, in parte già suddiviso in dosi, e l’importo di denaro contante sequestrato presso l’abitazione, tenuto conto delle condizioni di vita degli imputati, elementi dalle quali è senz’altro desumibile il carattere non occasionale dell’attività di spaccio e l’esistenza di solidi legami con coloro che operano in tale ambito delinquenziale fornendo l’approvvigionamento della sostanza) e della personalità dell’imputato, quale risultante dal certificato del casellario giudiziale.
NOME COGNOME -si ricorda nel provvedimento impugnato- è infatti un soggetto che, anche fornendo false generalità, ha riportato plurime condanne: ben cinque condanne per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti (commessi nel 2012, nel 2014, nel 2018 e nel 2019) oltre a plurime condanne per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. E in relazione a tali condanne risulta avere sofferto dei periodi di detenzione (in relazione alla sentenza di applicazione pena del Tribunale di Genova del 10/7/2012 irr. il 6/2/2013 ha eseguito la pena detentiva dal 30/5/2012 al 28/2/2013; in relazione alla sentenza di applicazione pena del Tribunale di Genova del 23/2/2016 irr. il 13/9/2016 ha eseguito la pena in detenzione domiciliare dal 2/2/2016 all’1/10/2016; è stato poi ristretto in carcere dal 7/1/2018 al 7/7/2019 in esecuzione di un provvedimento di cumulo emesso dal P.m. il 31/10/2019). Con sentenza della Corte d’Appello di Genova del 25/2/2020 irr. 18/7/2020 è stato poi condannato, sempre per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente, alla pena di anni quattro di reclusione oltre multa con espulsione dello straniero dal territorio dello stato. Ha poi scontati ulteriori sei mesi di detenzione dal 16/5/2020 al 16/11/2020 in forza del provvedimento di cumulo emesso dal P.m. il 22/9/2020 ed è stato recentemente raggiunto da un nuovo provvedimento di cumulo emesso dal P.m. il 13/1/2021 per la pena complessiva di anni cinque e mesi due di reclusione oltre multa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Secondo la logica valutazione dei giudici genovesi la lunga storia criminale del COGNOME palesa l’esistenza di un assai elevato pericolo di recidiva, considerato il fatto che egli ha dimostrato di non sentire in alcun modo l’efficacia disincentivante delle esperienze giudiziarie e dei periodi di detenzione sofferti, al termine dei quali è sempre ricaduto nella commissione del medesimo reato.
Sussiste, poi, indipendentemente dal riferimento alle altre pene di cui al cumulo, pur operato nel provvedimento impugnato, anche un concreto e attuale pericolo di fuga, che viene evidenziato anche per i fatti per cui si procede, valutato altresì il fatto che NOME risulta avere riportato talune condanne sotto false generalità, dimostrando così di essere persona avvezza a eludere i controlli.
Ancora, il fatto, poi, che l’imputato, soggetto pluripregiudicato specifico che da anni è coinvolto in traffici di sostanze stupefacenti, detenesse la maggior parte dello stupefacente sequestrato in casa, con ogni evidenza palesa per i giudici del gravame cautelare l’inidoneità della misura degli arresti donniciliari a fronteggiare il pericolo di recidiva, ben potendo NOME riprendere i contatti con i soggetti coinvolti nel riscontrato traffico di sostanze stupefacenti, dai quali egli non ha voluto dissociarsi (non avendo fornito sul punto alcun elemento utile per la loro identificazione) e nei confronti dei quali, stante l’avvenuto sequestro della sostanza, è certamente gravato da debiti.
La logica conclusione è che l’inaffidabilità dell’imputato – tale da rendere inidonea la misura degli arresti domiciliari a fronteggiare il pericolo di recidiva, considerato che l’efficacia preventiva della misura domiciliare si fonda in massima parte sul rispetto da parte di chi vi è sottoposto delle pesanti limitazioni alla libertà a tale misura connaturali – discende dunque, pur in assenza di precedenti condanne per evasione, dalla storia criminale di NOME che palesa l’assoluta sua incapacità di sentire l’efficacia disincentivante delle precedenti esperienze, dopo ognuna delle quali è ricaduto nella commissione del medesimo reato.
Sul punto, appare irrilevante la questione, su cui pure si spende il ricorso, dell’esistenza, formale o reale che sia, di un ulteriore conduttore o l’esistenza di una apprezzabile relazione tra l’amico che si è dichiarato disponibile ad ospitarlo, che non avrebbe, come illustrato dal provvedimento impugnato, le possibilità di sostenerlo economicamente.
Si tratta, come evidenziano i giudici genovesi, di circostanze ulteriori rispetto alle assorbenti considerazioni in relazione all’inidoneità tout court degli arresti domiciliari a fronteggiare i pericula cautelari
L’esclusiva adeguatezza della misura cautelare di massimo rigore, la sua proporzionalità e l’attualità delle esigenze cautelari hanno, dunque, formato oggetto da parte del tribunale del riesame genovese di un giudizio fondato su concreti elementi fattuali e su corrette coordinate di metodo che connotano in termini di ragionevolezza l’opzione decisionale che, come tale, si rivela non censurabile.
In particolare, il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione risul adeguatamente illustrato nel provvedimento impugnato in piena conformità al sopra ricordato consolidato principio di diritto in materia -che va ribadito- secondo cui in tema di misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non è equiparabile all’imminénza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga
conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale in cui opera.
Il provvedimento impugnato – soddisfacendo pienamente l’onere motivazionale richiesto- evidenzia che non vi sono allora dubbi sulla spiccata pericolosità sociale dell’indagato, essendo elevato il pericolo che lo stesso, se lasciato libero, possa commettere reati della stessa specie,
La concretezza e attualità delle esigenze di cautela – va infatti ribadito- non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e la concretezza delle condotte criminose, onde il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., può essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche nel caso in cui esse siano risalenti nel tempo, ove persistano atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto e collegamenti con l’ambiente in cui il fatto illecito contestato è maturato (cfr. Sez. 2, n. 9501 de 23/02/2016, Rv. 267785).
4. Venendo, più specificamente, alle doglianze in punto di adeguatezza della misura, va ricordato che la consolidata giurisprudenza di legittimità valorizza l’importanza dei principi generali di proporzionalità e adeguatezza delle misure coercitive (articolo 275, comma 1, cod. proc .pen.), che impongono di prescegliere la misura più adatta a soddisfare le esigenze di cautela e, nel contempo, meno inutilmente invasiva della persona dell’indagato. Vale infatti la regola secondo cui, in materia di misure cautelari, a fronte della tipizzazione da parte del legislatore di un “ventaglio” di misure di gravità crescente, il criterio di “adeguatezza” di cui all’articolo 275, co. 1, cod. proc. pen., dando corpo al principio del “minore sacrificio necessario” (anche ribadito dalla Corte costituzionale, nella sentenza 22 luglio 2011, n. 231), impone al giudice di scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso di specie (cfr. Sez. U., n. 20769 del 28/4/2016, COGNOME, Rv. 266650). Pertanto, nel provvedimento restrittivo è necessario indicare non soltanto gli elementi di fatto dai quali le esigenze cautelari sono desunte, ma anche le concrete e specifiche ragioni per le quali tali esigenze non possono essere soddisfatte con misure diverse dal carcere; prescrizione quest’ultima che assume particolare rilevanza ove coordinata con il disposto dell’articolo 275, comma 3, primo periodo, cod. proc. pen., che sottolinea la funzione residuale e “quasi eccezionale” della misura cautelare della custodia in carcere (così le citate COGNOME).
Il giudice si deve soffermare quindi sul profilo delradeguafezza” della misura cautelare in concreto prescelta, anche se, ovviamente, qualora venisse applicata, perché ritenuta “adeguata”, la misura della custodia in carcere, non è necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni
altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati, nonché dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che, nella singola fattispecie, fanno ragionevolmente ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo superata ed assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità
Ebbene, se questi sono i principi giuridici di riferimento, va osservato che nel caso che ci occupa, i giudici genovesi hanno fondato la propria decisione sulla considerazione – primaria ed assorbente e rispetto alla quale le ulteriori considerazioni rivestono carattere meramente accessorio – che la oggettiva elevata gravità del fatto e la negativa personalità dell’indagato (pluripregiudicato) rivelano una proclività a delinquere ed una spregiudicatezza delinquenziale tali da non poter essere arginate con la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari: si tratta di un giudizio coerente con le risultanze fattuali e privo di irragionevolezze e, come tale, non censurabile.
Diversamente da quanto opina il ricorrente, il tema analizzato dai giudici del gravame cautelare non è stato quello di uno spaccio su strada, ma quello della riscontrata detenzione in casa dello stupefacente e di modalità della condotta che si prestano ad essere reiterate, indipendentemente dal comune ove si scontino gli arresti domiciliari.
Al rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali.
In ragione dell’intervenuta esecutività del provvedimento impugnato, la cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod.
proc. pen.
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Il Presidente